Chapter Text
Disclaimer: nulla di tutto ciò è di mia proprietà, lo prendo solo in prestito per un po' e prometto di rimettere tutto a posto esattamente come l'avevo trovato, quando avrò finito. Be', all'incirca come l'avevo trovato ;-)
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Titolo: Un Unico Destino
Autrice: T’Jill
Beta: Elwe
Rating: NC17 blanda (o R un po’ tosta)
Avvertimenti: Canon Compliant post HP7, ma esclude tutte le cazzate successive della Row. In quanto al genere... avventura, dark, splatter, davvero non so come definire questa cosa. A partire dal prossimo capitolo, tracce di crossover, diciamo dei crossoverini... ci sono riferimenti ad ambientazioni e alcuni spunti, ma nessun personaggio (una stellina d’oro a chi riconosce la serie).
Nota dell’autrice: ehm, un piccolo avvertimento di servizio. Io non sono T'Jill. O meglio, non sono soltanto lei. T'Jill ha cominciato, e credeva che sarebbe riuscita a finire. Ingenua.
*Pensava di avermi fatta fuori. Ma non mi aveva seppellita abbastanza a fondo. E si è dimenticata di tagliarmi la gola e riempirmi la bocca di aglio, prima di ricoprire la fossa. Grosso, grossissimo errore...*
Infatti. Questa è DarkGiulia, una delle mie precedenti incarnazioni; forse la più vecchia, probabilmente la più tenace, di sicuro la più cattiva. Dicono che succedono cose orribili, ai suoi personaggi. E hanno ragione.
T'Jill è una creatura positiva, con l'unico problema di conciliare il suo retaggio Vulcan con l’insopprimibile senso dell'umorismo, e che traduce NC17 allegramente sconce, sempre in bilico tra un pompino e un sorriso.
DarkGiulia è un essere crudele. In genere si considera che si sia comportata benissimo se riesce a non incatenare uno dei suoi protagonisti al muro, condannandolo ad una morte lenta e straziante tramite tortura. Qui non è arrivata a tanto, ma è indubbio che mi sia sfuggita di mano in diversi punti e abbia letteralmente imperversato in almeno un capitolo. Dove passa lei, i mostri si aggirano liberi e il sangue scorre a secchiate...
Ve la sentite? Allora andate avanti… ☺
Un Unico Destino
Prologo
Harry Potter si abbandonò contro lo schienale della Carrozza Volante e chiuse gli occhi. Per fortuna quella giornata eterna era finita.
Sospirò. Non riusciva a spiegarsi perché si sentiva sfinito fino a quel punto. Era pur vero che odiava con fervore tutte le occasioni pubbliche che lo spingevano a sfoggiare il suo ruolo di Uccisore di Voldemort, ma in fondo si era trattato soltanto di un pranzo.
Un infinito, stancante, noioso pranzo corredato da discorsi.
Avrebbe dovuto immaginarlo. Il Ministero della Magia non poteva perdere l’occasione di invitare un gruppo di pezzi grossi a festeggiare l’ingresso ad Hogwarts dell’ultima figlia del Salvatore del Mondo Magico.
Proprio quella mattina aveva accompagnato Lily all’Espresso del Binario 9 e ¾. Salutarla era stato doloroso, molto più che congedarsi da James e Al. Quando l’ultimo pulcino lascia il nido è davvero la fine di un’epoca.
Aveva tenuto stretta la mano di Ginny e aveva agitato l’altra finché il treno non era scomparso all’orizzonte. Solo a quel punto si erano guardati in faccia, condividendo un sentimento a metà tra l’imbarazzo e il divertimento nel ritrovarsi entrambi con gli occhi lucidi. Harry sapeva che per lei sarebbe stato ancora più difficile. Sua la casa per la prima volta completamente vuota, sua la tavola apparecchiata con un solo piatto, suo il nuovo silenzio delle stanze.
Lui ormai si era abituato a vivere per conto proprio.
Attirò l’ex moglie in un abbraccio, riversando nella stretta tutta la complicità che avevano condiviso, le ceneri tiepide di un amore che li aveva uniti per molti anni, fino a diventare qualcos’altro, una quantità gigantesca di affetto, la forza serena della loro nuova amicizia. Ginny aveva ricambiato la stretta, poggiandogli la testa sulla spalla. Alla fine si era scostata, trattenendolo con le braccia tese e studiandogli attentamente il viso.
“Harry, stai bene? Non hai un bell’aspetto. Che ne dici di venire a pranzo da me?” Dal suo tono traspariva una sincera preoccupazione.
Harry aveva scosso la testa. Apprezzava l’offerta, ma quello che desiderava era proprio rimanere solo. Non voleva comportarsi da adulto, fare la persona matura, dimostrare di essere ragionevole. Voleva soltanto nascondere la testa sotto la trapunta del letto e abbandonarsi alla depressione.
Si era congedato da Ginny promettendole che sarebbe andato a trovarla l’indomani per cena. Era bello, anche se un po’ malinconico, essere rimasti così vicini, senza astio, senza complicazioni. Però non poteva fare a meno di pensare che la facilità con cui la loro relazione era scivolata in qualcosa che aveva tutti gli aspetti di una sorta di parentela riflettesse una certa mancanza di vera passione nel sentimento che avevano condiviso. Vivere insieme era stato senza dubbio piacevole, ma non era mai stato... emozionante.
Ad un certo punto si erano semplicemente resi conto che non provavano più alcun desiderio di dividere lo stesso letto e avevano convenuto che si sarebbero sentiti più a loro agio in appartamenti separati. La transizione era stata gestita senza scossoni, in sordina. I due figli maggiori, che frequentavano già il collegio, se n’erano resi conto a malapena, ma anche Lily, la piccola, non ne era rimasta turbata.
In fondo l’atmosfera tra di loro era diventata persino più serena, senza quel sottile imbarazzo che derivava dal cercare di comportarsi come se nulla, tra loro, fosse cambiato. Quasi tutte le sere Harry cenava in famiglia e giocava con la figlia minore, o chiacchierava animatamente con i ragazzi, se erano in vacanza. Ginny li guardava tutti con identica indulgenza materna, mentre finiva di riordinare la cucina, poi, armata di un piatto di biscotti fatti in casa, si buttava nella mischia con allegria.
Ripensando alle loro serate, Harry aveva sorriso nonostante la tristezza.
Era proprio da lei continuare a ritenere che fosse una sua precisa responsabilità assicurarsi della sua corretta alimentazione, anche se non vivevano più insieme dall’anno successivo all’ammissione a scuola di Albus Junior. Nulla le avrebbe tolto dalla testa che lui non mangiasse la frutta se non quando lei gliela faceva trovare pronta davanti.
Era diventato una specie di gioco tra loro. Alla fine del pasto Ginny sbucciava una mela e ne metteva una fetta nel piatto dei bambini, poi ne ficcava una in mano anche a lui, con espressione minacciosa, come sfidandolo a rifiutarla.
Ad ogni bambino che partiva per Hogwarts la sua fetta di mela era diventata più grossa. Harry non voleva andare da lei quel giorno. Aveva il fondato sospetto che vederle riappoggiare nel cestino metà del frutto avrebbe dato il colpo di grazia al suo umore vacillante.
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Era tornato al proprio appartamento da non più di dieci minuti e stava per versarsi un bicchiere di vino, quando aveva sentito il fracasso di un atterraggio non troppo delicato nella strada di fronte. Incuriosito, si era accostato alla finestra, ma non aveva visto niente. Aveva però avvertito la presenza di un campo magico piuttosto vasto, lì vicino... probabilmente doveva trattarsi di un massiccio incantesimo di Disillusione.
La Materializzazione del segretario del Sottodipartimento delle Feste e Ricorrenze Varie direttamente nel suo salotto non l’aveva quindi colto troppo di sorpresa.
Aveva ascoltato con rassegnata ironia mentre il pover’uomo tremante, che indubbiamente si stava ancora maledicendo per aver scelto la pagliuzza di sinistra, gli comunicava che era stato pubblicamente incastrato per una delle celebrazione che detestava e che la Carrozza Volante di Beauxbatons, prestata per l’occasione e piena zeppa di alti funzionari, stava aspettando solo lui.
Il Grifondoro era sicuro che Kingsley non sapesse niente di tutta quella pagliacciata. Non era la prima volta che reparti minori del Ministero cercavano di garantirsi un certo lustro utilizzando la sua fama di Salvatore e la sua reputazione di Capo del Dipartimento Auror.
Harry si era piegato con riluttante buona grazia al proprio destino, ma aveva rifiutato con un ringhio l’Incantesimo Cenerentola che l’impiegato aveva provato a proporre. Indossava ancora la giacca scura e la cravatta sopra i jeans, e se non era abbastanza elegante per la festa, tutto il Dipartimento Ricorrenze poteva anche andare a farsi fottere. Non aveva intenzione di farsi addobbare come un dannatissimo manichino!
Aveva seguito il Segretario a bordo della Carrozza Volante, il cui interno era stato Trasfigurato in una elegantissima, enorme sala da tè, con poltrone, divani e bar interno. Camerieri in divisa si aggiravano con discrezione, trasportando vassoi sovraccarichi.
Era stato contento di constatare che il Ministro possedeva almeno una scintilla di intelligenza, perché tra gli invitati c’era anche Hermione.
Harry si era seduto nel posto libero che lei gli aveva riservato al suo fianco. Tutti gli altri presenti erano personalità di spicco del Mondo Magico, che non aveva potuto evitare di incrociare, una volta o l’altra, ma con i quali non aveva mai legato. E laggiù in fondo, nella fila di poltrone più lontana...
Fu attraversato da una familiare fitta di nervosismo misto ad anticipazione quando riconobbe il colore dei capelli di Malfoy, che era capo del Dipartimento Ricerca e Sviluppo Pozioni.
Negli anni intercorsi dalla sconfitta di Voldemort si erano incontrati saltuariamente, a volte al Ministero, oppure a questa o quella occasione mondana. Erano due figure troppo di spicco nella Comunità Magica per pensare che fosse possibile evitarsi per sempre. Si erano salutati con educazione, all’inizio, ma quella cauta cortesia non era durata.
Entro un tempo sorprendentemente breve si erano trovati a punzecchiarsi, e poco dopo erano arrivati a ringhiarsi contro, costantemente in bilico tra l’ostilità e la rabbiosa ironia che da sempre era il loro modo di comunicare. Solo quando si incontravano in presenza di qualcuno dei loro familiari, come quella volta alla Stazione, anni prima, tendevano a scambiarsi un gesto che in pratica sottintendeva solo un silenzioso accordo a rimandare le consuete aggressioni verbali alla prossima occasione favorevole.
In fondo, Malfoy era l’unico che non avesse cominciato a trattarlo in modo diverso, dopo la sua fin troppo plateale battaglia con il Signore Oscuro.
Rassicurante. Harry l’aveva trovato rassicurante, in un suo modo distorto. E sentirsi il sangue correre più veloce nelle vene non era spiacevole, anche se solo per la rabbia.
Per un attimo aveva pensato di alzarsi per andare ad attaccare briga, ma si era scoperto troppo stanco e depresso perfino per una bella litigata. Meglio concentrare la mente sulla fine di quell’assurdo teatrino, pensò, indirizzandogli un cenno del capo e una smorfia, e ricevendo in cambio un cenno identico ed un’occhiata sprezzante. Sarà per la prossima volta...
Contando le ore, i minuti e i secondi che sembravano scorrere lenti come melassa, Harry aveva infine costretto la giornata a passare. Hermione aveva colto il suo umore e gli era stata di silenzioso supporto mentre stringeva mani, annuiva ai discorsi, mangiucchiava svogliatamente ed atteggiava le labbra in un’espressione che voleva assomigliare al suo consueto sorriso allegro.
Finalmente è finita, pensò Harry, mentre la Carrozza Volante riprendeva il volo. Tenne gli occhi chiusi anche quando sentì la sua amica alzarsi annunciando che si era strameritata una tazza di tè. Lui non aveva voglia di niente. Assolutamente di niente. Hermione si appoggiò al bancone del bar, fissando Harry da lontano, preoccupata. Certo, il Ministero aveva fatto una vera cazzata ad organizzare quella celebrazione a sorpresa, tutti sapevano che Harry aborriva ogni apparizione pubblica.
Lei aveva accettato di partecipare solo per stargli vicino. Il Dipartimento della Regolazione della Legge Magica in cui lavorava stava attraversando un momento di calma piatta, quindi assentarsi per un giorno non era stato affatto un problema. Purtroppo Ron, invece, era in una delle sue segretissime missioni da Auror in Bulgaria e non gli era stato possibile liberarsi.
Comunque non aveva mai visto il suo amico così giù. Possibile che fosse solo per la partenza di Lily?
Stava studiando se ordinare qualcosa anche per lui, quando il mondo impazzì di colpo.
Un attimo prima la sala era un’oasi di pace attraversata da chiacchiere sommesse e risatine educate. L’istante successivo un lato della Carrozza esplose e schegge di legno acuminate come spade schizzarono nell’aria, falciando qualunque cosa si trovasse davanti. Il vento irruppe ululando dal varco frastagliato, investendola con la forza brutale di un maglio, e la sala cominciò a sbandare e sussultare come se un Gigante la stesse prendendo a calci.
Hermione si afferrò alla sbarra di ottone lucido del bancone, lottando per non essere trascinata via. Impotente, rafforzò la stretta quando vide sedie, tavolini, sanguinanti corpi inerti e persone vive e urlanti roteare fuori, scomparendo nel vuoto.
La violenza dell’aria turbinante era tale che persino respirare era difficile: non sprecò quel poco di fiato che le riuscì di far entrare nei polmoni per urlare. I suoi occhi, enormi di panico, saettarono fino al divano che aveva lasciato poco prima.
Non pensava che avrebbe potuto essere più spaventata di così, ma si sbagliava. La disperazione le strappò un gemito, quando non riuscì subito a scorgere Harry.
Dove, dove, dove... eccolo! Dio, ti ringrazio!
Si era soltanto abbassato e si reggeva con entrambe le mani a un bracciolo, sul viso quell’espressione concentrata e determinata che lei conosceva così bene. Anche gli occhi di Harry stavano scandagliando freneticamente il locale e si colmarono d’inequivocabile sollievo quando agganciarono il suo sguardo.
La distanza tra loro era eccessiva per provare a comunicare o anche solo a gridarsi un incoraggiamento, ma nell’occhiata che si scambiarono era contenuta la reciproca promessa di lottare con ogni briciola di forza, e fino all’ultimo respiro.
Le urla dei passeggeri terrorizzati si mescolavano con i nitriti dei giganteschi destrieri. La carrozza sussultò bruscamente e quasi si capovolse, mentre il cocchiere lottava per recuperare il controllo degli animali semi-impazziti ed indurli ad abbassarsi.
Lo stomaco le risalì in gola per la rapidità della discesa. Troppo, troppo, quell’idiota stava scendendo troppo veloce, fece in tempo a dirsi, e l’attimo successivo la vettura devastata colpì violentemente il terreno, rimbalzando tre volte prima di sfasciarsi, proiettando pezzi di legno, passeggeri e frammenti di mobili con eguale violenza.
Hermione si ritrovò strappata dal suo appiglio, annaspante e urlante, a roteare per aria. Per un attimo ebbe quasi l’impressione di volare, prima che la gravità le imponesse la sua legge e la schiantasse al suolo, spegnendola brutalmente.
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Non aveva modo di sapere quanto tempo fosse rimasta svenuta. Si riaffacciò alla coscienza con un gemito d’agonia. Le sembrava che la sua testa fosse sul punto di esplodere ed ogni singolo muscolo del suo corpo urlava di dolore.
Fissò il cielo, nel quale balenavano le prime stelle.
Crepuscolo. Era il crepuscolo. Probabilmente non era passata più di mezz’ora dallo schianto. Il suo corpo la supplicava di rimanere immobile, ma, ignorandolo con risolutezza, ruotò faticosamente sullo stomaco e si puntellò su gomiti e ginocchia. Si concesse pochi attimi per combattere la nausea e le vertigini che minacciavano di travolgerla, prima di riuscire a tirarsi vacillante in piedi, aggrappandosi ad un divano rovesciato.
La Carrozza aveva scavato sul terreno un solco lungo e profondo, che spiccava quasi oscenamente contro l’erba tenera del prato, e i rottami si stendevano in una striscia irregolare, per molte decine di metri.
I superstiti si aggiravano in mezzo ai detriti, esitanti e gementi come fantasmi alla prima apparizione. Molti, in stato di shock, si limitavano a camminare senza scopo, allontanandosi e riavvicinandosi, come desiderosi di sfuggire allo spettacolo straziante che li circondava, ma privi del coraggio di inoltrarsi nei campi deserti circostanti.
Nessuno aveva in mano la bacchetta. O erano troppo storditi per concentrare la mente e le forze su un incantesimo, o l’avevano persa durante il disastroso atterraggio. La donna si tastò automaticamente la tasca del mantello e non provò alcuna soddisfazione nel constatare quanto le sue ipotesi fossero valide: anche lei aveva perduto la sua bacchetta, e la testa le si riempiva di scintille al solo pensiero di tentare un Accio.
Alcuni, più lucidi, si chinavano faticosamente sui molti corpi inerti per provare a soccorrere i feriti incapaci di alzarsi. A Hermione bastò uno sguardo per rendersi conto che Harry non era tra i fortunati che si reggevano in piedi.
Provò a chiamarlo ad alta voce, ma il fiato che scaraventò fuori fu accompagnato solo da un patetico, sibilante stridio quasi inaudibile e da un dolore allucinante alla gola. Lottò per riprendere a respirare senza gridare per la sofferenza, rendendosi conto che qualcosa doveva essersi lacerato, là dentro.
Zoppicando penosamente cominciò a camminare in una via crucis di orrore, ogni tappa un corpo abbandonato al suolo e coperto di sangue. Le riuscì inaspettatamente facile ignorare i cadaveri spezzati e ogni movimento implorante di persone sconosciute. Nessuna di loro era il suo amico.
La sua attenzione fu attirata da una macchia quasi luminosa. Un’onda di capelli chiarissimi, un lembo di stoffa verde.
Ma la pelle, quella pelle prima candida, non era più bianca. Aveva un orribile colore bluastro, innaturale. Nello stesso momento in cui lo notò, Hermione voltò la testa.
Draco Malfoy, morto. E se quel colore asfittico rivelava qualcosa, non era morto in fretta. Ma non poteva fingere che gliene importasse qualcosa. Quello non era il momento di essere politicamente corretti.
La verità era che non gliene fregava un cazzo. Non con Harry ancora da trovare, Harry che doveva essere ferito, ma vivo, come sempre. Col suo aiuto se la sarebbe cavata ancora una volta. Harry era destinato a sopravvivere, l’idea stessa che uno stupido, inspiegabile incidente potesse nuocergli seriamente era del tutto assurda.
Hermione iniziò maniacalmente a ripetersi incantesimi di Guarigione in lunghe, ipnotiche cantilene. Sarebbe stata pronta, quando l’avesse scovato avrebbe snocciolato la formula giusta in un solo fiato.
Un cespuglio di capelli neri e spettinati, una giacca dal taglio familiare. Lo raggiunse in poche, dolorose, veloci falcate.
Nessuna possibilità d’errore. Era innegabilmente Harry, ed ora che l’aveva trovato Hermione avrebbe dato tutto quello che possedeva per poter tornare indietro. Perché era Harry, e non lo era. Harry non rimaneva così immobile neanche quando era Schiantato, da lui la tensione si irradiava in onde persino nel sonno.
Di colpo le gambe non la ressero più, come se gliele avessero mozzate. Si lasciò cadere in ginocchio al suo fianco. Il suo corpo sapeva già quello che la sua mente si sforzava di rifiutare. L’idea stessa che ci fosse ancora vita in quel patetico resto era qualcosa di ridicolo. Come poteva un corpo essere così devastato, eppure ancora così tragicamente riconoscibile?
Tutte le intelligenti, razionalissime nozioni Babbane sulla pericolosità di muovere i feriti si incenerirono tristemente sulla superficie della sua mente.
Afferrò il... cadavere del suo migliore amico e con uno sforzo lo voltò. Le sue mani inerti schiaffeggiarono mollemente il terreno, la testa si rovesciò indietro, abbandonata. Infischiandosene del sangue semicoagulato che la stava imbrattando, Hermione si strinse al petto il torace sfondato di Harry Potter, decisa a non lasciarlo riposare sul nudo terreno, al freddo. L’avrebbe retto finché le fossero bastate le forze, cullando quel cuore immobile contro il proprio, spezzato.
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Nota finale: Prima che qualcuna imbeva la penna nel vetriolo e cominci a scrivere una Strillettera, posso precisare che questa è una storia in capitoli (sette, ed è conclusa) e che sono convintissima di aver messo tutti gli avvertimenti che servono? Prima di insultarmi arrivate alla fine, no? *T’Jill sorride sollevata, come minimo ha ottenuto un rinvio di qualche settimana*