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Finisher – Fino alla fine del tempo

Summary:

Loki non è mai stato un appassionato di sport, ma per vendetta nei confronti della sua ex, decide di iscriversi a una gara podistica internazionale, senza avere la minima idea del guaio in cui si sta cacciando.
La gara, infatti, fa parte di un circuito di sei prove e lui si troverà a correrle tutte, motivato anche dalla sua affascinante compagna di avventura: una perfetta sconosciuta che, per convenienza, accetta di condividere con lui la stanza.

Cosa lo attenderà al termine del viaggio?
Lo scoprirà solo alla fine del tempo 😉

Notes:

Alcune note tecniche aggiuntive:
- Chiunque può partecipare a questo tipo di gare, purché sia in buone condizioni fisiche
- Tutti i partecipanti che portano a termine la gara entro il tempo limite ricevono la medaglia di finisher
- Ogni gara ha la sua medaglia
- Esistono dei circuiti internazionali che racchiudono diverse gare. Chi le fa tutte riceve ulteriori riconoscimenti.

Sylki_run

Drawing by Nordrljos 💚

Chapter 1: Valencia - parte 1

Notes:

I don’t care if it hurts
I want to have control
I want a perfect body
I want a perfect soul
I want you to notice
When I’m not around
You’re so fuckin’ special
I wish I was special
But I’m a creep
I’m a weirdo
What the hell am I doing here?
I don’t belong here
(CREEP - Radiohead)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

LOKI

E così, sfidando il destino avverso che negli ultimi tempi aveva messo sottosopra la mia vita, e alla faccia di chi mi aveva dato per perdente – senza neanche concedermi il beneficio del dubbio – mi sono ritrovato in aeroporto di buonora, pronto a imbarcarmi in un’avventura nella quale non avrei mai pensato di svolgere un ruolo da protagonista, ma che, magicamente, si era trasformata nel mio glorioso proposito.

Certo, non c’era in ballo un trono o la sorte dell’universo, nessuno sarebbe stato incoronato re e le mie gesta non sarebbero state riportate sui libri di storia o trasmesse ai posteri. Tuttavia, ai miei occhi, questa impresa aveva assunto un’aura eroica, tale era la forza con cui mi ci ero aggrappato pur di riemergere da quello stato depressivo in cui ero sprofondato.

 

Sono come un Dio caduto. Ho perso dolorosamente, ma non sono morto... Sono sopravvissuto contro ogni previsione. E ora tornerò, per riprendere la gloria che mi spetta!

 

Ma per arrivare a questa consacrazione dovevo prima portare a termine una dannata gara podistica, alla quale mi ero iscritto per ripicca. Questo era il mio obiettivo. Ebbene sì, proprio io, che avevo sempre preso in giro quei pazzi che si svegliavano a orari improponibili per allenarsi, che puzzavano come caproni quando li incrociavo per andare al lavoro e che avevano un abbonamento perpetuo con l’ortopedico e il fisioterapista.

 

Ripetilo ancora una volta, Loki. Perché sei qui?

 

Tutto era partito da Sif, la mia ex fidanzata, fanatica fino al midollo della palestra e delle attività sportive in generale. Con il pretesto di dare una scossa al nostro rapporto, diventato a suo parere piuttosto monotono e abitudinario, mi aveva coinvolto in questa follia, praticamente obbligandomi ad accompagnarla.

“Così forse ti renderai conto di cosa sto cercando. Adrenalina pura, ecco ciò di cui ho bisogno!” mi aveva detto. “Ti rendi conto? Migliaia di runners, provenienti da tutto il mondo, a faticare insieme per raggiungere un unico obiettivo: la medaglia di finisher!”

“Fantastico,” le avevo risposto, cercando di non far trasparire la mia mancanza di entusiasmo. “Dopotutto non siamo mai stati a Valencia, sarà interessante visitarla insieme.”

Ed ero veramente disposto a mettere da parte la mia avversione per lo sport, pur di farla felice e tentare di tenere in piedi la nostra storia. Ma più si avvicinava la data della gara, più la mia vocina interna si faceva insistente, facendomi notare tutte quelle stranezze nel comportamento di Sif che io, al contrario, facevo finta di non vedere.

Finché che un giorno, tornando un po’ prima del solito dal lavoro a causa di un’interruzione del servizio elettrico...

 

Sono qui per dimostrare che ho molta più resistenza di quello che pensa! E che so sudare anch’io... Con molto più stile di quel farabutto che si è portata a letto.

 

Il soggetto in questione era Fandral, il personal trainer.

Certo, con il senno di poi, le avvisaglie del tradimento erano state piuttosto evidenti. Sif si allenava come un’ossessa e, durante il tempo sempre più esiguo che trascorrevamo insieme, chattava in continuazione sul telefono, oppure navigava senza sosta con il notebook.

Neppure i dettagli del viaggio l’avevano intrigata più di tanto. Lei aveva in testa solo le schede che gli passava il preparatore – il farabutto di cui sopra – e aveva delegato a me tutta la parte burocratica. Del resto, pur trascorrendo ore su internet, non poteva permettersi di perdere tempo prezioso anche per quello!

Un giorno, cercando una sciarpa che temevo fosse finita per sbaglio fra le sue cose, mi ero imbattuto in un perizoma super sexy, mimetizzato ad arte tra gli scomparti della cassettiera. Evidentemente era stato comprato di nascosto e io, nella mia profonda ingenuità, avevo ipotizzato che si trattasse di una sorpresa, magari riservata ad una serata speciale...

 

Invece lo ha sfoggiato con qualcun altro!

 

Dopo aver colto sul fatto i due amanti nel mio letto, avevo preso alla lettera il consiglio della psicologa – alla quale ero stato costretto a rivolgermi dopo la nostra separazione – dando fuoco alle lenzuola e cambiando il materasso – che per la cronaca avevo acquistato solo due anni prima. Sif era tornata a vivere con la sua famiglia, ma non perdeva occasione di postare sui social le foto che la ritraevano con un sorriso smagliante assieme alla sua nuova conquista, con sottotitolo #finalmenteviva.

Si era fatta risentire dopo quasi tre mesi, per chiedere se per caso mi fosse arrivato il numero di pettorale per partecipare alla gara. Già, perché io mi ero occupato di tutta la pratica e avevo pure anticipato le spese, da bravo galantuomo – o meglio, da vero idiota!

Di primo impulso avevo pensato di girarle direttamente la mail, senza stare a perderci altro tempo, dando per persi i soldi. Ma poi avevo avuto l’illuminazione divina.

Ben consapevole di quanto Sif tenesse a quella trasferta e constatando che ormai, a così breve distanza dall’evento, era praticamente impossibile trovare altri posti disponibili, avevo deciso di non rinunciare al viaggio, pur di impedire a lei di partecipare. Ci sarei andato da solo a Valencia, apposta per farle dispetto. E mi sarei fatto i selfie davanti ai principali monumenti, accompagnati da hashtag velenosi e pungenti. Anzi, avrei potuto fare ancora meglio: una bella foto con la medaglia di finisher al collo!

Galvanizzato da questa idea, avevo scritto immediatamente all’organizzazione per cambiare l’intestatario dell’iscrizione e voilà, la vendetta perfetta era pronta per essere servita. Peccato che… non avevo mai corso più di 200 metri in vita mia – se non per acciuffare al volo l’autobus – e ora avrei dovuto percorrere 21 km tutti di fila. Ma questo era solo un piccolo dettaglio, giusto?

Seduto sul mio trolley, ho estratto il telefono dalla tasca e l’ho sbloccato per controllare la famosa mail – giusto per assicurarmi di non avere le allucinazioni – contenente la prova tangibile di ciò che mi stavo accingendo a fare:

 

Loki Odinson, bib number 20587

 

***

 

“Tu devi essere Loki, giusto?”

Mentre ero perso nei miei pensieri, si è parato davanti a me un signore con i baffi, brizzolato e dall’aspetto gentile. “Piacere Mobius, della TVA – Travel and Venture Agency,” si è presentato prontamente, mostrandomi il logo dell’agenzia viaggi stampato sulla sua giacca.

“Piacere,” ho risposto alzandomi per stringergli la mano, confermando implicitamente la mia identità. “Come hai fatto a capire che ero io?”

“Ho individuato subito la pecorella smarrita,” ha ridacchiato, scostandosi per farmi notare che eravamo in mezzo a tante persone, tutte vestite con la tuta e le scarpe da ginnastica. Ogni gruppetto era distinto da colori diversi, l’unico con la tuta nera e le scarpe nere – rigorosamente comprate per l’occasione – ero io.

“Vieni, ti faccio conoscere la ragazza di cui ti ho parlato, non appena ci raggiunge. Nel frattempo, ti presento gli altri membri della nostra spedizione.”

 

Giusto, la mia compagna di stanza...

 

Pochi giorni prima della partenza avevo ricevuto la telefonata di Mobius con una richiesta un po’ bizzarra.

“Sai, solitamente, per politica aziendale, non mettiamo mai due persone sconosciute e di sesso diverso nella stessa camera. Ma, dato che tu hai prenotato una doppia e che... uhm... la tua accompagnatrice ha rinunciato, potresti essere disponibile a condividere la sistemazione con una donna?”

 

Cosa?!

 

“Non te lo chiederei se potessi giocarmi altre opzioni. Ma credimi, lei è la persona più testarda che io conosca.”

 

Magnifico, è proprio la caratteristica di Sif che più mi manca!

 

“Vorrebbe partecipare a tutti i costi alla gara, ma purtroppo a causa di problemi personali, è riuscita a darmi la conferma solo qualche giorno fa. Il fatto è che gli abbinamenti possibili sono già stati pianificati e le camere singole sono esaurite... Quindi l’unica alternativa sei tu, che però sei di sesso maschile.”

 

Mah... Ormai penso di essere asessuato dopo l’ultima batosta.

 

L’idea di condividere il soggiorno con un’estranea non mi entusiasmava più di tanto, ma la possibilità di smezzare la spesa, soprattutto adesso che l’intero affitto dell’appartamento gravava sulle mie spalle – e tornare a vivere sotto lo stesso tetto di mio padre era fuori questione – rendeva la proposta allettante.

 

Quella ragazza deve essere proprio disperata per arrivare ad accettare un compromesso del genere!
Speriamo che non sia Sif sotto mentite spoglie...

 

“Okay. Se per lei non ci sono problemi, non ce ne sono nemmeno per me,” avevo risposto d’istinto, forse mosso dalla volontà di ripulirmi il karma. O chissà... il destino?

 

***

 

Dopo avermi accompagnato tra gli altri, Mobius ha iniziato a fare una veloce carrellata dei vari soggetti che mi si paravano davanti, tutti ansiosi di fare la mia conoscenza. Indubbiamente la mia presenza ha creato scompiglio, scatenando una sorta di gara per accaparrarsi la mia attenzione e, in tutta sincerità, la cosa mi ha lusingato, perché era da tanto che non mi sentivo al centro dell’universo.

Ad un certo punto una signora anziana si è fatta largo, prendendomi in ostaggio. “Fermi tutti,” ha intimato. “Questo novizio è sotto la mia protezione.”

 

Ma… È lei? Ditemi di no! Non doveva essere giovane?

 

Per un attimo ho temuto che fosse la mia partner assegnata, ma Mobius, accorrendo in mio soccorso, ha chiarito subito le cose. “Ehi, Emilia, vacci piano! Non traumatizzare questo povero ragazzo. Lo sai che ti ho messo nella singola perché russi come un trattore.”

Facendo il broncio, la pimpante signora ha mollato la presa d’acciaio sul mio braccio, pur rimanendo incollata a me. “Peccato. Spero sempre di trovare l’anima gemella, ma tu sei proprio un guastafeste!”

Sorridendo l’uomo si è scusato, limitandosi ad allargare le braccia, poi si è fatto da parte in modo plateale, lasciando passare una biondina che non avevo notato prima. “Mi dispiace Emilia, ma lui è già impegnato con me,” ha esclamato venendomi incontro e guardandomi dritto negli occhi. “Non vorrai rubarmelo per caso?”

 

Dunque, lei è…

 

“Piacere Sylvie. La tua compagna di stanza,” si è presentata velocemente, prima di essere rapita a sua volta dalla signora, che l’ha abbracciata e baciata come se fosse una nipote che non vedeva da anni.

Nonostante il breve contatto, ho cominciato a registrare mentalmente le prime informazioni su quella perfetta sconosciuta. D’altronde, a detta di mia madre, sono sempre stato un ottimo osservatore nei confronti degli altri – ad esclusione di Sif, ma quello era un discorso a parte.

 

Stretta di mano decisa, capelli arruffati di chi è stato buttato giù dal letto, aria un po’ scocciata – oppure è solo assonnata?
Profumo fresco e leggero, in contrasto con l’intensa nota di caffè nell’alito.
Di statura piccola, con un corpo snello e ben proporzionato.
Grandi occhi blu… o sono verdi? – Devo studiarli meglio con la luce del sole.

Passabile. Ma non bella abbastanza da tentarmi (1).
Chissà da dove ho preso questa frase?
Ah, sì. Sicuramente era in uno di quei film romantici che guardava Sif.

 

Avrei voluto scambiare qualche parola in più con lei, ma le pratiche per l’imbarco hanno avuto la precedenza sul resto. In ogni caso, sapevo che di lì a poco ci saremmo seduti vicini in aereo – dato che io e Sif avevamo due posti adiacenti – perciò c’era tutto il tempo del volo per approfondire la conoscenza.

 

***

 

Non appena seduta, Sylvie si è allacciata le cinture, si è ficcata le cuffie in testa e ha chiuso gli occhi, fregandosene di tutte le procedure di sicurezza e negandomi ogni possibilità di interagire.

 

Probabilmente si è svegliata male.

 

Ho passato la prima mezz’ora di volo rimuginando sulle mie sfortune o leggendo ebook sul telefono, poi finalmente l’andirivieni delle hostess con il carrello della colazione ha destato l’interesse della mia loquace vicina.

Cogliendola di sorpresa, l’ho anticipata ordinando per entrambi caffè e brioches. Questa mossa ardita mi ha fatto guadagnare un’occhiata sospettosa da parte sua, ma tutto sommato non si è opposta, né si è lamentata della mia scelta, anzi, ha scartato velocemente la brioche e se l’è infagottata in bocca, usando quel pessimo beverone – a temperatura lavica – per deglutirla.

“Anch’io ero affamato,” ho buttato lì, osservandola timidamente mentre soffiavo sul caffè per non ustionarmi. “Siamo partiti talmente presto che non ho nemmeno fatto colazione.”

“La mia è più fame nervosa,” ha confessato durante la masticazione.

 

Perbacco, la raffinatezza fatta persona!
Ad ogni modo, ecco la prima confidenza… Sono riuscito a rompere il ghiaccio.

 

“Già, è un problema che conosco. Non ami volare, vero?”

“No, se posso lo evito,” ha risposto secca, richiudendo il tavolino e facendo per rinfilarsi le cuffie.

Nel tentativo di mantenere viva la conversazione – e soprattutto per non ricadere nelle mie elucubrazioni – le ho fatto anch’io una confessione, seppur scontata. “Non ho mai partecipato ad una gara podistica e sono un po’ in agitazione...”

“L’avevo intuito,” ha commentato spiccia, riprendendo il gesto che io avevo interrotto.

“E tu?” l’ho di nuovo fermata a metà via. “Hai già fatto delle trasferte o è la tua prima volta?” Sapevo benissimo la risposta, ma su due piedi non mi è venuto in mente qualcosa di più intelligente da chiederle.

“Ho perso la mia verginità a quattordici anni.”

 

Aspetta. C-cosa?!

 

Divertita dalla mia espressione ebete, ha aggiunto, con tono più morbido: “Da giovane ero professionista e ho fatto diverse gare internazionali. Intendevo in questo senso.”

 

Ah...

 

“Qualcosa mi dice che non sei un tipo da battute,” ha commentato sarcastica, arricciando il naso in una smorfia – dev'essere una sua caratteristica, perché gliel’ho vista fare anche con Emilia, quando ci siamo presentati.

“No. Più che altro non sapevo come interpretare...”

“E quando sei nervoso non smetti di parlare,” ha continuato ad infierire, ignorando la mia misera giustificazione.

“Ci sto lavorando,” ho ammesso. In effetti avevo fatto diverse sedute dalla psicologa per tenere a bada la mia verbosità ansiosa.

“Okay,” con una scrollata di spalle, Sylvie ha decretato una tregua momentanea. “Comunque, sappi che non morirai durante questo viaggio – a meno che tu non decida di metterti contro di me. Ti assicuro che lunedì tornerai a casa sano e salvo.”

“Ricevuto,” ho convenuto, cominciando a rilassarmi. “E tu sappi che questo aereo non precipiterà. E se anche dovesse succedere, mi basta chiamare i rinforzi ed un portale magico ci teletrasporterà altrove.”

Mi ha guardato come se fossi completamente suonato, non riuscendo però a nascondere un mezzo sorriso. Poi, scuotendo la testa, si è infilata le cuffie ed è tornata nel suo letargo, estraniandosi dal resto del mondo.

Cercando di imitarla, ho chiuso gli occhi e mi sono appoggiato allo schienale, mettendomi comodo. Stranamente, dopo tanto tempo, i miei tristi pensieri non sono riemersi dall’oscurità, per avvolgermi e succhiare la mia linfa vitale come l’edera. Nel giro di qualche minuto mi sono addormentato come un bambino, riscuotendomi solo quando siamo giunti a destinazione.

Notes:

(1) cit. Orgoglio e Pregiudizio

Come sarà la camera condivisa e come decideranno di sistemarsi per la notte i nostri due viaggiatori?
Durante il soggiorno ci sarà qualche incomprensione o filerà tutto liscio?
E come andrà la gara? 🤔

Per ogni tappa ci saranno due capitoli, uno Loki POV e uno Sylvie POV.
Lo sviluppo della trama potrà essere influenzato anche dai vostri commenti, quindi sentitevi liberi di scrivermi idee, spunti o suggerimenti… Cercherò di integrarli nei capitoli successivi!

Chapter 2: Valencia - parte 2

Notes:

Know that I loved you from the start
When we've believed in who we are
I never dreamed my life this way.

Don't wish upon a falling star
love all in a land is who we are
I dreamed a dream, so much has changed.

Wake! You've been sleeping
And tell me what do you believe in
You Fell So Far
You should have been a star.
(FALLING STAR - Jet)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

SYLVIE

Quando Mobius mi aveva contattata, per comunicarmi che la sua ricerca era andata a buon fine, non potevo crederci. Quell’uomo era veramente abile nel suo mestiere e, anche dandogli un preavviso minimo, era riuscito a convincere una persona – che non sapeva nemmeno chi fossi – a condividere una stanza con me.

Mi aveva svelato solamente che si trattava di un ragazzo – che inizialmente aveva prenotato per due, ma poi si era ritrovato da solo – e io non ero stata ad indagare più di tanto, perché in fondo la cosa che mi premeva di più era partecipare alla gara a un costo sostenibile.

 

Sarà stato scaricato, un classico...

 

Ad ogni modo non volevo invischiarmi nei problemi altrui, dato che ne avevo fin troppi dei miei. Lavoravo come commessa in un negozio di scarpe e lo stipendio, il minimo sindacale, era appena sufficiente per vivere dignitosamente. Mi ero iscritta ad un corso di laurea in fisioterapia, ma per potermelo permettere facevo anche la cameriera del turno serale in uno squallido bar del centro, dove le risse erano all’ordine del giorno.

Inoltre, stavo uscendo a stento da una causa legale contro l’ex famiglia di mio padre – quando era morto aveva lasciato solo dei debiti – e i miei risparmi, già piuttosto esigui, se n’erano andati in fumo, assieme ai rapporti con tutti i miei affini.

 

Meglio così, non voglio più avere vincoli con nessuno.

 

Nonostante la pessima situazione economica, non volevo rinunciare a quella trasferta – che consideravo un piccolo premio per i miei sacrifici – e certo non mi avrebbe fermata il fatto di dover convivere tre giorni con uno sconosciuto.

 

Tutto sommato poteva andare peggio.

 

Arrivati all’hotel convenzionato con l’agenzia viaggi, Loki mi ha lasciata passare davanti per fare il check-in. A prima vista, mi è sembrato un tipo educato e di buona istruzione – ha un sacco di eBook sul telefono. Inoltre, è curato nell’aspetto e nell’igiene – scommetto che fa la manicure dall’estetista – ed è benestante, considerato il set coordinato di valigie di marca e il suo profumo, che sicuramente non è un’acqua di colonia presa al supermercato.

“Lei è la signora Odinson?” ha chiesto l’addetto alla reception, cogliendomi impreparata.

“No,” ho risposto secca. “Non vede che c’è scritto Lushton sulla carta d’identità?”

Ero già pronta a difendere il mio cognome con onore, quando Mobius si è messo di mezzo dandomi un colpetto con il gomito. “Perché non sono ancora sposati,” ha spiegato frettolosamente all’attonito signore. “Ma lo saranno presto, non è vero ragazzi?”

Dando una rapida occhiata verso Loki, ho intuito dalla curvatura accentuata del suo sopracciglio che anche lui non ne sapeva nulla di quella storia. Ciò nonostante, abbiamo risposto affermativamente all’unisono, abbassando subito lo sguardo per non tradire la messa in scena.

 

Perché tirare in ballo il matrimonio? C’è sotto qualcosa di losco... Mobius, mi deve un chiarimento!

 

Ma in ascensore, mentre salivamo al quarto piano per raggiungere la nostra stanza – ancora imbarazzati per la scena precedente – un presentimento si è affacciato nella mia testa... E in breve tale presentimento si è tramutato in realtà, non appena varcata la soglia d’ingresso.

 

Un solo letto. Matrimoniale.
D’altronde, se le camere singole sono tutte occupate e le doppie con i letti separati sono già prenotate, l’unica alternativa è questa…

 

“Non preoccuparti. Se ti disturba posso dormire sul pavimento… Ci saranno delle altre coperte nell’armadio, da usare come materasso,” si è offerto Loki, quasi leggendomi nel pensiero.

Colpita dalla sua gentilezza, ho cortesemente rifiutato. “Non sarebbe giusto. Io sono l’imbucata in questo viaggio, quindi io starò giù dal letto.”

“No, insisto. Se tu dormi a terra, sarò costretto a farlo anch’io,” ha replicato, ma con un tono un po’ troppo pomposo per risultare credibile.

 

È solo un eccesso di galanteria, o sta cercando di convincermi con questo ridicolo ricatto?
Forse non è così ingenuo come sembra...

 

“Okay, staremo tutti e due nel letto,” ho stabilito, dopo una rapida valutazione dei pro e dei contro. Il suo malcelato sorrisetto ha confermato i miei sospetti: questo era esattamente ciò che voleva. Ma gli ho lasciato credere di aver vinto grazie al suo misero giochetto psicologico – se lo fai tu, lo faccio anch’io. In fin dei conti, l’intenzione era buona e la soluzione alternativa non avrebbe giovato a nessuno dei due.

“Io mi metto da questa parte. E sia ben chiara una cosa: non ti conviene sconfinare,” l’ho avvertito – conscia del fatto che, con ogni probabilità, sarei stata io la prima a trasgredire.

Senza fare obiezioni, Loki ha cominciato a sistemare in modo scrupoloso le sue cose, estraendo dal trolley i vestiti ancora perfettamente piegati, nonostante il viaggio. Il mio piccolo bagaglio a mano, al contrario, è letteralmente esploso appena l’ho aperto, lanciando il suo contenuto in tutte le direzioni.

 

Ops, le mie scarpe hanno già superato la linea di demarcazione e sono finite sul suo cuscino.
Povero Principe. Chissà che cosa hai fatto per meritarti questa punizione divina! – ho pensato, divertita dalla sua espressione indignata.

 

***

 

Dopo un pranzo veloce assieme agli altri del nostro gruppo, ci siamo diretti verso l’area Expo per ritirare i pettorali.

Affascinato da quell’ambiente ignoto, Loki si è fermato in ogni stand a curiosare i vari prodotti, tempestando di domande gli sventurati promoter – l’ho trattenuto in due occasioni dal fare acquisti inutili. Arrivati allo spazio dedicato alle SuperHalf, dove tutti si facevano le foto davanti al logo dell’evento, è rimasto colpito dalla grande medaglia esposta in vetrina.

“È questa che ti danno alla fine?” mi ha chiesto, eccitato da quel cubo azzurro.

“Sì... Alla fine delle sei gare che fanno parte delle SuperHalf,” gli ho spiegato pazientemente. “Vedi che su ciascuna faccia è impresso un disegno diverso? Sono i monumenti più famosi delle città interessate dal circuito.”

“Sei?!” ha esclamato sconvolto. “Ma quindi… bisogna correrle tutte per averla?”

“Solo se vuoi il Tesseract – è così che si chiama. Se ti accontenti della medaglia più piccola basta la mezza maratona di domenica.”

“E tu le farai tutte?” Era rapito da quell’oggetto, come se fremesse dalla voglia di stringerlo fra le mani.

“L’idea è quella, soldi permettendo ovviamente. Sono già stata a Berlino e questa è la mia seconda tappa. Ma non c’è un limite di tempo, quindi prima o poi quel coso sarà mio.”

Quando si è finalmente staccato dalla vetrina – lasciandoci sopra le impronte come un bambino – ci siamo fatti qualche foto con i pettorali, poi siamo tornati con gli altri in centro e abbiamo fatto un po’ di turismo improvvisato, girando a caso per le vie della città.

A dire il vero, Loki sembrava una vera e propria guida certificata – durante il volo deve essersi imparato a memoria lo speciale di Traveller su Valencia – perché è riuscito a intrattenere tutto il gruppo con cenni storici e aneddoti per ogni monumento. Emilia, che già lo aveva preso in simpatia, era estasiata dalla sua performance... e non era la sola.

Infatti, a un certo punto, si sono uniti a noi anche una comitiva di turisti giapponesi, una coppia gay americana, una famiglia indiana e un’intraprendente ragazza polacca che, pur di seguirci, ha lasciato il suo cocktail al tavolo – presa da un’improvvisa sete di conoscenza, anziché di alcol, o più probabilmente attratta dal fascino dell’oratore.

 

***

 

Sabato mattina, dopo una bella dormita, mi sono svegliata di buonumore – cosa assai rara, perché di solito ce l’ho con il mondo intero già al primo caffè. Stanca per il viaggio e per tutto lo stress che ho accumulato negli ultimi tempi, la sera precedente sono crollata non appena ho appoggiato la testa sul cuscino, e non ho neanche augurato la buonanotte al mio caro marito.

 

La signora Odinson... patetico!

 

Dalla finestra entrava già un po’ di luce e, stiracchiandomi pigramente, il mio braccio ha urtato qualcosa di inaspettato.

“Buongiorno.” La voce di Loki mi ha riportato immediatamente alla realtà. Massaggiandosi le costole che gli avevo colpito e sorridendo per la mia espressione confusa, si è messo a sedere sul bordo del letto per controllare le notifiche sul cellulare, dandomi la schiena.

 

Spalle larghe, fianchi stretti, capelli un po’ selvaggi…
Non male. Decisamente non male.

 

“Mi sa che ci dobbiamo sbrigare, se non vogliamo perdere la visita guidata al Parco Oceanografico. Scendiamo a fare colazione?”

Riscuotendomi rapidamente dalle mie considerazioni, mi sono affrettata a prepararmi per raggiungere gli altri nella hall dell’albergo. Non so come, ma in quei cinque minuti che ho passato in bagno, cercando di rendermi presentabile, lui si è trasformato magicamente: il suo aspetto era ordinato e impeccabile – come un impiegato di banca, mentre io sembravo appena uscita dalla turbina di un aereo.

 

Ma come diavolo fa? Deve avere dei super poteri!

 

La mattinata è stata un susseguirsi di foto con le creature più disparate presenti nell’acquario. L’unico che si è preso la briga di leggere le targhette con sincero interesse – quelle con le caratteristiche di ciascun animale – è stato Loki. Anche lui si è fatto dei selfie, tutti però con un sorriso finto e costruito, tanto da risultare quasi penoso.

“Bella questa! Tu e il tricheco avete la stessa espressione,” ho commentato mentre postava l’ennesima foto con il tag #revenge. “A chi devi farla pagare?”

 

Butto a indovinare: la tua ex?

 

Mi ha lanciato un’occhiataccia, cercando di coprire lo schermo. “Sono cose che non ti riguardano. Sai che non è cortese spiare il telefono altrui?”

“Non ho spiato,” ho mentito spudoratamente. “E non ci vuole certo un genio per capirlo. Il mio è solo un consiglio disinteressato: chi vedrà quelle immagini si metterà a ridere, invece che rodere d’invidia.”

“Ah sì? E cosa dovrei fare? Inquadrare di nascosto tutte le ragazze carine che trovo, con la scusa dell’autoscatto? Magari in pose ambigue, come fanno i pervertiti. Non so, tipo piegate a novanta mentre si sporgono sopra la vasca delle razze?”

“Beh, se questo è il tuo massimo di perversione…”

Gli ho preso il telefono e gli ho ordinato di tornare dal tricheco, poi ho individuato un gruppetto di potenziali vittime – cinque ragazze, tutte alte, bionde e con gli occhi azzurri – e, con la mia tecnica infallibile, le ho convinte a mettersi in posa con lui. In breve ci siamo appassionati a questo gioco: Loki si divertiva nel mettermi alla prova – scegliendo i soggetti più difficili – e io, puntualmente, lo stupivo con la mia capacità di persuadere la gente.

“Come fai ad incantare così le persone?” mi ha chiesto alla fine della visita, scorrendo la gallery soddisfatto.

“Puro talento!” gli ho risposto piena d’orgoglio.

 

***

 

La notte prima della competizione è stata difficile, soprattutto per Loki. In preda all’agitazione e a mille pensieri, si è rigirato non so quante volte nel letto, poi si è alzato per bere, è andato in bagno, ha camminato avanti e indietro per la stanza, si è seduto sul pavimento a leggere i suoi eBook… e così via, a rotazione continua.

Anche se ha cercato di essere il più discreto e silenzioso possibile, mi ha svegliata in diverse occasioni finché, alle tre del mattino, ho deciso di fargli compagnia con la scusa di preparare una camomilla calda per tutti e due.

“Mi dispiace averti disturbato,” si è scusato mestamente. Tuttavia, ho colto il suo sollievo quando mi sono seduta accanto a lui.

“Niente, figurati. Anch’io facevo fatica a dormire… sai, la carica, l’adrenalina… Insomma, quella roba lì. Capisci cosa intendo?” La mia capacità di elaborare frasi sensate era molto ridotta a quell’ora, ma anche con metà neuroni in standby, ho intuito di aver toccato un tasto dolente quando ho menzionato l’adrenalina.

 

Dev’essere collegata alla tipa di #revenge.

 

“Su dai raccontami,” l’ho spronato dandogli una leggera spallata. “Perché sei capitato qui? In mezzo a dei matti invasati per lo sport?”

“Sei sicura di volerlo sapere? È una storia deprimente. E poco originale, se devo essere onesto.”

“Meglio. Così mi riaddormento prima,” ho scherzato, estorcendogli un timido sorriso.

Inizialmente ha fatto qualche resistenza, ma era chiaro che avesse un estremo bisogno di togliersi un peso. E quando finalmente si è aperto, confidandomi l’origine del suo glorioso proposito, ha parlato come un fiume in piena, come se ci conoscessimo da una vita… come se si fidasse ciecamente di me – una perfetta estranea.

Quando è suonata la sveglia, un paio d’ore dopo, siamo balzati a sedere sul letto – non ho memoria di come ci sono arrivata – e guardandoci abbiamo annuito.

 

Ci siamo! È arrivato il momento.

 

Anche se aveva lo stomaco chiuso per l’ansia, l’ho costretto a fare colazione, poi abbiamo aspettato agli altri componenti del nostro gruppo e ci siamo avviati verso l’area di partenza. Loki mi ha seguita come un cagnolino fino al deposito borse – terrorizzato dall’idea di rimanere solo in mezzo a ventimila persone – e solo lì si è reso veramente conto della portata dell’evento. Subito dopo però ha realizzato che, non essendo allenato, difficilmente sarebbe riuscito a starmi dietro.

“Come ti ritrovo dopo?” Era nel panico più completo.

Istintivamente gli ho afferrato l’avambraccio e l’ho trascinato fino all’ingresso della nostra griglia – in realtà io sarei dovuta partire in un blocco diverso, ma ho persuaso l’incaricato ai controlli a lasciarmi passare. Poi ho costretto Loki a focalizzarsi su di me e gli ho fatto un bel discorsetto motivazionale, in stile marines.

“Stammi a sentire. Adesso devi muovere il tuo culo per 21 km e io ti starò appiccicata come una mosca, intesi? Se ti azzardi a mollare, giuro che ti mando avanti a calci fino al traguardo! È chiaro?”

 

Un po’ rude ma…

 

“Sì. Tu starai con me.”

 

Possibile che di tutta la frase precedente, questa sia l’unica parte che gli è rimasta impressa?

 

Questo… e le nostre dita allacciate – che abbiamo notato contemporaneamente con stupore, ignari di come sia accaduto.

 

***

 

Confesso che la gara non è stata una passeggiata neanche per me, perché cambiare il proprio ritmo per adeguarlo a quello di un’altra persona non è facile – anche se questa è più lenta.

 

Comunque, alla fine Loki ce l’ha fatta!

 

Merito mio – che ho saputo gestirlo, alternando corsa e camminata – ma soprattutto merito suo, per la sua insospettabile resilienza. C’è stata solo una piccola crisi verso il diciassettesimo km – in cui voleva togliersi le scarpe per il dolore insopportabile ai piedi – ma quando gli ho fatto notare che stavamo per raggiungere Emilia si è riscosso.

“Com’è possibile che sia davanti a noi?” ha chiesto sbigottito. “Avrà più di settant’anni…”

“Lei è come un metronomo, non è veloce, ma è costante. E piano piano arriva sempre alla fine. Sai che ha fatto più di cento maratone?”

Dimenticando le gambe pesanti, le vesciche e le abrasioni da sfregamento – l’uso della vaselina nel mondo dell’atletica è stata un’altra provvidenziale fonte di distrazione – ha ripreso a trotterellare, quel tanto che basta per andare a prendere Emilia.

Quando abbiamo raggiunto Mobius, che ci attendeva all’arrivo, abbiamo fatto una foto tutti e tre insieme, con il viso arrossato, grondanti di sudore e con la nostra bella medaglia da finisher al collo. Il sorriso di Loki era autentico e la gioia illuminava i suoi occhi, rendendoli di un azzurro così intenso da togliermi il fiato – senza dubbio una reazione dovuta allo sforzo intenso.

Non so cosa gli sia preso, ma di punto in bianco mi ha abbracciata, stringendomi forte e sollevandomi da terra, quasi fosse incapace di trattenersi.

“Ehi, cerca di lasciare un po’ di Sylvie anche per gli altri,” lo ha rimproverato ironicamente Mobius, vedendomi cambiare colore.

“Giusto,” si è scusato, mettendomi giù. “Penso sia colpa dell’adrenalina,” mi ha sussurrato in un orecchio.

“E a me niente?” si è intromessa Emilia, interrompendo quella strana vibrazione fra di noi.  

Anche se un po’ meno disinvolto – e rischiando di mandarle fuori posto qualche articolazione – Loki ha riservato alla nostra simpatica guastafeste lo stesso trattamento offerto a me. Non ridevo così da molto tempo, e dopo quel viaggio mi sono trovata spesso a ricordare quei momenti, immortalati da Mobius e pubblicati sul sito della TVA.

 

***

 

“Buon proseguimento, spero che anche tu possa raggiungere il tuo glorioso proposito” mi ha augurato Loki al rientro da Valencia – quando ci siamo separati in aeroporto.

Ero abituata agli addii, al vedere le persone entrare ed uscire dalla mia vita come le scie delle stelle cadenti: appena il tempo di rendersene conto e puff, sparite per sempre. O forse, al contrario, ero io che fuggivo da qualsiasi tipo di legame, per non correre il rischio di finire nell’orbita sbagliata – evitare la collisione era meglio che rimettere insieme i cocci dopo scontro. In questo modo nessuno si faceva male, anche se… vagare nel nulla cosmico non era emozionante quanto una dirompente esplosione di energia.

Eppure, allontanandomi da lui, avevo avuto la netta sensazione che quello non fosse un vero addio. A volte le comete ritornano, giusto?

 

No, Sylvie. Non ci sperare!
La terra è piatta e la volta celeste è un ologramma. Al diavolo la fisica.

 

Notes:

Grazie a tutti per i kudos e i commenti!!! 😊

Come promesso ho cercato di inserire i vostri suggerimenti in questo capitolo, in particolare:
• teh_nos per il tag #revenge
• emospacebuns per l’idea dei novelli sposi (solo per finta)
• Stormlight_94 per la scena della scarpa sul letto... vedo se riesco a inserire la videocall a Thor prossimamente
• Surajtare per l'idea dei selfies (ma non con Sylvie)
• Jeddelidah per il cocktail (anche se non è per Loki)
• UnderwaterArch... ovviamente niente letti multipli!

Ora non ci resta che attendere la prossima gara.
Loki cederà alla tentazione di prendere il Tesseract? E alla tentazione di rivedere Sylvie?
(Spoiler) Io penso proprio di sì!
Se avete qualche spunto da inserire nei prossimi capitoli scrivetelo nei commenti, farò del mio meglio per accontentarvi 😉

Chapter 3: Praga - parte1

Notes:

If the world isn't turning
Your heart won't return
Anyone, anything, anyhow

So take me, don't leave me
Take me, don't leave me
Baby, love will come through
It's just waiting for you

Oh, look up, take it away
Don't look down
(LOVE WILL COME THROUGH - Travis)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

SYLVIE  

Non gli avevo chiesto il numero di telefono e lui aveva fatto altrettanto. Meglio non alimentare false speranze – sue, ma soprattutto mie.  

Dopotutto, tra noi non era successo niente, avevamo solo trascorso quattro giorni piacevoli in compagnia, condividendo la stanza in modo civile e senza nessun tipo di complicazione, quindi perché andarsela a cercare ora?  

 

È un bel ricordo, e tale deve rimanere.    

 

Avevo vissuto la trasferta di Valencia in modo concitato e caotico, come del resto ero solita fare, ma evidentemente una scheggia invisibile si era conficcata nel mio subconscio, anche se subito non ci avevo dato troppa importanza.  

Il volto di Loki ogni tanto faceva capolino tra i miei pensieri, cogliendomi di sorpresa nelle circostanze più disparate, ad esempio durante un allenamento particolarmente intenso, o alla vista di un acquario – compresa la vasca delle aragoste, in bella mostra nel costoso ristorante di fronte al negozio dove lavoravo – oppure mentre cercavo di addomesticare i miei capelli con risultati scadenti... o peggio, quando mi svegliavo accanto all’ennesima avventura di una notte, frustrata e avvilita più di prima. 

La mia vita era un susseguirsi di fughe – erano il mio meccanismo di autoprotezione – e scappavo indistintamente dalle cose belle e dalle cose brutte, perché ognuna a suo modo causava sofferenza.  

Apocalissi , così le chiamavo. Quando l’istinto mi diceva che era giunto il momento, abbandonavo quel mondo e ne cercavo un altro in cui sopravvivere, in attesa della successiva catastrofe. 

I legami non erano mai stati il mio forte, e di sicuro l’infanzia infelice e l’adolescenza turbolenta non erano state d’aiuto. Dopo un investimento sbagliato, mio padre aveva perso la sua attività – era il titolare di un’officina meccanica – e ben presto anche il suo primo matrimonio era andato a rotoli. Sommerso dai debiti era finito in giri loschi e si era dato all’alcol.  

Io ero nata da una successiva relazione con una ballerina di un night, ma avevo solo qualche vago ricordo di mia madre. Gli assistenti sociali mi avevano portata via all’età di nove anni e da allora era stato tutto un susseguirsi di strutture e famiglie affidatarie. Non appena raggiunta l’indipendenza giuridica, mi ero chiusa questo grande portone alle spalle, e da allora avevo prestato molta attenzione nell’evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento affettivo. 

Ma, si sa, il destino è sempre in agguato. E proprio mentre riflettevo sulla mia triste esistenza, ho ricevuto una chiamata inattesa. 

“Ehilà, Mobius. Ho dimenticato di pagare qualche rata?” ho esordito, senza dargli il tempo di aprire bocca. Stavo riordinando il magazzino ed era meglio non farmi beccare al telefono in orario di lavoro. 

“No, tranquilla. È tutto a posto,” mi ha rassicurata. “Volevo solo portarmi avanti con l’organizzazione dei prossimi viaggi. E dato che sto cominciando a raccogliere le adesioni per Praga... Sì, insomma, mi chiedevo se per caso tu fossi interessata…” 

 

Uhm. Sa perfettamente che Praga è nella mia lista dei desideri. Perché ho la sensazione che stia omettendo qualcosa?  

 

La gara – che si sarebbe svolta in primavera – faceva parte del circuito delle SuperHalfs. Conoscendomi da anni, Mobius sapeva che era inutile farmi questa domanda ora, a metà autunno, dato che la mia traballante situazione economica non mi permetteva neanche di programmare da un giorno all’altro.  

Non era uno stupido e quella telefonata non era casuale. Cogliendo la sua titubanza, sono rimasta in silenzio, aspettando pazientemente che proseguisse, in modo da scoprire il vero motivo di quel colloquio. 

“Il fatto è che ho ricevuto una richiesta particolare, che necessita la tua approvazione...” L’ho sentito deglutire prima di sganciare la bomba: “In pratica, tuo marito ha prenotato di nuovo una camera doppia e mi ha incaricato di fare da intermediario con te.” 

 

BOOOM!!!  

 

Tutte le scatole che avevo in mano – comprese quelle poste sullo scaffale cui ero aggrappata, in equilibrio precario su una scala – sono volate giù, facendo un gran rumore. 

Preoccupato dal trambusto, Mobius si è interrotto, per accertarsi che fossi ancora viva. “Sylvie? Tutto a posto?” 

 

Ho capito bene? Il Principe ha richiesto espressamente di me?  
Cioè, il primo abbinamento è stato una casualità... ma il bis potrebbe diventare una faccenda seria.  
Dev’essere uno scherzo!  

 

“Intermediario in che senso?” ho sibilato, scendendo rapidamente a sistemare il casino che avevo combinato, onde evitare una strigliata da parte del titolare. 

“Loki vorrebbe passare un’altra luna di miele con te. Accetti o no?” E rincarando la dose ha aggiunto, “Caspita, tu sei testarda, ma neanche lui è da meno!” 

 

Radici. Queste insidiose radici vanno estirpate sul nascere.  
Evidentemente il mio terreno non è arido come credevo.   

 

“Dammi il suo numero di telefono, gli parlo io,” ho ordinato perentoria, sottovalutando la pericolosità di tale iniziativa. 

“Tecnicamente non potrei senza il suo consenso. Sai, la privacy…” ma dopo essersi fatto pregare per un po’, Mobius ha ceduto, girandomi istantaneamente il contatto – scommetto che aveva già preparato il messaggio in anticipo. “Beh, se dovesse andare male con l’agenzia viaggi, potrei optare per quella matrimoniale. Non trovi?” mi ha bonariamente presa in giro. 

“Vai al diavolo!” l’ho insultato scherzosamente. “E comunque sì, trovati un’altra occupazione, perché sto per farti perdere un cliente.” 

 

*** 

 

Certo, questa era la mia intenzione... Peccato che, appena ho sentito la sua voce, ho resettato tutto il resto. E io che mi ritenevo la regina dell’incanto! 

La telefonata, che doveva decretare la fine di ogni rapporto, si è trasformata in un fitto scambio di mail e messaggi nei mesi successivi, fino al giorno della partenza. Loki non solo aveva deciso di fare un’altra gara, ma intendeva anche prepararsi seriamente e mi aveva sommersa di domande, prendendomi come principale riferimento – dato il mio passato da atleta professionista. 

Anche se la sua forza di volontà non avrebbe dovuto stupirmi – era riuscito a portare a termine una mezza maratona senza essere allenato, solo con l’incentivo di qualche pedata sul sedere – lui si è dimostrato molto motivato nel perseguire i nuovi obiettivi che si era prefissato: correre tutta la gara – senza gli intervalli di camminata che erano stati necessari a Valencia – e possibilmente arrivare davanti ad Emilia. 

Ero sicura che avrebbe raggiunto entrambi facilmente, anzi, avrebbe potuto osare molto di più. Periodicamente gli mandavo le tabelle di allenamento e controllavo i suoi risultati sulla app delle attività – che naturalmente avevamo condiviso – ed ero orgogliosa dei suoi progressi, perché mi sentivo parte integrante della sua crescita. 

Tuttavia, dovevo fare attenzione a non bruciarlo . Sapevo bene che all’inizio i progressi sono esponenziali, ma poi, quando il livello si assesta in prossimità del proprio limite, si tende a voler strafare. E allora ci si infortuna, come era successo a me in più di un’occasione – e motivo per cui avevo dovuto abbandonare prematuramente i miei sogni di gloria. 

 

“Sylvie, cosa ci fai già qui? Hai sbagliato fuso orario?” Mobius era sbalordito nel vedermi arrivare in aeroporto in perfetto orario. Gli ho fatto un veloce cenno di saluto, ma il mio sguardo era già andato oltre, a cercare la tuta nera in mezzo alle altre colorate. 

Anche se ci eravamo sentiti spesso negli ultimi tempi, trovarmi di nuovo davanti Loki, in carne ed ossa, era tutt’altra cosa e quando si è avvicinato – per scambiare un casto bacio sulla guancia – il mio stomaco si è messo a fare strane evoluzioni. 

“Ehi, Emilia sarà gelosa,” ho scherzato, per camuffare il mio turbamento. 

“Non credo,” ha risposto candidamente. “Ho già provveduto ad accontentarla.” E l’espressione soddisfatta della nostra cara amica non lasciava ombra di dubbio. 

 

Il suo sorriso, i suoi occhi...  

 

Ammaliata da quella visione, ho accettato di fare colazione con lui – contrariamente alle mie abitudini – per cercare di calmare il fluttuare delle mie interiora, ma questo si è rivelato un grosso errore. Infatti, non appena siamo saliti in quota, sono dovuta correre alla toilette a vomitare. 

 

Bene! Un ottimo inizio direi!   

 

Per fortuna nessuno si è accorto del mio piccolo inconveniente e il resto del volo è filato via liscio, un po’ dormendo e un po’ chiacchierando – prima di partire Loki ha comprato una rivista specialistica sul podismo, apposta per sfogliarla insieme a me. 

Confesso che, arrivati in albergo, ho provato una punta di delusione nello scoprire che la nostra camera prevedeva, oltre al letto matrimoniale, anche un lettino singolo. “Prenderò io quello piccolo,” ho sentenziato, bloccando sul nascere le sue proteste. “Tu sei molto più alto di me, non ci staresti. Invece per me è perfetto.” 

Ammetto anche che, quando lui mi ha controproposto di dormire insieme come a Valencia, sono stata fortemente tentata e ho dovuto fare appello a tutta la mia volontà per dire di no. 

Non che allora lui si sia preso delle libertà o che non sia stato corretto nei miei confronti, anzi. Ma svegliarmi accanto a una persona normale – quindi escludendo i casi umani che solitamente frequentavo a scopo puramente sessuale – ha generato la fantastica illusione di poter aspirare a qualcosa di meglio nella vita. E questo era assai rischioso. 

Sorridendo l’ho osservato di sottecchi mentre ordinava le sue cose, in modo quasi maniacale. Si era portato addirittura delle camicie, e indovina? Tutte piegate come se fossero appena uscite dalla lavanderia.  

Stavo per fare una battutina pungente quando si è ripresentato il malessere di qualche ora prima, stavolta colpendo le regioni più basse del mio addome. Mi sentivo a disagio nell’usare il bagno in camera, quindi con una scusa sono scesa nella hall e mi sono fiondata in quello di servizio. Ahimè, l’episodio si è ripetuto diverse volte nell’arco della giornata: prima all’Expo – dove siamo andati a ritirare i pettorali – poi a pranzo e anche nel corso della passeggiata per il centro, in attesa che scoccasse l’ora sul famoso orologio astronomico. 

Finché eravamo in gruppo sono riuscita a mascherare abbastanza bene il problema, inventandomi improbabili pretesti e sparendo repentinamente nel primo bar a tiro. La notte, invece, si preannunciava piuttosto impegnativa – oltre che estremamente imbarazzante – se non avessi trovato al più presto una soluzione.  

Purtroppo, avevo già il sentore di quello che mi stava succedendo e il messaggio della mia collega sulla chat del lavoro ne è stata l’inesorabile conferma. 

 

Virus gastro-intestinale. Merda (letteralmente)!
Ma quella non poteva starsene a casa, invece di venire in negozio a infettare tutti quanti?!  

 

Dopo aver convinto Loki ad andare a cena con gli altri – promettendo che lo avrei raggiunto in seguito – ho cercato una farmacia e ho fatto scorta di medicinali, assumendo il doppio della dose consigliata per bloccare ulteriori spiacevoli manifestazioni. Ovviamente non sono andata a mangiare, perché solo l’odore del cibo mi faceva venire la nausea, e mi sono ritirata in hotel, sperando di riuscire a riposare. 

Quando Loki è rientrato non ha detto niente, per il timore di disturbarmi. Si è soffermato per qualche istante vicino a me, mentre facevo finta di essere addormentata, poi si è cambiato velocemente, ha spento la luce e si è messo a leggere i suoi eBook. 

Sarà stato l’effetto di quello che ho assunto o non so cosa, ma mentre sbirciavo di nascosto il suo profilo, illuminato dallo schermo del telefono, mi sembrava di stare meglio. 

 

*** 

 

Purtroppo il beneficio è stato solo provvisorio e sabato – il giorno antecedente alla gara – la situazione è degenerata. Dopo aver evacuato in doppia cifra, non sono più stata in grado di nascondere l’amara verità e, seppur in modo molto impacciato, ho dovuto informare Loki riguardo a ciò che realmente mi stava affliggendo. 

“Perché non mi hai detto niente? Avevo intuito che qualcosa non andava,” mi ha rimproverata, con lo sguardo pieno di apprensione. Aveva appena terminato la visita guidata della città, che ovviamente io avevo saltato, così come il pranzo, il giro in battello sulla Moldava... e come sicuramente avrei fatto anche con la cena, per il secondo giorno di seguito. 

“E che differenza avrebbe fatto? Saresti andato in bagno al posto mio?” ho replicato stizzita. Chiaramente non ce l’avevo con lui, ma ero molto amareggiata per tutte le cose che mi stavo perdendo – incluso il godermi la sua compagnia. 

“No, però...” Abbassando il capo, quasi temesse di esternare il proprio pensiero, ha continuato, “Pensavo che ti fossi già stancata del tuo compagno di stanza . E che volessi startene in pace, senza un idiota come me in mezzo ai piedi.” Nonostante il tentativo di ironizzare, il suo tono lasciava trasparire l’esatto contrario. 

 

Già stancata?! 
Questo deve essere per forza l’effetto Sif!   
Ah, se solo fossi in forma...   
Mio caro, non puoi immaginare cosa farei con un idiota come te in mezzo a...    

No. Aspetta Sylvie. Cancella quest’ultimo pensiero, okay?  

 

“Ho cercato di cavarmela da sola, non sono abituata a chiedere aiuto,” ho ammesso sinceramente.  

“Hai già preso delle medicine?” mi ha chiesto, cominciando a rovistare nella sua valigia. 

“Sì. Di vari tipi… e anche più del dovuto. Ma non è servito a niente.” 

Alzando gli occhi al cielo, ha svuotato il contenuto di un beauty nero e mi ha allungato una pastiglia. “Prova questa. L’ho usata anch’io in diverse occasioni e ti assicuro che è molto efficace.” Lanciandomi un’altra bustina, ha aggiunto, “E anche questa, per darti la carica.” 

“Ma tu cosa sei? Un rappresentante farmaceutico?” Allibita dalla varietà di confezioni sparse sul letto, ho commentato, “Strano che non ti abbiano fermato ai controlli con tutta quella merce lì.” 

“No, non sono un rappresentante. Ma diciamo che lavoro nel settore...” 

“Allora sei un dottore?” L’immagine di lui in camice e di me come assistente – avvinghiati sul tavolo della camera operatoria e impegnati in un’intensa attività di ricerca – ha momentaneamente oscurato la mia mente. 

“Beh… sì. Un dottore per animali.” Inconsapevole della piega che avevano preso i miei pensieri, ha specificato, “Sono un veterinario.”  

 

Beh, è lo stesso. Anche i veterinari hanno una sala operatoria, no?  
Sylvie, maledizione smettila!   
Mescolare i vari composti chimici non è stata una buona idea.  

 

“E questo è il doping che dai ai cavalli?”  

“Sono specializzato in rettili,” ha ridacchiato. “Tranquilla, è solo un integratore. Comunque, domani niente corsa per questa puledra. Devi stare a riposo, intesi?”  

Gli ho fatto cenno di sì, ma in realtà non avevo la minima intenzione di rinunciare alla gara – nonostante me l’avesse ordinato il dottore più sexy che avessi mai incontrato – e sono sicura che pure lui non fosse per nulla convinto dalla mia risposta. Sospirando si è alzato, ha preso la giacca e si è avvicinato alla porta. “Scendo a mangiare una cosa veloce al bar qui sotto, sei sicura di non volere niente?” 

 

Rinuncia alla cena con gli altri per stare con me?  

 

Sghignazzando – probabilmente per la mia espressione da ebete – è uscito, lasciandomi sola a riflettere sul fatto che, dopotutto, quel virus non era stato del tutto una sfortuna, ma presentava dei lati positivi inaspettati. Dopo circa una mezzoretta il mio Principe è ricomparso, portandomi una tisana e qualche biscotto. Con molto sforzo mi sono messa a sedere e ho sgranocchiato qualche boccone – più per farlo contento che per la fame – poi mi sono rintanata di nuovo nel mio nido, immergendomi fino al naso. Mi sentivo completamente congelata, anche se avevo già alzato la temperatura della stanza a livelli tropicali.  

“Probabilmente hai un po’ di febbre,” ha logicamente dedotto, controllando all’interno dell’armadio. “Non ci sono coperte di riserva, ma se vuoi possiamo aggiungere le mie.” 

Senza attendere la mia risposta, ha buttato la sua trapunta sopra di me poi, prendendomi alla sprovvista, ha cominciato a sfregarmi energicamente la schiena, sedendosi sul bordo del materasso. “Va meglio?” 

Ho annuito con la testa, senza avere il coraggio di voltarmi verso di lui o di protestare per la sua deliberata invasione di campo. Sarei rimasta così fino a mattina, con le sue mani che irradiavano calore in tutto il mio corpo, nonostante i vari strati di tessuto che ci separavano... e in effetti è quello che è successo.  

Ci siamo messi a chiacchierare del più e del meno sottovoce, con le luci spente. Piano piano, mentre mi massaggiava, è scivolato sempre più in basso – appoggiandosi prima su un gomito, poi rannicchiandosi dietro di me – finché non si è addormentato. 

Il suo respiro regolare accarezzava i miei capelli e, pur cominciando a sudare, non ho avuto il cuore di spostarmi, per non interrompere quel momento magico.  

 

La mia cometa è tornata! – ho pensato beata, cedendo al sonno a mia volta. 

Notes:

Grazie a tutti per i kudos e i commenti!!!

Ho inserito qualche vostro suggerimento anche in questo capitolo, in particolare:
- Stormlight_94 per la scena con Emilia in aeroporto
- Jeddelidah per un nuovo intervento di Mobius, che a quanto pare si sta impegnando con questi due.

Vi ricordo che potete influenzare lo sviluppo delle scene presenti nei prossimi capitoli tramite i vostri commenti.

Perciò...
Sylvie rinuncerà alla gara? (qualcosa mi dice di no)
E come se la caverà?
Loki penserà solo ai suoi obiettivi o...

Chapter 4: Praga - parte 2

Notes:

I don’t want this moment, to ever end,
Where everything’s nothing, without you.
I’ll wait here forever just to, to see you smile,
Cause it’s true, I am nothing without you.
(WITH ME - Sum 41)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

LOKI

La mattina della gara mi sono svegliato nel lettino completamente fradicio di sudore, un po’ per la sconsiderata impostazione del termostato e un po’ per il calore sprigionato dai nostri corpi.

Ho stiracchiato le gambe – indolenzite per la prolungata posizione scomoda – muovendomi più delicatamente possibile, ma ho comunque destato anche Sylvie, che si è girata verso di me, biascicando un sonnolento “Buongiorno.”

“Ehi, come va?” le ho chiesto, sfiorandole la fronte, per scostarle i capelli e controllare la temperatura corporea. Era sudata quanto me, ma non aveva la febbre e le sue guance avevano ripreso colore, rispetto al bianco cadaverico del giorno prima.

Dapprima è arrossita, forse presa in contropiede dal mio gesto istintivo, poi ha risposto con tono canzonatorio: “Me lo dica lei dottore.”

 

Sono nel suo letto, le sto toccando il viso e i miei pantaloni... Oh, no! Cosa sta succedendo lì dentro?

 

Quando ho preso coscienza della situazione compromettente in cui mi trovavo, ho scostato rapidamente la mano, avvampando a mia volta.

“Perdonami. Deformazione professionale,” ho balbettato, alzandomi di scatto per coprire la zona pelvica con il mucchio di panni che mi ero preparato la sera precedente.

“Anche ai serpenti si misura la febbre?” l’ho sentita interrogarsi mentre mi chiudevo la porta del bagno alle spalle. Appoggiato con la schiena contro il muro, ho chiuso gli occhi e ho fatto un gran respiro, dandomi mentalmente dell’idiota e provando a calmarmi.

Quando ho sbirciato il riflesso allo specchio però, la vera origine del mio turbamento – che aveva causato un rigonfiamento anomalo nel pigiama – era ancora ben evidente.

 

È successo anche qui… Non può essere una coincidenza…

 

A Valencia, dopo aver compiuto la mia grande impresa, ero rimasto piacevolmente sorpreso dal clamoroso alzabandiera che aveva inaugurato la giornata successiva. Dopo un lungo periodo di calma piatta, cominciavo a pensare che il trauma di Sif avesse causato dei danni irreversibili alla mia sessualità. Nonostante la psicologa mi avesse rassicurato, dicendomi che a tempo debito avrei ritrovato gli stimoli, cominciavo ad essere scettico, finché…

Lì per lì ho dato la colpa all’intenso sforzo fisico, che in un qualche modo aveva messo a tacere la giostra di pensieri negativi che avevo in testa, oppure alla famosa adrenalina, o ancora alla soddisfazione derivante dalla vendetta – seppure piccola in confronto a quello che avevo subìto.

L’episodio si era ripetuto sporadicamente nei mesi successivi, ma subito non avevo fatto caso alla strana concomitanza di questi eventi con i miei contatti con Sylvie – comunque limitati a messaggi e telefonate. Al contrario, pensavo che fossero collegati alle mie nuove frequentazioni – due bellissime donne (una consulente finanziaria e un’imprenditrice) e un giovane artista alquanto estroso – ma la mia carenza di entusiasmo nei momenti chiave aveva reso piuttosto chiaro il fatto che la mia fonte d’ispirazione era un’altra.

 

Ed ora, ecco la prova inconfutabile!

 

Con l’avvicinarsi della data di partenza, le tumescenze peniene notturne – sono un dottore, quindi usiamo un termine medico per confondere anche il lettore, oltre che me stesso – si erano fatte sempre più frequenti tanto che, sporadicamente, ne avevo approfittato per cavalcare l’onda. Certo, non era come il vero sesso e ci voleva molta immaginazione – a tal proposito, ammetto che la foto profilo di Sylvie è stata un prezioso aiuto – ma rappresentava comunque un grosso passo avanti.

 

Devo stare più attento! Chissà cosa penserebbe se mi vedesse in questo stato…

 

Mi sono buttato sotto la doccia e finalmente, con l’effetto dell’acqua gelata, l’emergenza è rientrata. Ho indossato l’abbigliamento da corsa e ho messo sopra la tuta, in modo da essere più rapido nel cambio abiti prima del via – sarebbe stato sufficiente togliere lo strato superiore e depositare la sacca degli indumenti negli appositi stand, senza spogliarmi nuovamente. Poi sono uscito a testa bassa dal bagno, ancora preso dalle mie riflessioni, rischiando di travolgere Sylvie.

“E tu dove credi di andare?” l’ho rimproverata, vedendo che anche lei era in tenuta da corsa.

“Uhm. Maglietta, pantaloncini, scarpe da ginnastica… tu cosa dici?” mi ha risposto, per nulla intimidita dal mio sguardo severo.

Ne è nato un piccolo battibecco, ma è stata irremovibile – d’altronde Mobius mi aveva messo in guardia su questo aspetto del suo carattere. Capendo di non avere la minima possibilità di farla ragionare, ho cercato un compromesso: “Allora correrò con te, per tenerti d’occhio. Ma se mi accorgo che sei in difficoltà, ti obbligherò a fermarti. Il codice medico me lo impone.”

“Grazie per la tua premura, ma la corsa delle lumache l’ho già fatta la volta scorsa! Oggi vorrei seguire il mio ritmo, senza diventare vecchia aspettando te,” ha sbottato.

Sapevo che mi stava provocando apposta per farmi desistere, ma ero convinto che non pensasse sul serio quelle cose – o almeno lo speravo. Era brava nel far allontanare le persone, lo aveva ammesso lei stessa durante la nostra chiacchierata notturna, ma anch’io ero abile in questo gioco e sapevo riconoscere un bluff.

“Allora cercherò di starti dietro, così moriremo insieme. Tu di disidratazione e io d’infarto.”

 

Se vai tu, vado anch’io. Baby.

 

“Non ti facevo un tipo romantico,” ha commentato con sarcasmo, ma un leggero sorriso la tradiva. “Ora è meglio se ci avviamo, altrimenti partiranno senza di noi.”

 

***

 

I primi chilometri mi ha fatto morire... poi è stato peggio!

Durante la preparazione, Sylvie mi aveva consigliato di mantenere un ritmo conservativo all’inizio, ed eventualmente accelerare verso la fine, nel caso avessi avuto ancora abbastanza energie. Ma ostinandomi a starle dietro, ho dovuto mettere alla frusta tutti i miei cavalli perché, seppur equipaggiata con leve più corte delle mie, era dannatamente veloce.

Inoltre, durante i ristori predisposti lungo il percorso, lei riusciva a bere correndo, mentre io ero costretto a fermarmi – per evitare che mi andasse tutto di traverso – perdendo ulteriormente tempo.

Infatti, alla prima sosta – dove avevamo solo un centinaio di metri di distanza – lei ha raddoppiato il suo margine di vantaggio proprio per questo. Al decimo chilometro sono riuscito a mantenere il distacco inalterato adottando una tecnica più efficace per idratarmi, e al quindicesimo ho addirittura recuperato, portandomi a una trentina di secondi da lei.

Ho notato che ogni tanto, soprattutto nei rettilinei, si girava indietro, per verificare dove fossi, ma non ne capivo il motivo. Quando l’ho raggiunta – più o meno al diciottesimo chilometro – pensavo che i polmoni mi uscissero dalle orecchie. Aveva rallentato vistosamente e temevo che non stesse bene, ma quando ci siamo allineati è scoppiata a ridere per via della mia faccia stravolta.

“Allora, sei pronto per lo sprint finale?” mi ha sfidato, accelerando di nuovo.

 

Veramente sto facendo lo sprint finale da quando siamo partiti! – mi sono limitato a pensare, troppo a debito di ossigeno per formulare qualsiasi parola.

 

Appena ho tagliato il traguardo e mi hanno infilato la medaglia di finisher al collo, mi sono buttato a terra per riprendere fiato, nonostante io sia notoriamente un maniaco dell’igiene e quel luogo non rientrasse assolutamente nei miei canoni abituali.

“Bravo. Sei riuscito a seminare Emilia,” si è complimentata Sylvie, sedendosi sui talloni accanto a me e dandomi dei colpetti amichevoli sul petto. Il suo sorriso luminoso mi ha fatto rinascere istantaneamente.

Ho preso la sua mano – con la scusa di aiutarmi a mettermi a sedere – e l’ho tenuta lì, dove l’aveva appoggiata. “Sai che se muoio adesso è colpa tua, vero?”

“Eppure, oggi ci sono andata leggera! Ti ho solo spronato ad uscire dalla tua zona di confort, però non ti ho spremuto al limite... Devo tenerti buono per la prossima trasferta a Copenaghen,” mi ha confessato.

“Ma quindi… Andremo insieme anche a Copenaghen?” le ho chiesto speranzoso, contenendo a stento la gioia per quell’anticipazione.

Avrei voluto abbracciarla – ancora mi chiedo da dove ho tirato fuori il coraggio per fare un gesto simile a Valencia – ma ho perso l’attimo... Lei si era già alzata, dandomi le spalle, e se l’era cavata con un vago, “Può essere.”

L’ho inseguita tra la folla di corridori stanchi e sudati – d’altronde non avevo fatto altro nell’ultima ora e quarantasette minuti, questo era il tempo che segnava il mio smartwatch – finché non abbiamo individuato la postazione di Mobius, che ci attendeva per le classiche foto di rito.

“Puoi andare tu al deposito a ritirare la sacca con gli abiti di ricambio, per favore?” mi ha pregato, consegnandomi il suo pettorale. “Io ti aspetterò qui.”

Ero ancora talmente euforico dalla prospettiva del nostro prossimo viaggio, che non ho fatto caso al suo repentino cambio di atteggiamento, diventato improvvisamente evasivo e sfuggente. Smanioso di compiacerla, sono schizzato a recuperare gli indumenti, fischiettando allegramente come un fanciullo, ritrovando però un’amara sorpresa al ritorno.

 

***

 

Nel punto di ritrovo concordato c’era un gruppo di persone, disposto a cerchio attorno a qualcuno disteso a terra, ma non riuscivo a vedere chi fosse. Nei momenti di incertezza, sono sempre stato incline a figurarmi gli scenari peggiori e, non scorgendo Sylvie da nessuna parte, l’ansia mi è esplosa nello stomaco, risucchiando in un attimo tutta la felicità di qualche minuto prima.

Aprendomi un varco a spallate, ho riconosciuto le sue scarpe – confermando il mio triste presentimento – e allora, a passo di carica, ho travolto tutto quello che si trovava sul mio cammino e mi separava da lei.

Era cosciente, ma molto molto pallida e Mobius, inginocchiato al suo fianco, le controllava le pulsazioni e le faceva aria, tenendo lontano i curiosi più invadenti.  

“Che cosa è successo?” gli ho chiesto, anche se sapevo già la risposta.

“È svenuta poco dopo che ti sei allontanato e...”

Non l’ho neanche lasciato finire di parlare. Senza tergiversare, l’ho presa in braccio e l’ho portata di peso fino all’ambulanza – ce n’erano diverse a disposizione, sia lungo il percorso che nella zona di arrivo – dove l’hanno caricata su un lettino, le hanno controllato i parametri vitali, somministrato una flebo ed infine l’hanno tenuta in osservazione per almeno un’oretta.

“Sei tanto arrabbiato con me?” mi ha chiesto timidamente, consapevole di aver tirato troppo la corda, fregandosene delle mie raccomandazioni.

 

Come faccio a essere arrabbiato se mi guardi in quel modo...

 

“Mah, non saprei... Dopo un numero del genere, non sono più sicuro di voler andare con te a Copenaghen,” ho scherzato, per stemperare la tensione.

“Hai ragione. Sono stata un’idiota,” ha ammesso, anche se con fatica. “Non è saggio correre una mezza maratona dopo aver passato una giornata sul water, vero?”

“No. E neppure cercare di battere il record del mondo! Diamine, Sylvie. Avrei dovuto darti dei tranquillanti al posto dell’integratore.”

“Allora porta su quelli forti la prossima volta,” ha ribattuto ironicamente. Ci siamo fissati per un lungo istante, poi lei mi ha sfiorato la mano, per tranquillizzarmi. “Ora sto meglio. Possiamo andarcene da qui? Non vedo l’ora di farmi una doccia.”

Con il consenso dei paramedici, l’ho aiutata ad alzarsi e le ho offerto il braccio per raggiungere l’uscita dell’area chiusa al traffico. Lei non era nelle condizioni di affrontare un viaggio in metropolitana, magari affollata e senza posti a sedere, e Mobius mi aveva sconsigliato di chiamare un taxi, perché la circolazione automobilistica era ancora rallentata per via della gara – anche se ormai si era conclusa, i volontari erano ancora all’opera per pulire le strade e sistemare le aree utilizzate.

Non avendo altre alternative ho noleggiato una bici tramite la app e ho caricato Sylvie sul portapacchi, sperando che reggesse fino all’hotel – non essendo propriamente omologato per tale scopo. Lei mi ha lanciato un’occhiata perplessa, probabilmente conscia del fatto che stavamo per fare una cosa illegale ma, capite le mie intenzioni, si è limitata a sogghignare, passandomi le braccia intorno alla vita senza fare obiezioni.

Di per sé, guidare la bici e consultare contemporaneamente il navigatore, rispettando la segnaletica e stando attento alle manovre degli altri, non è affatto facile. Inoltre, a complicare ulteriormente le cose, c’era la presenza di Sylvie, stretta a me e con la testa che ciondolava sulla mia schiena.

Nonostante la circostanza infelice, mi stavo segretamente godendo quell’escursione non programmata, tanto che ho scelto di proposito un percorso leggermente più lungo, ma più suggestivo, per farle vedere alcune cose che si era persa nei giorni precedenti.

Giunti in albergo, abbiamo fatto uno spuntino in camera con hotdog e birra – che ho comprato al volo fermandomi presso una baracchina del centro – poi le ho suggerito di mettersi a riposo. Tuttavia, avendo recuperato un minimo le forze, era meno propensa a starmi a sentire e voleva fare di testa sua.

“Non riesco a mettermi a letto senza aver fatto la doccia. Però con l’acqua calda rischio di collassare ancora. Non è che mi potresti assistere?”

 

Come prego?!
Di che tipo di assistenza ha bisogno?
Cioè… intende un aiuto a spogliarsi? O lavarsi? O…
Calma, Loki. Calma.

 

“Terrò l’abbigliamento intimo,” ha puntualizzato, come se mi avesse letto nel pensiero. “E tu starai appena fuori dal box, pronto ad intervenire se avrò degli altri cali di pressione. Okay?”

 

E la mia di pressione? Chi la controlla? Sarà già alle stelle!

 

L’ho seguita ubbidientemente in bagno e mi sono voltato con discrezione mentre si spogliava, anche se lei non sembrava per nulla imbarazzata.

“Che c’è? Non hai mai visto una donna in costume?” ha chiesto, cogliendo il mio disagio. “Dai Loki, solo stamattina ne avrai viste passare centinaia nella zona cambio… O eri più interessato allo spogliatoio degli uomini?” ha aggiunto maliziosa.

“Un po’ di entrambi,” ho brontolato.

 

Ma non erano te!

 

Cedendo alla curiosità, sono rimasto inevitabilmente rapito dai giochi di riflessi e trasparenze dell’acqua, che danzava allegramente sul suo corpo, trascinando con sé la schiuma lungo le sue curve, in modo lento e sinuoso, quasi a volermi sfidare.

Mentre si massaggiava la cute, mi pareva di sentire scorrere le sue dita fra i miei capelli, dapprima con tocchi gentili, poi sempre più energiche e bramose. Completamente ignara del mio crescente desiderio, teneva le palpebre chiuse – per evitare che lo shampoo finisse negli occhi – mordendosi il labbro inferiore per la concentrazione.

Sono stato ad un passo dall’intervenire – e non per motivi medici. Quando ha chiuso il rubinetto si è passata le mani sul viso, rimanendo lì per qualche istante, sospirando. Poi mi ha rivolto uno sguardo talmente intenso, carico di emozioni indecifrabili, da togliermi il fiato.

Sono scappato fuori senza indugiare oltre, per paura di compiere qualche azione azzardata di cui avrei potuto pentirmi. Il mio corpo però stava reclamando di nuovo la mia attenzione, alla disperata ricerca di un rapido sollievo.

 

Diamine. Un’altra volta…

 

***

 

Abbiamo passato il pomeriggio in camera, lei a riposare e io a leggere e a telefonare sul piccolo terrazzo, per non disturbarla. 

“Bravo. Hai fatto un gran tempo!” si è complimentato Thor, mio fratello maggiore. “Dai, fammi vedere la medaglia.”

Ce l’avevo ancora al collo, quindi ho attivato la videochiamata e mi sono inquadrato, appoggiando il telefono, per aprire la felpa e mostragli orgoglioso il mio trofeo.

“Una lepre mi ha tirato fino al traguardo. Non sarei mai andato così forte senza di lei.”

Pur mantenendomi sul generale, Thor mi ha stupito con la sua perspicacia: “Ah, capisco… È per caso la stessa lepre che sta saltellando dietro di te in mutande?”

Ho ruotato talmente velocemente il busto, che per poco non mi sono rovesciato dalla sedia – sulla quale ero in bilico con le gambe incrociate sul tavolino. Effettivamente Sylvie era in mutande e maglietta e stava provando diverse combinazioni di vestiario con estrema disinvoltura, come se fosse a casa sua.

Sghignazzando per la mia goffaggine, Thor ha continuato ad infierire: “E cosa fate di bello stasera? Magari una maratona di tipo diverso? No dai, aspetta. Riattiva il video…”

Mi sono affrettato a salutarlo e ho messo giù – avevo altre priorità di cui occuparmi, sicuramente più allettanti di lui. Sperando che Sylvie non avesse sentito l’ultima parte di conversazione – il terrazzo sembrava ben isolato, ma non potevo esserne certo – sono rientrato in camera e le ho chiesto cautamente per cosa si stesse preparando.

“Beh, non andiamo a cena con gli altri?” ha risposto, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Certo, se te la senti usciamo. Dammi cinque minuti e sono pronto, okay?”

Sapevo già cosa mettermi – avevo studiato l’outfit per un’eventuale occasione speciale prima di fare le valigie – perciò sono andato a colpo sicuro nell’armadio. Dato che lei non si era fatta problemi, mi sono sentito legittimato a spogliarmi e rivestirmi in sua presenza, sfoggiando un paio di jeans blu scuro e il mio asso nella manica per eccellenza: la camicia bianca.

Avevo fatto la doccia da poco e i capelli erano più mossi rispetto al solito – il phon da viaggio non asciuga quanto quello normale, quindi sono rimasti leggermente umidi – ma stavano comunque bene e mi davano un’aria un po’ ribelle.

Il mio ego ha fatto le capriole quando mi sono accorto che lei era rimasta a bocca aperta, incapace di togliermi gli occhi di dosso. E anche durante il resto della serata, l’ho beccata diverse volte a fissarmi, il ché ha risvegliato la mia vanità sopita.

Come di consueto, la cena con il resto del gruppo podistico è stata piuttosto caotica e chiassosa, ovvero l’opposto di quello che avevo irrazionalmente sognato. Tuttavia, non mi sono dato per vinto e, mentre l’attenzione era monopolizzata da Sylvie – tutti hanno voluto sincerarsi sulle sue condizioni e le hanno rivolto parole gentili – ne ho approfittato per cercare qualcosa di interessante da visitare dopo cena.

Notando con piacere che le erano tornate le forze, ho preso il coraggio a due mani e le ho proposto di fare una passeggiata prima di tornare in albergo. Ovviamente, essendo in compagnia, sono stato obbligato ad estendere l’invito anche agli altri, ma Mobius, facendomi l’occhiolino, ha convinto tutti a desistere – con la scusa che l’indomani saremmo ripartiti presto e che quindi era consigliabile andarsene a dormire.

“Ti va un drink?” le ho chiesto quando siamo giunti davanti all’Hemingway Bar.

Non avevo ancora finito la frase che lei era già entrata. “Certo! È proprio il pub che volevo visitare… se non avessi preso quel maledetto virus.”

Abbiamo provato due cocktail diversi a base di assenzio – il Fairy Tale e il Death in the Afternoon – e ce lo siamo scambiati, dibattendo più di un’ora per stabilire quale fosse il migliore. Poi abbiamo passeggiato per le vie del centro e abbiamo scattato qualche foto sul Ponte Carlo, meno affollato rispetto al solito per via dell’orario.

Giunti ai piedi della salita per il castello, ci siamo fermati presso una bancarella a prendere il famoso chimney – evidentemente Sylvie aveva riacquistato anche l’appetito, ed era semplicemente adorabile con la faccia ricoperta di cioccolato.

 

Devo tenere a mente questo dettaglio per Copenaghen!

 

L’ho aiutata a pulirsi con dei fazzoletti di carta – anche se di primo impulso avrei usato la lingua – poi ci siamo avventurati su per il sentiero panoramico, usando la torcia del telefono in alcuni tratti scarsamente illuminati.

“Ma non ne hai avuto abbastanza dei chilometri fatti stamattina?” ho sbuffato in modo teatrale, ingobbendomi sempre di più per simulare uno sforzo sovrumano.

Ridendo per la sceneggiata, ha afferrato la mia mano, tirandomi avanti di peso. “Dai vieni! Non sei stato tu a chiedermi di fare due passi? Vedrai che il movimento ti farà bene, serve per scaricare l’acido lattico in eccesso.”

Esattamente come in gara, continuava a starmi davanti per incitarmi… E ormai, a notte fonda e con una discreta dose di alcol in corpo, ero completamente ossessionato da quel fondoschiena, perché non avevo fatto altro che seguirlo tutto il giorno.

Tuttavia, mi sono comportato da gentiluomo: nonostante l’atmosfera romantica e la buona predisposizione di Sylvie – era talmente allegra e spensierata, così diversa da quella ragazza arrabbiata con il mondo che avevo incontrato la prima volta – non ho non ho approfittato dei punti panoramici più appartati, per provarci con lei.

Siamo tornati in hotel quasi all’alba e ci siamo buttati sul letto ancora vestiti. Di lì a poco è suonata la sveglia e abbiamo preparato le valigie in fretta e furia, prima di scendere a fare colazione. Poi siamo filati in aeroporto e finalmente, non appena ci siamo accomodati in aereo, abbiamo recuperato qualche ora di sonno.

Ero stremato ma felice, come non lo ero da tempo immemore. Mi stavo ancora gustando la sensazione inebriante delle labbra di Sylvie sulla mia guancia – ci siamo salutati prima di prendere i rispettivi mezzi per tornare a casa – quando un improvviso crampo addominale mi ha colto di sorpresa...

A quanto pare, mi sarei portato a casa anche un altro souvenir della mia affascinante compagna di stanza, assai meno gradito e desiderabile del precedente!

 

Notes:

Come solito vi ringrazio per i kudos e i commenti.
In questo capitolo ho ripreso un commento di Stormlight_94 a proposito della videocall tra Loki e Thor (quindi ho aggiunto questa piccola scena divertente) e, a grande richiesta, ho inserito altre pillole di “Loki premuroso”, che tanto piace.
Su suggerimento di Jeddelidah e Surajtare, non potevo permettere che Sylvie tornasse a casa senza aver visto Praga… quindi le ho concesso la guida migliore. 😉

Bene, la storia prosegue con Copenaghen e, a quanto pare, i nostri due protagonisti hanno già un mezzo accordo per la prossima trasferta.
Secondo voi come andrà?
Continuerà la fase di studio reciproco?
Prenderanno coscienza dell’attrazione fra loro?
Ah, probabilmente arriverà un guastafeste.

Chapter 5: Copenaghen - parte 1

Notes:

Stand down on your demons
'Cause no one wins this war
You've sharpened your weapons
For another useless cause
There'll be no survivors
As long as we can

Tear down these houses
Tear down these houses

What have you done to me
And what have I done to you
Facing each other to the death
No other soul to witness this
(TEAR DOWN THESE HOUSES - Skin)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

SYLVIE

Per la terza volta ho fatto ripartire il file audio da capo… avanti e indietro a ripetizione per più di un’ora, come una droga.

Nonostante la materia interessante – lui stava spiegando alcune complesse nozioni di biochimica – l’unica cosa che percepivo era la sua voce, in quel magico viaggio che andava dalla purezza delle note più alte alla profondità delle note più basse, il tutto servito su un avvolgente manto di velluto.

 

La regolazione allosterica non è altro che un abile inganno. Una molecola, invece di toccare il sito attivo, sceglie un punto più nascosto e sensibile dell’enzima, esercitando una pressione lieve, ma decisiva. La forma dell’enzima cambia, e a quel punto l’incontro con il vero substrato diventa irresistibile o, al contrario, del tutto impossibile.

 

La mia mente si cullava in questo armonioso ondeggiare di emozioni, focalizzandosi solo su alcune parole chiave, che venivano strappate dal loro nobile contesto per essere catapultate a un livello molto... molto più basso.

 

Prrr, prrr, prrr.

 

Sembrava un gatto che faceva le fusa. Solleticata da quella dolce melodia, ogni fibra del mio essere vibrava in risposta, amplificando la potenza man mano che la scossa mi attraversava, a partire dalle estremità più lontane fino ad arrivare al mio centro nevralgico.

Da quando avevo scoperto che le facoltà di fisioterapia e veterinaria prevedevano alcuni esami in comune, avevo sfruttato l’occasione per chiedere aiuto a Loki sugli argomenti più ostici. Non avevo calcolato l’effetto controproducente di questi podcast sulle mie capacità cognitive… e nemmeno la forte dipendenza che causavano, in particolare se ascoltati nell’intimità del mio monolocale.

 

Oh!  – avevo sussultato a causa di un improvviso picco di eccitazione.
Non avresti mai dovuto guardarmi così…
La maschera da bravo ragazzo si è sciolta all’improvviso, non è vero?

 

Continuavo a ripensare a quanto era successo a Praga… alla doccia mezza vestita, con lui appena fuori dal box, a fare la guardia.

Era preoccupato per le mie condizioni, ed era molto teso per la mia bizzarra richiesta – le sue nocche erano bianche mentre se ne stava ostinatamente voltato dall’altra parte. Con il passare dei minuti però, aveva ceduto alla curiosità – con la scusa dello shampoo avevo tenuto le palpebre socchiuse, apposta per incoraggiarlo.

E allora...

Avevo percepito distintamente il suo sguardo sulla mia pelle, quasi come se fosse stato lì con me, sotto il getto dell’acqua – con le sue mani calde che mi insaponavano ovunque, scivolando lente e sensuali sotto i pochi indumenti che avevo tenuto addosso.

Ed ero sicura di quello che avevo letto nei suoi occhi quando, prendendo un gran respiro, avevo avuto il coraggio di incrociarli. Per questo era fuggito in modo repentino, quasi buttando giù la porta del bagno: si era sentito scoperto, non era riuscito a celare completamente i suoi pensieri impuri – e magari anche il suo corpo ne stava dando evidenza.

 

Desiderio.
Tanto potente quanto inopportuno… come il mio. Messo a tacere e combattuto, maltrattato e deriso. Afferrato per il collo e affogato con determinazione, salvo poi riaffiorare come olio nell’acqua, ancora più indomabile di prima.
 

Dio, come vorrei sentire ancora quello sguardo su di me!

 

La gara di Copenaghen si avvicinava e francamente non sapevo come gestire questa situazione. Solitamente andavo dritta al sodo, prendendo quello di cui avevo bisogno senza farmi troppi scrupoli, ma perché non riuscivo a fare lo stesso con lui? Eppure, non potevo negare di desiderarlo fisicamente – soprattutto ora, che stavo abusando virtualmente di lui per alimentare le mie fantasie.

 

Non so. Il nostro è un legame particolare.

 

Anche se estremamente diversi – suppongo a causa dell’ambiente in cui siamo cresciuti – in certi frangenti mi rispecchiavo perfettamente nei suoi comportamenti, nei suoi timori, nelle sue capacità… infierire su di lui sarebbe stato un po’ come fare un torto a me stessa, cosa che non era affatto nella mia natura.

Ma in questo limbo nel quale ci ritrovavamo sospesi, vicini e lontani contemporaneamente, il sesso che ruolo poteva giocare?

Io lo consideravo una sorta di scaccia pensieri, una efficace valvola di sfogo e un valido passatempo per evadere dalla noia della vita quotidiana. Ma una volta concluso, mi lasciava sempre un retrogusto amaro, quel senso di incompiuto, come se nella ricetta mancasse qualcosa.

Tuttavia, l’ingrediente speciale tanto ambito era altamente pericoloso, e lui ne era la prova: aveva sbagliato le dosi e il suo piatto preferito non era più commestibile. Quindi perché ostinarsi a voler complicare un istinto primordiale?

Forse Loki aveva solo bisogno di riscoprire le cose semplici, di ripartire dalla meccanica di base. Se il sesso non portava con sé anche altri sentimenti, allora avemmo avuto buone possibilità di divertirci durante le prossime trasferte.

Ma la mia regola di sopravvivenza era ferrea e richiedeva la massima cautela: non dovevo dargli false speranze – mettendo bene in chiaro il confine da non superare – e non dovevo cadere nella stessa trappola dalla quale stavo cercando di liberare lui… cosa niente affatto scontata.

 

Lascia fare a me, Dottore. Stavolta ti curo io.

 

Fortunatamente l’autoerotismo era molto più innocuo e non richiedeva nessuna delle precauzioni sopra elencate.

Quindi, dopo aver prolungato l’agonia con queste riflessioni impegnate, sono tornata a concentrarmi sulla sua voce e mi sono lasciata andare – immaginandolo con quella famosa camicia bianca, stropicciata e strappata dalla mia presa convulsa, mentre lo cavalcavo fino allo stremo.

Non c’è voluto tanto. Gli spasmi mi hanno scossa rapidamente da capo a piedi, lasciandomi ansimante e spossata a fissare il soffitto per qualche momento.

Appena ripreso fiato, ho chiuso il file – per evitare nuove tentazioni – e ho appoggiato il telefono sul comodino, rivolgendo un’ultima parola affettuosa al mio fantastico amante.

“Grazie Loki, le tue spiegazioni sono sempre molto esaustive. Buonanotte, mio caro.”

 

***

 

Purtroppo, il giorno della partenza gran parte del mio entusiasmo si è spento, a causa di uno scheletro che giaceva da tempo nel mio armadio e che, con un tempismo straordinario, è tornato a tormentarmi proprio quando cominciavo a sperare in un briciolo di felicità.

 

Non mi libererò mai di lui.
Per quanto lo combatta, continuerà a riproporsi sotto nuove forme, appositamente per rovinarmi l’esistenza.

 

Una settimana prima, Mobius mi aveva avvisato che Nate – all’anagrafe Nathaniel Richards, un mio ex… compagno di avventure, definiamolo così – aveva preso il posto di Casey e, dato che i due si erano accordati privatamente per lo scambio, non era riuscito a inventarsi una scusa per negargli il posto.

Sapeva che tra noi non correva buon sangue, perciò era dispiaciuto per l’inconveniente, ma l’ho rassicurato dicendogli che il fatto non avrebbe compromesso il mio viaggio – nonostante fossi notevolmente contrariata.

Con questa premessa, al mio arrivo in aeroporto, dove poteva mai trovarsi il guastafeste se non accanto alla persona che, fra tutte, era meglio tenergli alla larga?

“Toh, guarda chi si rivede... La mia triatleta preferita!” mi ha accolto con un sorriso beffardo, lasciando Loki assai sorpreso al suo fianco.

“Ciao Nate,” ho mugugnato, passandogli velocemente davanti per abbracciare il mio Principe, con uno slancio maggiore rispetto al solito.

“Triatleta?” mi ha chiesto quando ci siamo separati, preso in contropiede dalla mia esuberanza.

 

Già. Scommettere, sbronzarsi e scopare – queste erano le tre prove previste dal triathlon dei depravati.

 

“È una lunga storia,” ho tagliato corto, cercando di coprire il risolino in sottofondo con i miei aggiornamenti sull’esame di biochimica – che nonostante le varie distrazioni avevo superato brillantemente.

Ma era chiaro che la fortuna quel giorno non girava dalla mia parte. Infatti, con quasi duecento posti a disposizione sull’aereo, Nate si è accomodato giusto dietro di noi, sempre con quel sorrisino patetico stampato sul viso.

Dopo il terzo tentativo di fare conversazione con Loki, puntualmente interrotto da intromissioni non richieste provenienti dal sedile posteriore, mi sono ficcata le cuffie in testa e ho finto di dormire, cercando nel frattempo di studiare le contromosse.

 

Strozzarlo? Bruciarlo? Trafiggerlo con una spada?

 

Sono rimasta piuttosto silenziosa fino all’albergo e questo, se da un lato aveva placato l’esuberanza di Nate, dall’altro aveva insospettito Loki, che mi sbirciava di sottecchi per capire che cosa non andasse.

Se si era fatto un’idea, per discrezione l’aveva tenuta per sé, ma appena arrivati in camera aveva dato voce ai suoi pensieri.

“Quel ragazzo ha parecchia confidenza con te,” aveva esordito, “lo conosci da molto?”

“Sì, anche lui è stato un professionista. Ogni tanto capita che ci becchiamo in giro…” avevo risposto evasivamente.

Con la scusa del disfare le valigie, gli stavo dando le spalle di proposito, per nascondere quella parte di racconto di cui non andavo per nulla fiera e che volevo intenzionalmente omettere.

“E avete fatto triathlon insieme?”

 

Lasciamo perdere. Ha già capito …

 

Mi ero raddrizzata di colpo, bloccandomi con i vestiti a mezz’aria.

“Sì,” ho ammesso sconfitta. Ma gli ho lanciato comunque una frecciatina: “Perché, vuoi approcciarti anche tu alla stessa disciplina?”

“Beh, dato che abbiamo un solo letto matrimoniale…” aveva ammiccato, con un tono sensuale che mi ha ricordato...

 

I podcast!
No, Sylvie. Lascia stare, per carità!

 

Mi sono girata lentamente verso di lui, non sapendo cosa aspettarmi. La sua era una battuta o una vera proposta? Perché in tal caso sarei andata direttamente alla terza prova – saltando scommettere e sbronzarsi!

“Scherzavo,” aveva prontamente ritrattato, sogghignando per la mia espressione interdetta. “E poi sono due letti uniti... Non è il massimo per fare certe attività,” aveva aggiunto maliziosamente.

“Già,” ho convenuto, per nulla d’accordo.

Le camicie che aveva in mano mi stavano dando una serie di spunti praticabili anche sul pavimento, senza bisogno di un kingsize.

 

***

 

Per ottimizzare i tempi, siamo andati subito a ritirare i pettorali, con l’intenzione di fare alla svelta, ma dato che l’area expo era stata allestita all’interno di un bel parco, ce la siamo presa comoda e ci siamo persi in chiacchiere tra i vialetti, fermandoci anche a mangiare qualcosa.

Arrivati allo stand principale Loki, come solito, è rimasto ammaliato dal Tesseract esposto in vetrina – ogni città del circuito Super Half ne ha uno in bella mostra. Anche se non ne capivo il motivo, aveva una sorta di attrazione morbosa verso quell’oggetto, quindi l’ho lasciato stare – perso nel suo mondo – e mi sono allontanata di qualche passo, incuriosita dal gioco a premi poco distante.

“Coraggio gente, provate! Tre tentativi per fare canestro e vincere una splendida maglietta,” urlava il ragazzo davanti a me, con lo scopo di raccogliere partecipanti.

Stavo per farmi avanti quando ho udito una voce sgradevole dietro di me – non avevo bisogno di voltarmi per capire chi fosse. “Scommetto che il tuo amichetto non ce la fa. Figuriamoci se ha mai giocato a basket, con quelle sue manine sottili e delicate!”

Probabilmente Nate aveva ragione, ma non volevo assecondarlo, quindi ho replicato: “Beh, i vestiti certo non gli mancano.”

“Già, è vero. Chissà quanti ne avrà nell’armadio... tutti belli firmati,” ha sghignazzato. “In effetti non si metterebbe mai quello straccio, non è nel suo stile. Però, evidentemente ogni tanto si accontenta anche di qualcosa di più scarso e di bassa qualità... Capisci cosa intendo, vero?”

L’allusione nei miei confronti era palese e stavo per ribattere per le rime, quando mi sono accorta che Loki si stava avvicinando a noi. Anche se all’apparenza il suo atteggiamento poteva sembrare normale, la tensione delle spalle e la rigidità dei muscoli del viso tradivano un certo disappunto.

“Ehilà campione. Cosa dici? Tentiamo di vincere quel premio per Sylvie?”

Nate adorava scommettere e manipolare le persone, ma Loki era piuttosto diffidente nei suoi riguardi, quindi mi ha chiesto conferma: “Vuoi davvero quella t-shirt?”

 

No. Finiresti nel suo trabocchetto.

 

Rivolgendosi a me, la sua espressione si era addolcita e i suoi occhi avevano perso quel pericoloso riflesso metallico di qualche istante prima. Purtroppo, nel cogliere questo particolare, mi sono attardata a rispondere e Nate ne ha approfittato per lanciare la sua esca.

“Non vedi la macchia di ketchup che ha lì davanti? Sembra che abbia squartato un bisonte! Le farebbe comodo qualcosa di pulito.”

 

Squarterei te, idiota!

 

Loki ha notato la chiazza rossa, frutto del sandwich che avevamo mangiato a pranzo – che fino ad ora era rimasta coperta dalla giacca – e ha accettato la sfida, facendo esattamente il gioco dell’altro. Si è messo diligentemente in fila e, quando è arrivato il suo turno, Nate gli ha passato la palla e si è fatto da parte con un gesto plateale.

Al primo tentativo la sfera non ha neanche raggiunto il canestro, sbattendo contro la parete posteriore e rotolando ai piedi dell’infame, che gliel’ha porta nuovamente.

“Dovresti metterci più di forza, questo lancio era piuttosto fiacco” gli ha sibilato nell’orecchio.

Loki ha fatto qualche test, rimanendo perplesso dal rimbalzo sul pavimento, ma ha riprovato lo stesso. Stavolta la palla ha colpito il tabellone in modo anomalo, roteando sull’anello per poi cadere fuori, dritta dritta tra le grinfie dall’altro.

Innervosito dalla sua risatina, Loki gliel’ha letteralmente strappata di mano e ha tirato senza neanche prendere la mira, fallendo anche l’ultimo tentativo.

“Ops. Ancora fuori bersaglio... povera Sylvie, dovrà andare a spasso per Copenaghen in quelle condizioni imbarazzanti.” Ora Nate stava ridendo a crepapelle, mentre si apprestava a giocare a sua volta. “Vediamo se riesco a porre rimedio,” ha aggiunto, posizionandosi sulla linea.

Ovviamente ha fatto centro al primo colpo, andando subito a reclamare il premio alla cassa e porgendomelo con un inchino – aveva preso appositamente il modello da donna.

“Ecco, ora puoi continuare il tuo giro turistico senza patire vergogna.”

Fulminandolo con lo sguardo, ho preso il suo stesso pallone e mi sono apprestata a tirare. Il ragazzo dello stand inizialmente ha tentato di fermarmi – perché non mi ero messa regolarmente in fila – ma dato che la nostra competizione aveva calamitato l’interesse di una piccola folla, si è fatto da parte.

“Non devi mai accettare le sue sfide, c’è sempre una fregatura,” ho messo in guardia Loki. “Quella che hai usato tu era sgonfia,” gli ho fatto notare mentre palleggiavo, “per questo era difficile da controllare”.

Fissando Nate con aria truce, ho fatto canestro senza nemmeno guardare, lasciandolo a bocca aperta. Tra gli applausi degli spettatori, sono andata a ritirare la mia ricompensa – modello da uomo – e quando il bastardo si è avvicinato a me, convinto che volessi fare cambio con lui, ho piazzato la mia stoccata: “No grazie, penso che quel taglio sfiancato si addica di più alle tue forme,” ho commentato sarcastica.

“Questa è per Loki,” ho aggiunto, aprendo la confezione per valutare le dimensioni della taglia, appoggiandogliela addosso. “Sì, penso proprio che sia perfetta.”

 

“Legendary”. Sì, proprio come la scritta stampata sul petto.

 

***

 

Nel pomeriggio abbiamo visitato il Castello di Rosenborg, io esibendo con orgoglio la macchia di ketchup – come se fosse un badge di riconoscimento – e Loki sfoggiando la maglietta nuova – che nonostante la “bassa qualità” (come sostenuto da qualcuno), gli stava benissimo. Forse perché lui aveva la capacità di valorizzare qualsiasi cosa, me compresa?

“Grazie. Non meritavo questo regalo,” mi ha detto quando l’ha indossata. “Cosa posso fare per sdebitarmi?”

 

Continuare a sorridermi come se fossi la cosa più bella del mondo?

 

Sentendo le guance bruciare, ho distolto bruscamente lo sguardo, rassicurandolo che per un’inezia del genere non c’era bisogno di sentirsi in debito. Intanto, l’istinto di autoconservazione – che nel mio immaginario aveva preso le forme di un alligatore – mi stava mordicchiando i piedi perché, senza rendermene conto, stavo scivolando inesorabilmente verso il baratro di cui avevo tanta paura.

Dentro al castello, con lui al mio fianco e tutti quegli oggetti preziosi attorno a noi – in particolare lo scettro reale, con quella bella pietra blu luminosa – mi pareva di essere una principessa. E ho continuato a camminare su una nuvola fino all’ora di cena, quando ci siamo ritrovati con gli altri per mangiare qualcosa – compreso Nate, che dopo l’episodio del gioco a premi ci aveva lasciato in pace.

Avremmo voluto attardarci ancora un po’, magari fermandoci in qualche pub, ma dopo pasto la stanchezza del viaggio è scesa improvvisamente su entrambi, costringendoci alla ritirata. Ciononostante, durante il tragitto, ci siamo cimentati in una serrata gara di sbadigli, senza esclusione di colpi, divertendoci come matti.

 “Ti ho vista... anche se hai tentato di camuffarlo con una smorfia. Siamo dieci a sette,” mi ha fatto presente, appena entrati in camera.

“Avevamo stabilito che gli sbadigli indotti non sono validi e tu mi hai contagiato, poco fa in ascensore. Ti ho beccato sai? Proprio mentre schiacciavi il numero del piano,” ho contestato animatamente.

“E allora perché non lo hai fatto presente subito? Comunque è passato più di un minuto, quindi non può più essere considerato indotto. E anche se la giuria accettasse il tuo ricorso, ho vinto lo stesso.”

“Beh, mi dispiace informarti che i premi sono finiti.” Gli ho mostrato la lingua ed è scoppiato a ridere.

“Allora dovrò inventarmi qualcos’altro.” Ci ha pensato su – o meglio, ha fatto la scena, ma sono convinta che l’idea ce l’avesse in testa da un pezzo – poi ha proposto: “Non stavi cercando delle cavie per sperimentare le tecniche di massaggio che hai imparato all’università?”

 

Già. Peccato che nella facoltà di fisioterapia non insegnano il massaggio “romantico”.

 

Incoraggiato dal mio silenzio, ha continuato, “Allora vorrei sottoporti le mie vertebre cervicali, perché sono massacrate dal viaggio in aereo. Ti va?”

Per decenza, ho finto di valutare la richiesta, lasciando passare un lasso di tempo ragionevole prima di accettare – in realtà avrei risposto in pochi millisecondi “Sì, spogliati subito”.

“Okay,” ho deglutito, cercando di mantenere un minimo di dignità. “Allora mettiti il pigiama e resta a torso nudo. Poi coricati a pancia in giù sul letto.”

Da bravo soldatino, ha eseguito immediatamente gli ordini, mentre io me la sono presa comoda, prolungando volutamente l’attesa. Mi sono messa anch’io in pigiama – corto e moderatamente sexy – e ho preso l’olio – non avendo altro a disposizione ho usato quello riscaldante pre-gara. Sono salita in piedi sul letto per valutare il miglior punto di attacco, ed infine mi sono accomodata a cavalcioni sopra di lui, all’altezza dei fianchi.

Ho avvertito la sua improvvisa tensione, segno che non si aspettava questa mossa. “Da terra non riuscirei a fare abbastanza presa,” gli ho spiegato, cominciando a spalmare l’olio.

Rispetto al nostro primo incontro, aveva messo su di massa muscolare – soprattutto grazie agli esercizi che gli avevo dato, a complemento delle tabelle di allenamento per la corsa – e il risultato era davvero eccellente.

 

Complimenti Sylvie, ottimo lavoro!

 

Sono partita con degli sfregamenti leggeri, poi via via ho aggiunto pressione, ampliando sempre di più l’area interessata. La sua pelle chiara stava cominciando ad arrossarsi vistosamente, sia per l’azione delle mie dita che per la canfora contenuta nel prodotto.

“Ti dà fastidio?” gli ho chiesto premurosa.

“H-ho molto caldo…” ha ammesso.

 

Tesoro, questo non è niente in confronto al vulcano che ho in mezzo alle gambe!

 

“Vuoi che smetta?” ho chiesto, spostandomi più giù e mettendomi a sedere sulle sue cosce.

Si è limitato a scuotere la testa, stringendo le lenzuola quando gli ho abbassato leggermente la cintura dei pantaloni e dei boxer per lavorare meglio sui lombari – e contemporaneamente rubare la visione delle sue natiche semi scoperte.

“Ma le vertebre cervicali non sono in alto?” ha protestato timidamente, alzando la testa per tentare di scorgere quello che stavo facendo.

Gli ho schiacciato con decisione la faccia sul cuscino, godendo per la mia posizione di dominio. “Stai mettendo in dubbio la mia professionalità?”

 

Io sì! Ne dubiterei, eccome!

 

“No, figurati. Non mi permetterei mai,” si è arreso, ma non so se fosse del tutto convinto della sua affermazione.

L’ho torturato per mezzora, alternando frizioni energiche a carezze sensuali – un tantino diverse dalle procedure descritte sui manuali universitari – arrivando quasi a stendermi sopra di lui e sfiorandolo con il seno. Ma, con un controllo ammirevole, lui ha resistito alle mie provocazioni e si è comportato ancora una volta da bravo ragazzo… pur soffocando un gemito nel cuscino.

“Grazie, ora mi sento molto meglio. Sono certo che stanotte dormirò benissimo,” mi ha detto quando mi sono alzata, rimanendo ancorato nella sua posizione. Io sono rotolata dall’altra parte e mi sono stesa a pancia in su, con la testa rivolta verso di lui, che mi sorrideva dolcemente.

“È stato un piacere,” gli ho sussurrato e sono rimasta ad osservarlo ancora per qualche momento, notando che il suo respiro era veloce quasi quanto il mio, poi ho spento la luce e gli ho augurato la buonanotte.

Mi sono infilata sotto le coperte, ma ero talmente irrequieta da non riuscire a prendere sonno. Quando la vista si è abituata al buio, la sua sagoma è emersa dalla penombra e, anche se non riuscivo a scorgere i particolari, avevo la netta sensazione che anche lui mi stesse guardando.

Non ero mai stata così in sintonia con nessuno. Era come se le nostre anime avessero stabilito una connessione, un ponte segreto fra due mondi diversi e distanti, che secondo le regole dell’universo non avrebbero mai dovuto incrociarsi.

Eppure...

 

Loki, che cosa mi stai facendo?

Notes:

Grazie per i kudos e per i commenti!
Allora che cosa ne pensate di questo guastafeste? É abbastanza odioso?
E questo è solo l’inizio, ve lo posso assicurare. Temo proprio che sarà difficile liberarsi di lui.

Jeddelidah, niente lettere, regali o fiori… vanno bene i podcast? Un po’ meno romantici, ma con un potenziale nascosto🤭
TaliSaturday non disperare, il prossimo capitolo è ancora ambientato a Copenaghen 😉

Quindi… chissà come proseguirà il viaggio e come andrà la gara.
Qualche idea?

Chapter 6: 6.Copenaghen - parte 2a

Notes:

When your soul is tired
and your heart is weak
Do you think of love
as a one way street
Well it runs both ways,
open up your eyes
Can't you see me here,
how can you deny
(RICKY MARTIN - Private emotion)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

LOKI 

A dire la verità... dopo il massaggio di Sylvie ero tutto fuorché rilassato.  

Ho temuto di perforare il materasso da quanto ero eccitato, e non ho avuto il coraggio di muovermi finché il buio non è calato su di noi, celando il mio desiderio incalzante. 

 

Lo sta facendo apposta? Mi sta mettendo alla prova? 

 

Pur non essendo un gran sportivo – almeno fino a poco tempo fa – mi sono sottoposto a diverse sedute fisioterapiche nel corso degli anni, ma giuro che nessuna aveva mai sortito un effetto simile su di me. Dove aveva imparato questa tecnica innovativa? E qual era il suo scopo? 

Ora lei mi stava studiando, convinta di essere protetta dall’oscurità. Ma la tenue luce che filtrava dalle finestre accarezzava il suo viso, rivelando la fronte leggermente corrugata e l’espressione pensierosa, come se stesse cercando di risolvere un rompicapo. Chissà se era alle prese con lo stesso demone che stava divorando la mia coscienza, rendendomi estremamente agitato e incapace di dormire. 

 

Sylvie, che cosa mi stai facendo? 

 

Il mio corpo si risvegliava dal letargo quando lei mi era accanto, ogni suo tocco mi faceva venire la pelle d’oca e bramavo di tenerla fra le braccia, anche solo per un semplice saluto in aeroporto o per una stretta veloce alla fine di ogni gara – la medaglia da finisher non era appagante quanto avere la mia pacer prediletta aggrappata al collo, tutta sudata e felice. 

L’istinto mi diceva che le piacevo... o perlomeno, stava bene con me. Altrimenti, perché continuare a cercarmi? 

E proprio per questo motivo avevo timore di spingermi oltre certi confini. Non quelli che avevamo stabilito ad alta voce – già infranti innumerevoli volte – ma quelli taciti, che aleggiavano su di noi come fantasmi. 

Il mio portava il nome di Sif e, nonostante avessi superato la crisi e non mi importasse più niente di lei, non ero ancora pronto per tuffarmi a capofitto in una nuova relazione seria. In fondo con Sif ero sopravvissuto – nonostante ne fossi uscito malconcio – ma Sylvie rappresentava un trampolino molto più alto... se avessi sbagliato le misure mi sarei sfracellato miseramente. 

Il suo fantasma invece si chiamava Nate – o meglio, lui era il portavoce di tutti gli altri che teneva gelosamente custoditi nella sua testa. 

Avevamo chiacchierato di tante cose, sia durante le trasferte che al telefono – prima di Copenaghen avevamo intensificato i contatti, con la scusa degli esami universitari – ma lei si era sempre limitata a raccontare fatti recenti e ogni tentativo di indagare sul suo passato si era rivelato vano. 

 

Di cosa hai paura? Che cosa nascondi? 

 

C’era sempre l’opzione “solo sesso, niente impegni”, ma non mi sembrava carino inserire questa clausola nel nostro contratto – già piuttosto stravagante. Probabilmente avrebbe perso la fiducia nei miei confronti, sospettando un doppio fine in ogni mia azione e rovinando quanto di buono costruito fino ad ora. Mi avrebbe falciato dalla sua realtà – come immagino abbia fatto con gli altri – e si sarebbe trovata ben presto qualcun altro con cui sostituirmi.  

Comunque, anche nell’ipotesi contraria, ovvero se fosse stata lei a propormi questa alternativa, sono certo che non mi sarei fermato al “solo sesso”. Ahimè, dovevo riconoscere che ormai era tardi per farlo.   

Prendendo atto di quest’ultima conclusione, ho sospirato e le ho accarezzato la mano, riscuotendola dai suoi pensieri. “Dormi Sylvie, vedrai che troveremo un modo per sistemare quell’insolente,” le ho sussurrato. 

La sua fronte si è distesa e un sorriso è comparso sul suo volto. Ed era tutto ciò di cui avevo bisogno. 

 

*** 

 

La mattina seguente, quando siamo scesi a fare colazione, Nate era in agguato tra i tavoli e, appena ci ha individuato, si è unito a noi senza chiederci il permesso. 

“Buongiorno. Dormito bene stanotte?” Poi, scrutando prima uno e poi l’altra ha aggiunto, “Non vedo occhiaie... e non ho sentito lamentele da parte degli altri ospiti al vostro piano. Quindi deduco che siete rimasti tranquilli. Che bravi ragazzi!” 

Lei lo ha incenerito con lo sguardo – e io lo odiavo solo per il fatto di aver guastato il suo buonumore. “Che vuoi da noi? Nessuno ti ha invitato a sederti qui.” 

“Ecco vedi, il problema è proprio questa ostilità,” ha cominciato, con il suo solito ghigno beffardo. “Ieri siamo partiti con il piede sbagliato, ma voglio farmi perdonare. Non era mia intenzione crearvi disagio o fare da terzo incomodo, anche se non ho ben chiaro il tipo di relazione che c’è fra voi.” Vedendoci abbassare la testa contemporaneamente, ha continuato a pungolarci, “Siete fidanzati? Amanti? Amici di letto…” 

“Siamo due persone che non vogliono essere disturbate,” mi sono intromesso, per tentare di distoglierlo da lei. 

“Uhm, conoscendo la ragazza, escluderei la prima opzione. Sai, non ama i vincoli. Appena ne ha il sentore scappa a gambe levate,” mi ha spifferato portandosi una mano davanti alla bocca, come se lei non esistesse. 

“Piantala Nate! Siamo semplicemente amici, okay?” ha sbottato Sylvie, visibilmente seccata. 

“Ah, siete solo amici? E come mai in reception ti chiamano Signora Odinson?”  

Dopo essersi guadagnato una nuova occhiataccia, Nate è scoppiato a ridere e ha alzato le mani. “Scusa, scusa. È più forte di me, sono troppo curioso. Ma sono sicuro che c’è sotto qualcosa e prima o poi lo scoprirò.” 

Dopo una breve pausa ha ripreso i suoi giochetti, cambiando argomento. “E tu Loki? Come te la cavi con la corsa?”  

Lei si è voltata dall’altra parte, mescolando rabbiosa il suo caffè. Neppure io avevo tanta voglia di fare conversazione con questo rompiscatole, ma per mantenere il focus su di me gli ho risposto: “Sono partito da zero. Seguo una preparazione mirata e sto migliorando progressivamente.”  

“E la finisci una mezza maratona? Riesci a stare nel tempo limite?” 

Voleva indubbiamente irritarmi, quindi gli ho risposto con un tono molto pacato, “Sì, punto a finire questa gara in un’ora e quaranta minuti, forse anche un po’ meno.” 

“Ah, ma allora sei una scheggia!” ha esclamato, intendendo l’esatto contrario. “E dimmi… lei è brava come personal trainer? Vale la spesa?” 

Sylvie era sul punto di esplodere, ma si è trattenuta quando le ho sfiorato il ginocchio con la gamba. “Sì, è la migliore che potessi trovare. Ed è completamente gratuita,” ho puntualizzato. 

“Che fortuna! Bene, allora mi è venuta un’idea. Se domani arriverai davanti a me, prometto che vi lascerò in pace per il resto del soggiorno,” ha proposto, sfregandosi le mani.   

“Sai benissimo di essere più veloce,” è intervenuta lei, scuotendo il capo. 

“Hai ragione, sono in discreta forma. Allora facciamo così: se uno dei due taglia il traguardo prima di me, non vi importunerò più. E questo vale anche per le prossime trasferte. Che ne dite? Due contro uno.” 

Pur di liberarmi di lui ero disposto a sputare l’anima, correndo fino alla morte, ma la decisione finale non spettava a me. 

Scorgendo il nostro accompagnatore turistico in avvicinamento, Nate è balzato in piedi, esortandoci ancora ad accettare la sfida: “Coraggio, non avete nulla da perdere!” 

Non appena ci ha raggiunto, Mobius ha notato le nostre facce scocciate e ci ha chiesto se per caso qualcuno stesse creando problemi. Aveva a cuore la soddisfazione dei suoi clienti e stava spudoratamente dalla nostra parte, il che lo rendeva un valido alleato. 

“Non preoccuparti, sono abituata al suo patetico teatrino. Quando troverà un’altra fonte di ispirazione, cambierà obiettivo e sparirà dai nostri radar.” Sylvie si è ammorbidita subito di fronte alla cortesia dell’uomo.  

“E che avete di tanto interessante da starvi sempre appiccicato come uno chaperon?” ha chiesto incuriosito. 

Per stemperare la tensione accumulata, gli ho raccontato che Nate voleva scoprire se eravamo fidanzati, basandosi sul titolo di Signora Odinson, coniato proprio da lui.  

“Ah, quindi lui non è stato ancora invitato? Allora devo mandargli la partecipazione! Lo sapete che vi sto già organizzando il viaggio di nozze, vero?” Tra battute e risate, non mi è sfuggito il lieve rossore comparso sulle guance della mia dirimpettaia. Forse per un attimo ha immaginato anche lei lo scenario? 

 

Noi due in aeroporto con le valigie, pronti per trascorrere una romantica luna di miele in un posto incantevole…  

 

“Beh, dategli quello che vuole,” ha buttato lì Mobius, riscuotendoci dalle nostre fantasie. “Vuole dei fidanzati, e voi fate i fidanzati. Magari poi troverà altre persone da annoiare con la sua sgradevole presenza.”  

Dopo questa perla di saggezza, ci ha dato appuntamento di lì a poco per la visita guidata della città e ha raggiunto Emilia, lasciandoci interdetti a contemplare le sue parole. 

 

*** 

 

“Cercherò di infilarmi nel blocco di partenza prima del nostro, per avere un po’ di vantaggio,” mi ha bisbigliato Sylvie, mentre eravamo di fronte al Palazzo di Amalienborg, in attesa del cambio della guardia. 

Solitamente la partenza degli atleti era suddivisa in base ai tempi dichiarati in fase di iscrizione: i più veloci stavano davanti e di seguito gli altri, scaglionati a intervalli di circa dieci minuti. Pur non avendo ancora accettato la sfida, lei stava già pensando a un modo per battere Nate, magari sfruttando qualche piccolo trucchetto. 

“E io gli farò sbattere quel brutto muso per terra con uno sgambetto,” ho rincarato, continuando però a preferire l’alternativa suggerita da Mobius – che invece lei non sembrava aver preso in considerazione. 

Il nostro soggetto era poco distante e ci sorrideva meschino, ben sapendo che stavamo parlando di lui.  

“Ma non gli può venire un virus gastrointestinale, come è successo a me? Non hai dei lassativi nella tua farmacia portatile?” ha sbuffato Sylvie, ignara di avermi dato uno spunto interessante. 

 

I lassativi no, ma dei potenti sonniferi sì!  

 

All’arrivo dei soldati, la folla si è stretta attorno a noi, accalcandosi per filmare la marcia e la cerimonia di rito. Essendo di media statura, Sylvie stava saltellando per riuscire a vedere un piccolo scorcio e Nate scimmiottava le sue mosse per prenderla in giro. 

“Sali sulle mie spalle,” le ho detto d’impulso. “Solo la statua di Federico V sarà più in alto di te.”  

Senza farselo ripetere due volte, mi ha letteralmente scalato, aggrappandosi saldamente ai miei capelli e stringendo le cosce per tenersi in equilibrio – la mia testa era nel mezzo. Nonostante l’esibizione fosse durata circa mezz’ora, non ho sentito minimamente la fatica, anzi, avrei fatto il resto del tour così, portandola in giro come un trono ambulante. 

 

Possibile che io tragga godimento anche da questo? 

 

Quando è scesa, ho cercato di farla scivolare molto lentamente, per prolungare il contatto. E sinceramente anche lei ci ha messo del suo, strusciandosi per bene con la scusa di non trovare l’appoggio a terra.  

Giunti al porto di Nyhavn, si è ripetuto lo spettacolo della cioccolata, alla quale Sylvie non sa proprio resistere. Stavolta le ho preso dei churros – dolce non proprio tipico, ma presente ormai ovunque in città – in un negozietto lungo il canale e lei non ha deluso le mie aspettative: le macchie marroni sul suo viso sembravano le pennellate di un artista che, assieme ai colori delle case riflesse nell’acqua, componeva un quadro straordinario, degno di Monet. 

 

Lei sa rendere speciale qualsiasi cosa.
Quando siamo insieme, mi sento parte di un’opera d’arte…  come il cioccolato sbavato sulle sue guance. 

 

Il tour si è concluso nel quartiere di Christiania, con i suoi murales, le costruzioni stravaganti fatte con materiali di recupero, i mercatini di prodotti artigianali e i sentieri suggestivi che circondano il laghetto, lungo i quali ci siamo un po’ attardati. 

“Allora… Mobius e la sua teoria…” ha esordito Sylvie, piuttosto impacciata, mentre eravamo seduti su un asse di legno che fungeva da panchina. 

“Oh, giusto, giusto. Sul nostro fidanzamento…” ho annuito timidamente. 

“Sono sciocchezze vero?” 

Anche se non ne ero per niente convinto, ho risposto ugualmente, “Assolutamente sì, certo.” 

“Non dico che non sarebbe bello…” ha convenuto, spostando nervosamente una ciocca di capelli dal viso. 

“No, sarebbe fantastico,” mi sono sbrigato a confermare. 

Il mio cuore ha fatto una piroetta. Cosa intendeva esattamente? Le sarebbe piaciuto fingere di essere fidanzati? Oppure avrebbe voluto esserlo veramente? 

Mi ha guardato dritto negli occhi, come se cercasse in me la risposta ai suoi dubbi. “Sembra un’altra trovata della TVA!” ha concluso, uccidendo tutte le mie speranze. 

“Al cento per cento, insomma…” ho abbassato rapidamente lo sguardo, inventandomi una scusa per nascondere la mia delusione. “L’agenzia starà cercando delle immagini promozionali per i prossimi viaggi. E Mobius avrà pensato a noi, perché siamo i più fotogenici della compagnia.” 

È plausibile,” ha liquidato l’argomento, incamminandosi a passo svelto per raggiungere gli altri. 

Dandomi dello stupido per non aver saputo gestire meglio la situazione, l’ho seguita come un cagnolino, ma confesso che ho ripensato a questo dialogo surreale per tutto l’arco della giornata, maturando la convinzione che lei in realtà stesse tentando di dirmi altro. 

 

*** 

 

La sera, dopo il pasta party organizzato dalla TVA – con la scusa di fare il pieno di carboidrati, la gente finiva per abbuffarsi come a un banchetto di nozze – non siamo neanche usciti, preferendo salire direttamente in camera per gli ultimi preparativi pre-gara. 

“Mi raccomando, stasera niente sesso. Altrimenti domani non riuscirete a superarmi,” ci ha raccomandato Nate, prima che la porta dell’ascensore si chiudesse. 

Sylvie ha bofonchiato qualche insulto e gli ha mostrato il dito medio, poi, mentre salivamo, si è appoggiata di peso alla parete e ha incrociato le braccia. Capivo la sua frustrazione, ma quando le ho posato una mano sull’avambraccio, con l’intento di tranquillizzarla, ho ottenuto l’effetto opposto, avvertendola irrigidirsi al mio tocco. Sorpreso dal suo atteggiamento, mi sono scostato e sono rimasto in silenzio, rimuginando sul fatto che quell’infame si stesse insinuando tra noi in modo viscido e subdolo. 

 

Ma adesso ti sistemo io! Non ti permetterò di allontanarla da me. 

 

Appena lei è andata a farsi la doccia ho preso la boccettina di sonnifero – quello che avrei dovuto darle a Praga – e sono sceso di nuovo nella hall dell’albergo. 

Finita la cena, la maggior parte degli ospiti si era diretta al bancone del bar o si era accomoda sulle poltrone della reception, per chiacchierare o bere qualcosa prima di andare a dormire. 

La mia preda stava tediando OB – un ragazzo un po’ eccentrico e piuttosto ingenuo,  finito accidentalmente tra le sue grinfie perché considerato uno degli atleti di punta della nostra spedizione.  

Nate ha fatto cenno di unirmi a loro e mi ha offerto un bicchiere di amaro, lanciando una frecciatina, “Come mai sei qui? La tua compagna ti ha già cacciato?”  

“No. Sto seguendo il tuo consiglio,” gli ho risposto, buttando giù il liquido in un solo sorso, senza interrompere il contatto visivo. 

“Ah, per fortuna c’è qualcuno che prende sul serio le mie parole!” 

Ci siamo scambiati un finto sorrisetto, mentre OB, ignaro dei nostri sotterfugi, ha dichiarato, “Anch’io ho preso nota delle tue parole. Domani batterò il mio record personale grazie alle tue dritte.”  

Notando che avevano finito l’amaro e con la scusa di ripagare il mio debito, ho chiesto loro se potevo offrire un altro giro. Nate mi ha osservato attraverso il vetro del suo bicchiere vuoto, come fosse un caleidoscopio, poi lo ha posato sul vassoio annuendo, “Perché no? Tanto non c’è l’alcol test alla partenza.” 

Sono andato al bancone per tornare dopo pochi minuti a pieno carico, compresa la piccola aggiunta di sonnifero su una delle tre ordinazioni. Dopo i convenevoli – e dopo aver prosciugato tutto – ci siamo scambiati gli auguri per il giorno dopo e ci siamo separati. 

Al rientro in camera, Sylvie si è accorta che ero piuttosto euforico, ma non ha fatto domande a riguardo, limitandosi a squadrarmi. 

“Niente massaggio stasera?” ho scherzato mentre mi infilavo il pigiama. 

L’alcol mi rendeva più baldanzoso, ma non ero ubriaco. E la mia piccola provocazione aveva ottenuto un immediato riscontro, perché quell’emozione confusa che avevo intravisto qualche volta sul suo viso, aveva ripreso per un attimo il sopravvento. Ma ora, facendo un parallelo con me stesso e con i miei sentimenti, non era più così misteriosa, anzi, cominciava a delinearsi piuttosto nitidamente. 

 

Coraggio Sylvie, non devi far altro che prendere quello che vuoi. 

 

Quella sera non ho faticato ad addormentarmi, pregustandomi la giornata successiva, che senza Nate sarebbe stata indubbiamente magnifica. 

 

*** 

 

Ahimè, il sabotaggio non è andato a buon fine. 

Quando abbiamo raggiunto il nostro blocco di partenza, in attesa che arrivasse il segnale di inizio, una voce alle nostre spalle ci ha sorpreso mentre stavamo facendo qualche selfie. 

“Eccovi qua. Finalmente vi ho trovato!” ha esclamato Nate, dandoci colpetti sulla schiena. “Temevo vi foste infilati nel blocco precedente, per avere un vantaggio su di me,” ha commentato guardando Sylvie. “O forse speravate che fossi rimasto a letto,” ha aggiunto rivolto a me. “Comunque, dubito che OB riesca a battere il suo record oggi. Non mi sembrava tanto in forma quando l’ho incrociato in albergo.”  

Detto questo si è fatto largo tra la folla per guadagnarsi un posto in prima fila, lasciandoci impietriti a incassare il colpo. 

“Hai dato il sonnifero a OB?” mi ha chiesto Sylvie, con tono inquisitorio. 

“Io? Ti sembro il tipo che si abbassa a simili mezzucci?” Ma il suo sopracciglio inarcato stava a indicare che non mi credeva affatto. “Insomma… può essermi scappata qualche goccia, ma ovviamente non era per OB,” ho ammesso, temendo una sfuriata. 

Invece, restando molto tranquilla, ha spiegato, “Mobius mi aveva detto che Nate non si era visto a colazione. Ho creduto che il tuo piano avesse avuto successo, altrimenti avrei cercato di infilarmi in un altro gate di partenza.” 

 

Aspetta. Come fa a sapere… 

 

“Ho sbirciato nella tua valigia mentre eri giù a bere,” mi ha rivelato innocentemente, leggendomi nel pensiero. 

Oltraggiato da questa infrazione della mia privacy – tra i farmaci c’era anche del Viagra, che avevo occasionalmente usato dopo la rottura con Sif e che era rimasto lì da tempo immemore – ho cominciato a balbettare il mio disappunto e lei è scoppiata a ridere.  

“C-Che c’è da ridere? Lo sai che sei strana?” 

“Mi piace il tuo lato nascosto, questa... chiamiamola eccezione alla perfezione,” mi ha detto compiaciuta, bloccando il mio fiume di parole. “Sembri uno tutto ligio alle regole, tipo un paladino dell’onestà, e invece sotto, sotto…” 

Temo di essere arrossito più del semaforo poco distante. E sicuramente mi aveva preso per un clown, perché non riusciva a restare seria. 

“E mi piace quando balbetti cose assurde, facendo finta di essere arrabbiato, quando sappiamo benissimo che il vero motivo della tua reazione è un altro.”  

Avevo il presentimento di quello che stava per dire, ma il mio ego – rannicchiato in un angolino in attesa dello scapaccione – continuava a sperare in un miracolo.  

“Ma non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro. Non c’era nessun Viagra là dentro, okay? Non ho visto niente.” 

 

Ecco, appunto. 
Perché non si apre una voragine sotto i miei piedi?
Dopo questa figuraccia, vorrei buttarmi da un ponte di cristallo e vagare nel vuoto cosmico per sempre. 

 

 

Sylvie mi ha preso per mano e, cacciando tutte queste tristi riflessioni con il suo sorriso, mi ha sollecitato, “Dai, vieni. Cerchiamo di andare là davanti anche noi.” 

 

*** 

 

Siamo partiti fortissimo, ma i primi chilometri non me ne sono neanche accorto, perché stavo ancora meditando sul discorso di prima. 

 

Ha detto che gli piaccio! Che è intrigata dal mio lato oscuro.
Oh, ma quello che ha scoperto è solo la punta di un iceberg!
E lo pensa nonostante quello che ha trovato in valigia...  

 

Al primo ristoro Sylvie mi ha fatto cenno di rallentare. Era la prima volta che la vedevo in affanno durante una gara. 

“Terrà questo ritmo forsennato fino alla fine?” le ho chiesto, notando che tutto sommato il distacco da Nate non era incolmabile. 

“Sta solo giocando,” mi ha risposto sicura. “Si mantiene a breve distanza per istigarci a dare il massimo e, quando capirà che stiamo esaurendo le energie, schiaccerà sull’acceleratore, per darci il colpo di grazia.” 

“Conosci bene la bestia! Hai mai vinto contro di lui?” 

Ha scosso il capo sconsolata. “Ci sono andata vicina diverse volte, ma l’unica possibilità che abbiamo oggi è che accada qualcosa che non si aspetta.” 

 

Magari su questo ci si può lavorare... 

 

“Possiamo sfruttare il vento a nostro favore?” ho proposto, ispirato da un gruppetto di corridori davanti a noi, che si davano il cambio a intervalli regolari, per ripararsi dall’aria. 

“Non è facile trovare qualcuno che mantenga il passo giusto. Appena Nate se ne accorgerà, aumenterà l’andatura, per farci perdere il vantaggio.” 

“Sì, ma se fossi io lo scudo?” le ho ammiccato. “Se ti copro dal vento, nel finale avrai più energia.” 

Mi ha squadrato con sufficienza – eppure l’idea non mi sembrava così stupida – e ha fatto mentalmente le sue valutazioni. Non so cosa abbia letto sulla mia faccia da ebete – forse il fatto che l’avrei scortata fino all’inferno? – fatto sta che ha accettato ed è partita a spron battuto, costringendomi a fare uno scatto per riacciuffarla. 

Al diciottesimo chilometro eravamo messi piuttosto bene: Nate si trovava a una ventina di secondi da noi e Sylvie sembrava in buone condizioni per poter tentare l’attacco finale.  

All’imbocco dell’ennesimo viale, appena ho avvertito la pressione del vento contro il mio petto, mi sono messo davanti e ho cercato di tirare per recuperare qualche metro. La fatica cominciava a farsi sentire e le gambe erano piuttosto pesanti, ma grazie a una forte motivazione, stavo superando ogni aspettativa.  

Nate ha cominciato a girarsi all’indietro piuttosto spesso e non aveva più il sorriso spavaldo della partenza. Gli eravamo con il fiato sul collo, ormai prossimi a raggiungerlo, quando un dolore improvviso mi ha trafitto la coscia, facendomi rotolare a terra come un sacco di patate. 

All’inizio ero confuso e ho tentato subito di rialzarmi, ma barcollavo e qualcuno mi ha afferrato per la cintola e seduto a terra con forza. 

“Stai fermo qui. Lo so che fa male, ma devo provare ad allungare il muscolo.” Sylvie mi ha preso la punta del piede e steso la gamba, facendo pressione verso di me. 

Per un lungo istante ho visto le stelle, poi la sua manovra ha cominciato a dare i risultati sperati, facendo regredire il crampo pian piano. Ma difficilmente sarei riuscito a correre di nuovo e non volevo che lei rinunciasse alla nostra impresa. “Non perdere altro tempo con me. Vai a prendere quel bastardo.” 

Lei stava massaggiando e scuotendo la zona contratta e non aveva la minima intenzione di abbandonarmi. “Non ti lascio da solo,” ha esclamato con decisione. 

“Sylvie…” 

“Ho detto di no. Al diavolo anche Nate!” ha ribadito. “Sono stata una stupida a non fermarti prima. Lui sapeva benissimo che sarebbe successo, e io sono caduta nella sua trappola,” ha riconosciuto avvilita. 

“Come faceva a saperlo? La nostra strategia era imprevedibile!” Non riuscivo a spiegarmi come riuscisse ad anticipare le nostre mosse. 

“Forse per lui è più imprevedibile quello che sto facendo adesso,” si è lasciata sfuggire. E per evitare che cogliessi maggiori indizi, si è sbrigata a passarsi il mio braccio attorno alle spalle, per fare leva. “Coraggio andiamo, prova ad alzarti.” 

Pur camminando come uno zombie, sono riuscito a trascinarmi stoicamente fino al traguardo, ridotto peggio della mia prima gara, ma ugualmente finisher. E, cosa più importante, con la meritata medaglia al collo… non quella di metallo – beh sì, anche quella – ma Sylvie! 

Tra la folla ho individuato un paio di occhi neri che ci fissavano e allora, sostenendo lo sguardo del nemico, l’ho stretta più forte a me, in modo da mettere in chiaro il concetto fondamentale: 

 

Lei ha scelto me, stronzo.  

Notes:

Sorpresa...
La trasferta di Copenaghen non si è ancora conclusa, perché Loki è un chiacchierone e si è riservato un altro capitolo per il suo resoconto.

Veniamo ai vostri spunti:
- MidgardianLoser = Loki aveva già massaggiato (o meglio coccolato) Sylvie quando era ammalata, e mi pare che lei abbia apprezzato. Ma indubbiamente può fare di meglio! 😏
- TaliSaturday = ancora un po’ di pazienza (colpa di Loki 😉)
- Nordrljios = il tentativo di vendetta c’è, ma il piano di Loki non è dei migliori, vero? 😅
- Snarkyvalkyrie = oh sì... Loki comincia a capire che Sylvie è attratta da lui e ogni tanto lancia qualche esca. Vedremo se lei abbocca. 🎣
- Jeddelidah = per ora Nate è più che sufficiente a rompere le scatole, ma chissà se torneranno anche dei fantasmi dal passato di Loki. 👻
- Stormlight_94 = Chi cede per primo? Mah, forse nel prossimo capitolo si vedrà... 🫢

Chapter 7: Copenaghen - parte 2b

Notes:

Aren′t you somethin' to admire?
′Cause your shine is somethin' like a mirror
And I can't help but notice
You reflect in this heart of mine
If you ever feel alone and
The glare makes me hard to find
Just know that I′m always
Parallel on the other side
(JUSTIN TIMBERLAKE - MIRROS)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

LOKI

“Dobbiamo andare a piedi fino al porto di Nyhavn?” ho chiesto a Mobius, poco prima di uscire per la crociera dei canali, in programma quel pomeriggio. I miei muscoli, una volta raffreddati, non ne volevano più sapere di ripartire e mi faceva ancora piuttosto male la coscia.

“No. Prenderemo la metro, ma per farlo dobbiamo arrivare alla fermata. Poi ti prometto che potrai stare seduto almeno un’ora,” mi ha risposto, dandomi un colpetto sulla schiena, per spronarmi.

“Che c’è? Il principino è troppo stanco per fare una piccola passeggiata?” mi ha pungolato Nate, imitando il gesto di Mobius apposta per darmi fastidio.

Stavo per replicare, ma Emilia mi ha anticipato, puntandogli un bastoncino da trekking dritto in faccia. “Giovanotto?! Se hai qualcosa contro quelli che hanno le gambe indolenzite, vedi di girare al largo!”

Nate non ha avuto il coraggio di affrontarla e si è momentaneamente ritirato nelle retrovie. Tuttavia, ero consapevole che per il resto della giornata io e Sylvie saremmo stati il suo bersaglio preferito. Infatti, una volta saliti sulla motonave, abbiamo cercato di metterci il più lontano possibile da lui ma, con un abile manovra di scambio dei posti, ce lo siamo ritrovati giusto davanti.

Il mezzo di navigazione era piatto e basso, con un vetro sagomato che partiva dal bordo laterale – più o meno all’altezza della seduta – e copriva tutta la parte superiore. Dato che le condizioni meteorologiche erano buone, i vetri erano parzialmente aperti, per permettere ai passeggeri di stare in piedi e catturare al meglio gli scorci più suggestivi.

“Voglio stare vicino ai miei amici del cuore. Ho vinto la scommessa, quindi è mio diritto, no?" Nate non era minimamente interessato al panorama, il suo unico scopo era recarci disturbo.

“Non avevamo neanche accettato, idiota.” Sylvie si è alzata e ha cominciato a fare foto in giro, pur di stargli alla larga.

Il porto era sempre molto pittoresco, ma ora che il sole era ormai basso, acquistava un che di magico, con i suoi colori vividi riflessi nell’acqua, gli affascinanti velieri attraccati sulle sponde, le carrozze che sfilavano sul ponte principale e il profumo di piatti saporiti proveniente dai ristoranti affacciati al canale.

Purtroppo, nonostante la bellezza circostante, era impossibile ignorare l’antipatica vocina di sottofondo. “E come mai vi siete impegnati così tanto per raggiungermi? Io considero la sfida valida a tutti gli effetti.”

Qualsiasi angolazione scegliesse Sylvie, c’era sempre un’antipatica presenza nell’inquadratura e lei cominciava a spazientirsi.

Ogni tanto la nostra guida ordinava di abbassare la testa – alcuni ponti sono molto bassi ed è pericoloso stare in piedi, soprattutto per chi, come me, supera il metro e ottanta – e ho vivamente sperato che Nate non sentisse l’avviso, in modo da liberarcene una volta per tutte. Ahimè, è riuscito a schivare le varie insidie, zoppicando qua e là per imitare la mia andatura rigida e per dare spettacolo.

“La signora Odinson stamattina ha rischiato di rimanere vedova,” ha continuato a infierire il bastardo, nonostante le occhiatacce degli altri. “O forse era quello che sperava? Il marito comincia già ad essere una zavorra?”

Da come stringeva il telefono, sono sicuro che Sylvie fosse sul punto di scagliarglielo addosso – se solo fosse stato più appuntito...

“Per te non mi sarei fermata. Anzi, ti avrei lasciato lì a marcire!” gli ha risposto inviperita.

“Perciò hai deciso di marcire insieme a lui? Sono commosso! Questo sì che è vero amore,” ha ironizzato, applaudendo. “Ma che fine ha fatto la Sylvie che conoscevo? Non pensavo ti fossi rammollita fino a questo punto.”

A giudicare dal colorito e dalla dilatazione delle sue narici, lei era prossima all’esplosione nucleare. Mi aspettavo un delitto efferato nel giro di pochi secondi, invece si è girata verso di me, facendomi una domanda inaspettata.

“Tempo fa mi avevi raccontato di aver preso parte a una commedia teatrale… A che livello ti definiresti nell’ambito della recitazione?” mi ha chiesto sottovoce.

Ho pensato che volesse solo distrarsi – per non sentire le battutine dell’altro – quindi le ho bisbigliato, “Direi che sono un principiante. Andavo ancora all’università e quella è stata la mia unica apparizione sul palco. Non ho mai avuto il tempo di coltivare questa passione… e non ho mai fatto una formazione vera e propria, come te”.

Sapevo che lei aveva provato seriamente a diventare un’attrice – era stata ingaggiata come comparsa in qualche film minore e aveva fatto diversi provini – ma la famosa chiamata del destino non era mai arrivata.

Stranamente incuriosita dalla mia esperienza, ha continuato a chiedere informazioni a riguardo. “Che commedia era?”

“Molto rumore per nulla. Ma non immaginare una rappresentazione in costume. La sceneggiatura era stata tutta rivista in chiave moderna e…”

Interrompendomi – lo fa spesso quando divago troppo, anche se penso che sotto sotto le piaccia sentirmi parlare – ha ridacchiato, “E tu chi eri? Quello sfigato di Dogberry?”

“No, Benedetto!” ho risposto oltraggiato. “Si può sapere che c’entra adesso?”

Il suo viso si è illuminato, nonostante Nate continuasse a sbandierare ai quattro venti la mia débâcle sportiva e il nostro comportamento ambiguo.

“Fantastico! Allora suppongo che tu sappia come simulare un bacio,” ha dedotto, mantenendo un tono basso per non farsi sentire dagli altri.

 

Cosa?!
No, aspetta.
Non può averlo detto sul serio. Ho sicuramente frainteso…

 

Seppur agitata quasi quanto me, mi ha spiegato brevemente quanto aveva in mente di fare: “Non ne posso più di quello stronzo. Penso che valga la pena giocarci la carta che ci ha suggerito Mobius. Ovviamente sto parlando di una cosa professionale, capisci che intendo?”

 

Non sta scherzando.
Non sarebbe arrossita così se stesse scherzando.

 

Lo stomaco mi è schizzato in gola e il cuore – considerato il rumore assordante che avvertivo nelle orecchie – deve essersi trasferito direttamente nel cranio. Il cervello, spodestato dalla sua sede originale, si è sciolto in pappa, così come le mie gambe, diventate d’un tratto di gelatina.

“Sei pronto?” mi ha chiesto nervosamente, avvicinandosi sempre di più.

 

Pronto?! Sapessi da quanto lo sono!

 

Ho annuito lievemente e ho inspirato a pieni polmoni. Poi le ho preso il viso e mi sono abbassato fino a sfiorarle le labbra, isolando quella sensazione da tutto il resto.

Mi avevano insegnato a coprire il punto di contatto per nascondere la simulazione, a inclinare il viso in un certo modo per far sembrare l’atto più intenso, a muovermi con il resto del corpo per comunicare passione e trasporto…

La mia concentrazione era al massimo e tutti i miei sensi erano in allerta, preoccupato solo di interpretare correttamente i vari input che mi stava dando Sylvie – io avevo preso l’iniziativa, ma lei dirigeva la sceneggiata. Ero in apnea da quanto ero teso.

Ho dedotto che, tutto sommato, la nostra performance non doveva essere male, considerato che Nate finalmente aveva smesso di parlare. Non lo vedevo – perché eravamo in fondo al battello e io ero rivolto al contrario rispetto al senso di marcia – ma anche con le palpebre socchiuse ho scorto un’ombra imponente calare su di noi.

Proprio in quel frangente, Sylvie si è aggrappata al mio collo con forza, tirandomi energicamente verso di lei. La sua bocca, in questa rapida azione, si è schiusa e il contatto, che fino a poco prima stavamo padroneggiando discretamente, è sfuggito dal nostro controllo.

Interpretando il suo gesto come un chiaro incentivo a rendere la nostra farsa più credibile, beh, ecco… ci ho messo tutto me stesso, senza più recitare.

Facendo scivolare le mani lungo i suoi fianchi, l’ho stretta a me, desideroso di sentirla più vicina – ho avvertito distintamente il suo tremito quando la distanza fra noi si è azzerata e i nostri corpi hanno aderito perfettamente.

Bastava il profumo della sua pelle a rendermi ebbro. Quando poi ho cominciato ad assaggiare il suo sapore, ho perso definitivamente il barlume della ragione, realizzando solo in quel momento ciò di cui mi ero privato per così tanto tempo. Dapprima esitante e poi sempre più audace, la mia lingua ha reclamato la sua, percorrendo sensualmente il bordo delle labbra e insinuandosi furtivamente nella piccola fessura fra esse, fino a sfiorare la sua controparte.

Dopo la prima fugace incursione, l’ho attesa al confine – che ormai era tutt’altro che definito – mordicchiandola provocatoriamente per istigare il suo contrattacco.

Lei ha reagito affondando le dita nei miei capelli e restituendo di prepotenza la mia visita, emettendo un piccolo gemito quando le nostre lingue hanno cominciato a conoscersi.

Ero consapevole di avere un certo talento in questa pratica e volevo metterlo tutto a sua disposizione. Lei era irruenta e diretta – le piaceva tenere le redini del gioco e andare dritta al dunque – perciò l’ho lasciata sfogare, placando le sue stoccate con movimenti lenti e sensuali, con il chiaro intento di domare la sua foga e allo stesso tempo accrescere il suo desiderio.

Ho capito di averla in pugno quando ha sospirato per riprendere aria, scostandosi il minimo indispensabile per guardarmi, turbata e smarrita. Sembrava così fragile, così incerta – o addirittura spaventata? Cercava protezione, fiducia… amore.

Quando, ancora con il respiro affannoso, i suoi grandi occhi blu sono tornati sulle mie labbra, l’ho baciata di nuovo – e sul serio, al diavolo il teatro – per farle capire che io potevo darle tutto ciò che voleva, anche l’anima se me l’avesse chiesta.

Senza staccarmi da lei, mi sono seduto nel posto più vicino che ho trovato, facendola accomodare gentilmente sulle mie ginocchia. Di quello che avrebbero pensato gli altri, della possibile vendetta di Nate e di tutte le attrazioni descritte dalla guida, non mi importava nulla. La Sirenetta di Copenaghen era seduta in braccio a me e, almeno per ora, era soltanto mia.

 

Mia!

 

***

 

“Ragazzi… è ora di scendere,” la voce di Mobius, preceduta da un colpetto di tosse, ci ha riportato alla realtà.

Non ero molto propenso a muovermi da lì, ma Sylvie è stata molto rapida ad alzarsi e ricomporsi – le avevo alzato leggermente la maglietta, per rispondere alla sua intrusione nello scollo della mia camicia.

“Vedo che mi avete preso in parola,” ha commentato a bassa voce, ridendo sotto i baffi.

Lei è letteralmente schizzata fuori dall’imbarcazione, lasciandomi a tu per tu con Mobius, che mi ha fatto cenno di darmi una sistemata prima di scendere.

Ero confuso dal comportamento di Sylvie. Un attimo prima stavamo pomiciando come due adolescenti al primo appuntamento, un attimo dopo... puff, sparita.

La condotta anomala si è protratta anche durante la cena, dove mi ha trattato come se fossi un perfetto estraneo, tenendomi a distanza e rivolgendomi a malapena la parola. Ho cercato di fare buon viso a cattivo gioco, per non alimentare la curiosità morbosa di Nate, ma speravo in una successiva tappa in qualche pub o in una passeggiata – i dolori muscolari erano passati in secondo piano – per avere la possibilità di chiarire la situazione.

“Torno con gli altri in albergo. Sono piuttosto stanca,” mi ha detto, voltandomi le spalle e avviandosi con il resto del gruppo senza aspettarmi.

L’ho seguita e non ho più fiatato. Durante tutto il tragitto di rientro mi sono inutilmente arrovellato nel tentativo di capire cosa avessi fatto di sbagliato – perché a quel punto era palese che ce l’avesse con me – ma non ho trovato nessuna spiegazione plausibile.

Dopo aver augurato a tutti la buonanotte nell’atrio dell’hotel, siamo saliti in ascensore e non appena le porte si sono chiuse è calato un silenzio penoso.

Non potendo più sopportare quell’agonia, ho rotto il ghiaccio, optando per un approccio neutro: “Sylvie? Va tutto bene?”

“Uhm, uhm,” mi ha risposto, tenendo lo sguardo a terra.

 

Poco credibile per essere un’aspirante attrice!

 

“Sei arrabbiata per via di quanto è successo prima… durante l’escursione?”

Invece di rispondermi è fuggita di nuovo non appena l’ascensore si è riaperto. Quando l’ho raggiunta stava passando freneticamente la chiave elettronica davanti alla fotocellula, ma l’aggeggio malefico si è rifiutato di darle accesso alla camera – succede sempre quando si ha fretta.

L’ho scostata gentilmente – approfittandone per ristabilire un contatto fisico e visivo con lei – poi ho provato con la mia tessera e la serratura si è sbloccata al primo colpo.

Mi ricordava Cappuccetto Rosso, in quel terribile frangente in cui ha scoperto che la creatura che aveva di fronte non era la cara nonnina. E io, nel suo immaginario, dovevo essere il lupo cattivo, pronto a sbranarla con crudeltà – anche se, al contrario, sarei accorso in sua difesa sfidando ogni sorta di pericolo, come il prode boscaiolo.

Si è precipitata nella stanza e si è seduta sul letto, assai nervosa, con l’espressione di chi voleva cominciare un discorso molto serio, pur non sapendo da dove partire. Io mi sono limitato ad osservarla, stando in piedi con le mani incrociate dietro la schiena, in attesa che riuscisse ad esternare ciò che la opprimeva.

“Quello che è successo prima… So che è stata una mia idea, ma…” ha tentennato, piegando e ripiegando ossessivamente l’orlo delle coperte. “Insomma, io mi sono fidata di te. Perché non sei stato agli accordi? Voglio dire... Perché non sei rimasto professionale?”

 

Avevamo un accordo?

 

Avrei voluto sedermi accanto a lei, ma al solo accenno è trasalita, perciò mi sono inginocchiato ai suoi piedi per evitare di sovrastarla con la mia altezza – come si fa per avvicinare un animale diffidente.

“Ho cercato di fare del mio meglio,” mi sono giustificato. “E mi pare abbia funzionato bene all’inizio. Però, quando mi hai tirato giù...”

Ora che avevo la sua piena attenzione dovevo essere molto cauto nella scelta delle parole. Colto da un’improvvisa arsura, mi sono bagnato le labbra con la lingua e ho proseguito, evitando di scendere nei particolari del bacio per non creare ulteriore disagio.

“Ecco, io l’ho interpretato come un segnale...”

“Un segnale?” ha sgranato gli occhi esterrefatta.

“Pensavo che tu volessi di più,” ho confessato impulsivamente.

“Cosa?!” si è alzata di colpo, guardandomi come se fossi impazzito. “Stavi per lasciare le corna contro un ponte! Questo era il segnale!”

La consapevolezza di quanto realmente accaduto è scesa su di me come una mannaia, facendomi rivivere quel momento sotto una prospettiva completamente diversa: la sua presa salda sul collo, la mia posizione rivolta verso la poppa, l’ombra sopra di noi...

 

Sono un idiota! Sono un fottuto idiota!
Voleva evitare che mi inzuccassi sull’arcata del ponte!
E io che pensavo...
Dio. Ero così perso nel suo profumo che non capivo più niente.

 

Il desiderio aveva ottenebrato la mia mente, facendomi leggere le sue azioni in maniera completamente errata.

“Ti chiedo scusa. Credimi, non volevo approfittare di te.” A costo di sembrare ridicolo, sono rimasto in ginocchio a supplicare perdono. Ero estremamente dispiaciuto, però c’era qualcosa che non quadrava. “Perché non mi hai fermato?”

È rimasta a bocca aperta e la sua risposta è stata tutt’altro che immediata. “Non volevo che Nate si accorgesse del nostro inganno.”

Il solo nominarlo era sufficiente ad innescare una bomba acida nel mio stomaco.

“Per mezz’ora?” mi sono alzato di scatto, “Hai sopportato il supplizio per quasi mezz’ora solo per quel buffone?” Ora sì che mi stavo trasformando nel lupo mannaro – sentivo già i canini spuntare.

“Saranno stati dieci minuti. E non è stato un supplizio!” ha ammesso intimidita. “È solo che... Avrei dovuto mettere le cose in chiaro fin da subito. Errore mio.”

“Okay. Allora mettile in chiaro adesso, ti ascolto,” ho piantato i pugni sui fianchi e ho gonfiato il petto, per sembrare più autoritario.

“Io... Non so che idea tu ti sia fatto di me, ma non sono quella che pensi. E di certo non sono quella che cerchi.”

Le ho riso in faccia, incredulo, “Come sai quello che sto cercando?”

Ha deglutito, infine ha confessato, “Quello che Nate ha detto riguardo ai legami è vero. Non voglio vincoli con nessuno, specie con chi, al contrario di me, crede nelle favole. Il ‘vissero felici e contenti’ non esiste nel mondo reale – o almeno, non per me.”

Ho fatto per contestare, ma mi ha bloccato con un cenno, continuando, “Mi piace viaggiare con te, mi piace correre con te, mi piace... stare con te. Ma non voglio illuderti. Non sono una candida principessa e non potrò mai prendere il posto di Sif.”

“Non voglio un’altra Sif!” ho urlato, scuotendo il capo in modo veemente. Stavo per tirare un pugno all’armadio, ma poi ho lasciato scorrere la rabbia e sono crollato a sedere sul letto sbuffando. “Voglio te,” ho aggiunto con tono impercettibile, stringendo la testa tra le mani.

A quelle parole si è seduta mestamente dalla parte opposta e siamo rimasti per un po’ in silenzio, assorti nei nostri pensieri, dandoci le spalle. Neanche io credevo nelle fiabe, ma quello che c’era tra noi non era il frutto della mia fantasia. Ed ero sicuro che anche lei ne fosse consapevole, solo che, invece di vederla come un’opportunità che il destino ci stava offrendo, la percepiva come una minaccia da evitare a tutti i costi.

“Loki, credimi, è meglio che le cose restino così come sono,” ha detto dopo una lunga pausa. “Mi ero ripromessa di non andare oltre certi limiti, invece mi sono lasciata trascinare. Abbiamo sbagliato entrambi, ma non ce l’ho con te, anzi... È colpa mia. La mia leggerezza ha generato delle complicazioni nel nostro rapporto, ed era proprio quello che volevo evitare. Quindi ti prego, non riempiamo la nostra piccola bolla di sapone con sentimenti troppo ingombranti. Finirebbe per esplodere, lasciando solo lacrime al suo posto.”

Le sue parole affondavano nel mio cuore come lame affilate. “Perché i sentimenti ti spaventano così tanto?”

Non ha risposto, preferendo continuare il suo discorso, “Posso essere la tua compagna di viaggio, la tua amica o la tua allenatrice. Posso offrirti consolazione, supporto morale, divertimento e anche sesso – se vuoi. Ma non chiedermi di più, non pretendere altro. Finirei per sparire assieme alla bolla di sapone.”

Trovavo alquanto pessimistica la sua visione dell’amore – addirittura non osava nominarlo. Nella vita avevo subito anch’io grosse delusioni, tuttavia, adesso che mi rendevo pienamente conto della profondità di ciò che provavo, ero pronto a rimettermi in gioco.

Non volevo una parte di lei. La volevo completamente. Ma dovevo essere paziente e saperla aspettare, smontare il suo muro protettivo un mattone alla volta, fino a farle capire l’assurdità delle sue convinzioni.

Chiaramente quello non era il momento adatto per insistere, prima era necessario riguadagnare la sua fiducia, senza esasperarla. Quindi, rimanendo fedele a questa linea, mi sono messo in pigiama ostentando tranquillità e mi sono infilato sotto le coperte.

Lei ha fatto lo stesso, anche se un po’ guardinga – presa in contropiede dalla mia reazione – e ci siamo girati entrambi su un fianco, uno di fronte all’altra, studiandoci come fossimo allo specchio.

“Buonanotte, candida principessa,” le ho detto infine.

Lei mi ha guardato intensamente, poi ha accennato un sorriso e ha spento la luce, decretando la fine delle ostilità.

 

***

 

Il mattino seguente, come se nulla fosse, abbiamo fatto le valigie e ci siamo apprestati a rientrare. All’apparenza sembrava tutto normale, ma quando ci siamo abbracciati e ci siamo scambiati il classico bacio sulla guancia per salutarci, è stato molto difficile separarsi. A quanto pare i nostri corpi non avevano dimenticato ciò che la mente tentava di reprimere.

“Ci sentiamo per Lisbona?” ha chiesto, giocherellando con la cerniera della mia felpa. La pulsazione accelerata, visibile sul collo, smascherava la sua finta quiete.

“Certo. Non appena aprono le iscrizioni prenotiamo,” ho confermato.

Per metterla alla prova ho allargato le dita a tutta ampiezza, coprendo gran parte del busto – dalle scapole fino alla curva lombare – e causandole immediatamente la pelle d’oca.

 

Chi vuoi prendere in giro, Sylvie?

 

Avrei fatto di tutto per liberarla dalle sue paure, ma prima dovevo scoprire cosa si celava dietro di esse. E per farlo ero disposto a scendere a patti con il diavolo, che nel mio caso aveva le sembianze di Nate.

Notes:

A grande richiesta, finalmente il bacio è arrivato!
Sì lo so, era finto… ma era anche vero, almeno per Loki.
Secondo voi Sylvie ha solo recitato? Qualcosa mi dice di no.
Il prossimo capitolo sarà ancora Loki POV... chissà cosa si porterà in valigia stavolta 🤭

Chapter 8: Lisbona - parte 1

Notes:

No more blame
I am destined to keep you sane
Gotta rescue the flame
Gotta rescue the flame in your heart
No more blood
I will be there for you my love
I will stand by your side
The world has forsaken my girl
(THE RASMUS - Not Like the Other Girls)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

LOKI

Erano passati sei mesi da quel saluto in aeroporto, e non avevo trascorso un solo giorno senza pensare a lei.

A nulla era servita la full immersion nel lavoro – compreso il congresso annuale sugli animali esotici in America – e il ritrovato benessere economico – grazie alle cospicue entrate dello studio veterinario, che nel frattempo aveva aperto due nuove filiali.

A quanto pare, l’uragano biondo che si era abbattuto su di me aveva spazzato via tutte le altre priorità, insinuandosi in ogni aspetto della mia vita e prendendone possesso.

Ad esempio, quando ero tornato nel mio ristorante preferito – dove mi recavo sempre da solo, per auto-premiarmi dopo un successo – mi ero reso miseramente conto di scorrere il menu alla ricerca di qualcosa che avrei voluto far assaggiare a Sylvie, immaginandola insieme a me.

E quando ero andato al cinema a vedere un film d’autore pressoché sconosciuto, avevo pianto come un bambino perché la storia assomigliava tanto alla nostra e il finale era tutt’altro che allegro.

“Era meglio se andavi a vedere gli Avengers,” mi aveva preso in giro Thor.

Comunque, la prova inconfutabile della mia dipendenza da Sylvie era arrivata proprio da colei che aveva involontariamente favorito il nostro incontro. Una sera, all’uscita dalla clinica, mi ero imbattuto in Sif che, con fare risoluto, mi aveva pregato di concederle qualche minuto in privato. Incuriosito dalla sua faccia tosta, mi ero fatto trascinare in un piccolo bar poco lontano, e davanti a un caffè mi aveva sciorinato le sue ultime disavventure amorose.

“Mi sono resa conto di aver fatto un grosso sbaglio con te. Che ne dici se ricominciassimo a frequentarci?”

“No, grazie. Mi vedo con un’altra,” le avevo risposto istintivamente.

Stupita dalla mia sicurezza, se n’era andata senza aggiungere altro, lasciandomi a riflettere sull’ironia del destino. Fino a qualche tempo fa avrei pagato per un’opportunità simile, ma ora la vendetta aveva perso il suo fascino iniziale. La scacchiera aveva cambiato colore e io non ero più il fantoccio senza attributi che Sif ricordava – il suo re bianco. La mia parte nascosta, a lungo repressa, stava riaffiorando, rivelando la sua vera identità. E la mia nuova regina era forte e fragile allo stesso tempo, trasparente e misteriosa, coraggiosa e impaurita... piena di contraddizioni, esattamente come me.

 

Speriamo che il re nero non faccia la medesima fine del suo rivale!

 

***

 

Oltre alle comunicazioni telefoniche e via internet, avevo proposto a Sylvie di incontrarci di persona, ma lei aveva sempre declinato gli inviti, inventandosi scuse poco credibili. Quindi, nonostante i vari tentativi di raggirare le sue difese, non ero ancora riuscito a penetrare nell’area 51 – così definivo tutto ciò che riguardava il suo passato e l’alone di mistero che lo circondava.

Anche la chiamata a Mobius era stata del tutto inutile. Con il pretesto del nuovo viaggio, l’avevo contattato cercando di estorcere qualche informazione, tuttavia l’uomo era stato molto criptico a riguardo, “Sylvie viaggia con la nostra agenzia da diversi anni e so che Nate rappresenta un problema per lei. Ma non conosco i particolari e sinceramente non sarebbe professionale da parte mia spifferare la vita privata altrui. Mi dispiace, temo di non poterti aiutare.”

Le ricerche sul web si erano rivelate altrettanto infruttuose. A parte qualche graduatoria ancora presente sui database della federazione sportiva, non c’era alcuna traccia della sua carriera agonistica. Si trattava di campionati giovanili di almeno quindici anni prima e, a sorpresa, lei risultava iscritta nella specialità del salto triplo – e non nella corsa, come mi sarei aspettato.

In compenso avevo trovato un articolo interessante su Nate – definito giovane promessa dell’atletica – in cui si parlava del suo arresto per detenzione di droga e favoreggiamento alla prostituzione. Anche in questo caso la notizia era piuttosto datata e non c’era alcuna menzione ad eventuali altre persone implicate.

Chissà quando si erano incrociate le loro strade… e se Sylvie era rimasta coinvolta in queste attività illecite.

Ad ogni modo, avevo già pianificato la strategia da mettere in atto a Lisbona, dovevo soltanto individuare il momento giusto per attuarla, ed era indispensabile che lei ne restasse all’oscuro.

 

Se solo mio fratello fosse in orario!

 

Quella mattina, nel controllare le valigie, mi ero accorto che la spallina dello zaino era sfilacciata quindi, per non rischiare, avevo chiesto a Thor di prestarmene uno. Lui avrebbe già dovuto essere a casa mia da almeno un’ora, ma era perennemente in ritardo e ormai tutte le coincidenze con i mezzi pubblici erano perse.

“Non preoccuparti, ti porto io in aeroporto,” mi ha tranquillizzato, mentre travasavamo in fretta e furia le mie cose nel suo zaino.

Sfidando tutte le leggi della fisica – e soprattutto dopo aver infranto una decina di volte il codice della strada – siamo arrivati miracolosamente in tempo per il check-in. Ovviamente sono corso subito verso Sylvie, per dissipare la sua preoccupazione e per toglierla dalle grinfie di Nate che, al contrario di me, era arrivato con largo anticipo.

“Ma guarda! Abbiamo cambiato l’outfit!” ha esclamato in tono beffardo. “Lo zaino rosso serve per distinguersi tra la folla di spasimanti?”

Il suo ghigno si è spento rapidamente quando Thor lo ha afferrato con la sua manona, spingendolo di lato senza tanti complimenti.

“Levati imbecille! O finirai anche tu sul nastro trasportatore.”

Mio fratello sapeva della mia cotta per Sylvie e dei giochetti meschini di Nate. Gli era bastata un’occhiataccia per zittirlo e, per una manciata di secondi, mi sono sentito fiero di averlo al mio fianco.

“Finalmente ho l’occasione di conoscerti!” ha esclamato, accorrendo verso la mia compagna di viaggio. “Loki non fa che parlare di te. Sylvie di qua, Sylvie di là... che razza di incantesimo gli hai fatto?” Ho temuto che la stritolasse con un abbraccio, ma miracolosamente lei ne è uscita viva, seppur con il volto paonazzo.

 

Ho cambiato idea. Era meglio se Thor fosse rimasto a casa!
Mi sta facendo passare per il folle innamorato.
Cosa che si avvicina molto alla realtà...
Però avrei preferito che restasse fra noi, accidenti!

 

“È la magia della corsa,” gli ha risposto sorridendo, lanciandomi un timido sguardo.

Fortunatamente in aereo Nate era rimasto relegato nella fila posteriore, quindi non ha potuto disturbarci più di tanto. Tuttavia, non siamo riusciti a chiacchierare molto per via delle turbolenze che hanno movimentato il volo – una grossa perturbazione stava attraversando la zona proprio in quei giorni.

All’arrivo siamo stati accolti da un violento acquazzone, che ha causato ritardi e ci ha bloccato nel traffico, costringendoci a compiere un lungo tratto a piedi sotto la pioggia battente per poter raggiungere l’hotel.

Finalmente giunti a destinazione, e dopo la solita procedura di registrazione dei documenti, siamo saliti in camera per cambiarci gli indumenti fradici e lì...  abbiamo fatto una scoperta sconcertante.

La stanza era arredata in stile moderno, minimale ma efficiente, ed era attrezzata con due letti (il matrimoniale, più un lettino a fianco). Non c’era il terrazzo, ma le ampie finestre consentivano un adeguato ricambio dell’aria e le tende ombreggianti garantivano la giusta privacy… cosa che invece non faceva affatto la controversa parete di vetro che separava la zona notte dal bagno.

Seduti sul lettino, siamo rimasti a bocca aperta a osservarla per qualche minuto, increduli di fronte a questa discutibile scelta stilistica – sicuramente frutto della mente perversa di qualche architetto di tendenza.

La prima a riscuotersi è stata Sylvie, che si è alzata per andare dall’altra parte a fare qualche test, “Ehi Loki, si vede qualcosa?”

Pur facendo ampi gesti con le braccia, si intravedeva appena la sua sagoma sfuocata, senza dettagli. “No. Almeno hanno avuto la decenza di opacizzare questo obbrobrio,” ho brontolato.

“E così?” mi ha chiesto di nuovo, schiacciando il naso sul vetro.

Ridacchiando le ho risposto, “Adesso mi pare di scorgere una maialina che mi fa la linguaccia.”

È tornata da me con aria soddisfatta. “Beh, dai, poteva andare peggio. L’importante è non stare troppo appiccicati alla parete quando si fa la doccia... altrimenti la faccenda potrebbe diventare piuttosto hot,” ha aggiunto maliziosa.

 

Già mi controllo a fatica, ci mancava solo la suite a luci rosse!

 

“Perché non decidiamo come sistemarci? A Praga sei stata tu nel lettino, quindi è giusto che ora ci stia io,” ho proposto, nel vano tentativo di cambiare argomento.

“A dire il vero, a Praga abbiamo dormito tutti e due nel lettino,” ha puntualizzato. “Di’ la verità. Vuoi stare su quel lato per avere una visuale migliore del privé.”

Stando al gioco, ho confermato, “Ovvio. E anche per sfruttare la rivista che qualcuno ha lasciato nel comodino.”

La sua curiosità si è accesa istantaneamente, ma è rimasta molto delusa quando, aprendo il cassetto, le ho mostrato il numero della Settimana Enigmistica contenuto al suo interno.

“Con un’atmosfera del genere mi sarei aspettata Playboy, o Man Only. Però, se tu preferisci usare i cruciverba per…”

 

Mia cara. Con te funzionerebbe pure il codice civile!

 

“Quelli li tengo sul telefono,” ho scherzato, dandole un colpetto con la rivista e sollecitandola a cambiarsi per andare a ritirare i pettorali.

Sapevo che aveva un debole per questo genere di discorsi e io mi divertivo a stuzzicarla, infatti non ha mancato di replicare, “Ho sempre sospettato che tutti quegli ebook in realtà fossero dei porno.”

Inoltre, non avevo dimenticato la sua allettante offerta, fatta durante il nostro concitato colloquio post crociera. Certo, all’inizio quella frase era passata in secondo piano – ero talmente fuori di me che non ho avuto la lucidità di analizzarla – ma poi…

 

“Posso offrirti consolazione, supporto morale, divertimento e anche sesso,” aveva detto.

 

Queste parole erano rimaste impresse in un angolo del mio cervello – o meglio, nella sua sede distaccata, quella dislocata ai piani inferiori – ed ero molto combattuto: da un lato ero attratto fisicamente da lei in modo pazzesco, dall’altro non volevo abbassarmi ad accettare il suo compromesso – almeno non senza aver combattuto per conquistare il suo cuore.

Dovevo trovare assolutamente un modo per parlare con Nate in privato. E al più presto.

 

***

 

Sistemate le valigie, ci siamo diretti all’area expo per ritirare i pettorali, poi abbiamo fatto un giro in centro per la Rua Augusta, fino ad arrivare a Praça do Comércio.

Ovviamente non ci siamo fatti mancare la sosta dolcetto – ben sapendo che Sylvie ne è ghiotta – fermandoci a gustare i famosi pastéis de nata, che in seguito abbiamo diluito con un bicchierino di ginjinha. L’assenza di Nate mi ha stupito – proprio adesso che avevo bisogno di lui – ma ho cercato di godermi il più possibile quella tregua, convinto che non sarebbe durata a lungo.

Prima di uscire a cena siamo tornati in albergo e Sylvie è salita in camera per darsi una sciacquata veloce, mentre io l’ho attesa in reception, con la scusa di lasciarle maggiore riservatezza. Come se ci fossimo dati appuntamento, Nate si è materializzato dal nulla e si è accostato al bancone del bar, dove mi avevano appena servito i due drink che avevo ordinato.

“Oh ecco il premuroso sposino che attende la sua bella— ” si è ammutolito quando gli ho offerto il bicchiere, che evidentemente pensava fosse per qualcun altro.

Lo ha esaminato con sospetto, chiedendomi, “Che cosa ci hai messo dentro stavolta?”

Sogghignando, ho assaggiato un goccio del suo drink con la cannuccia – per dimostrargli che il contenuto non era stato alterato – e lui ha accettato l’offerta, pur rimanendo guardingo.

“Allora? A cosa devo questo onore?”

“Voglio fare un accordo con te,” ho buttato lì, sorseggiando svogliatamente il mio aperitivo.

Intrigato dalla premessa, mi ha esortato a fornirgli i dettagli e io, tanto per preparare il terreno, mi sono assicurato che la sfida precedente fosse ancora valida. Lui ha annuito, quindi ho ammorbidito il suo ego lusingandolo, prima di arrivare al sodo.

“Proverò a superarti, pur sapendo che sarà dura. D'altronde eri una giovane promessa dell’atletica,” ho sottolineato, per richiamare quel vecchio articolo di giornale – riferimento che lui ha colto immediatamente.

 “Quindi volevo lanciare una nuova sfida, magari alla mia portata,” ho aggiunto.

Si è sfregato le mani, chiaramente allettato dall’idea. “Intendi fra noi due?” ha chiesto speranzoso.

“No. Fra me e Sylvie.”

Questo cambio delle forze in gioco lo ha colto di sorpresa. Tuttavia, intuendo ciò che stavo per mettere sul tavolo, i suoi occhi si sono illuminati.

“Se io arriverò davanti a Sylvie, tu mi racconterai tutto quello che sai del suo passato,” gli ho proposto a bruciapelo.

Diverse persone nei dintorni del bar hanno sussultato a causa della sua risata sguaiata. “Sei davvero tanto impaziente di conoscere la verità?”

Dopo essersi ricomposto, mi ha assicurato, “Okay. Ti dirò tutto quello che vorrai, anche se potresti rimanere molto deluso.”

“Non sarebbe certo una novità,” ho commentato amaramente.

“Accetto, ma a una condizione: lei deve partecipare attivamente alla sfida, altrimenti dove sta il divertimento?”

Mi ha teso la mano e io gliel’ho stretta, siglando l’accordo, poi si è avvicinato al mio orecchio e ha sussurrato, “Ti consiglio di inventarti qualcosa, se non vuoi scatenare la sua ira funesta... E dovrai farlo in fretta, dato che lei è già qui!”

Ha ammiccato verso l’ascensore, da dove era appena uscita Sylvie. La sua aria cupa non lasciava presagire nulla di buono.

“Non ti si può lasciare da solo un attimo!” si è rivolta a me, visibilmente contrariata.

“Ho fatto una nuova scommessa con Loki. Ma è valida esclusivamente se tu accetti,” si è intromesso Nate, per mettermi alle strette.

Lei mi ha guardato diffidente, ma con un’invidiabile prontezza le ho spiegato, “Vale sempre la sfida della volta scorsa, però dobbiamo ammettere che Nate è troppo forte per entrambi. Quindi volevo aggiungerne un po’ di pepe alla nostra corsa... per spronarci a vicenda. Tipo: chi arriva ultimo, paga il prossimo viaggio all’altro. Che ne dici?”

Mi ha squadrato molto attentamente, tuttavia, se anche ha dubitato della mia sincerità, non lo ha dato a vedere, anzi, ha esclamato, “Perfetto, allora ti giro gli estremi per farmi l’accredito.”

Nate è scoppiato di nuovo a ridere, dandomi una pacca sulla spalla. “La ragazza pare piuttosto sicura di sé. Temo che dovrai inventarti qualcosa di meglio del sonnifero per starle davanti!”

Detto questo se n’è andato, lasciandoci uno di fronte all’altra a studiarci. Ho sostenuto per un lungo istante lo sguardo di Sylvie, sentendomi opprimere dal senso di colpa, ma ormai non potevo più tirarmi indietro.

 

Quel che è fatto, è fatto.

 

***

 

Sabato mattina ci siamo svegliati di buonora, per partecipare al tour della città organizzato dalla TVA.

Sylvie non sembrava essersela presa più di tanto per l’episodio del bar, anzi, era di ottimo umore, nonostante la giornata promettesse forte vento e piogge abbondanti – non proprio il clima ideale per fare turismo.

“Se butta male ci infiliamo in un locale e ci sbronziamo,” ha scherzato. Poi, vedendomi tutto storto e dolorante si è allarmata, “Che hai fatto alla schiena?”

Le ho spiegato che avevo dormito male a causa del materasso – probabilmente forgiato nel granito – e le ho suggerito che un bel massaggio mi avrebbe giovato.

“Scordatelo!” mi ha zittito subito. “Così impari a scommettere con Nate!”

 

Mi pareva strano averla passata liscia…

 

Ciononostante, mi ha consigliato un esercizio in quadrupedia per allungare la colonna vertebrale. Alla dimostrazione pratica ho cominciato ad avvertire un certo calore, e ho negato spudoratamente quando si è accorta che non stavo affatto ascoltando la sua spiegazione.

Per mettermi alla prova, si è alzata e mi ha fatto cenno di prendere il suo posto. “Fallo tu. Vediamo se, oltre a guardarmi il culo, hai assimilato qualcosa.”

Essendo stato colto in flagranza, mi sono messo a quattro zampe e ho eseguito gli ordini ubbidientemente, imitando i suoi movimenti.

“Va bene così?” le ho chiesto, dopo qualche ripetizione. In risposta ho ottenuto una sonora sculacciata, cosa che, mio malgrado, ho gradito.

 

Lo prendo per un sì.

 

Finita la visita guidata, caratterizzata da improvvisi scrosci d’acqua, ci siamo fermati in un piccolo ristorante all’interno di Campo Pequeno a gustare il piatto tipico a base di polpo, poi abbiamo continuato la nostra escursione in autonomia, abbandonando il resto del gruppo – che ha preferito tornare in albergo, visto il maltempo.

Con il tram 28E abbiamo ripercorso gran parte del tragitto fatto a piedi quella mattina – con il vantaggio di essere al coperto – e con l’Elevador siamo saliti al belvedere per goderci la vista della città e del fiume Tago, nonostante la scarsa visibilità.

Confesso che qui, mentre ci scattavamo degli stupidi selfie con le facce strane, ho sentito l’impulso di baciare Sylvie, ma mi sono trattenuto – il ricordo della sua reazione a Copenaghen era ancora troppo fresco.

L’assenza di Nate ha contribuito a rendere ancora più gradevole la giornata. Nonostante all’inizio non fossi così ottimista, mi pareva di essere tornato indietro alle prime trasferte, quando le cose tra noi erano ancora chiare e semplici. Inoltre, ero sollevato nel constatare che lei si sentisse di nuovo a suo agio con me – addirittura in certe occasioni l’ho colta a fissarmi, quasi come se volesse…

 

Chissà se in questo momento mi sta guardando in quel modo – ho fantasticato sotto la doccia, ben sapendo che lei era dall’altra parte del vetro.

 

E dato che, quando sono uscito, non si è curata minimamente di nascondere il suo apprezzamento – ero a torso nudo e indossavo unicamente i pantaloni del pigiama – ho avuto la piacevole conferma della mia supposizione.

“Stasera non scendi a brindare con il tuo amico Nate?” mi ha punzecchiato, accingendosi a fare la doccia a sua volta.

“No, niente eccessi. Sono diventato un atleta modello ormai!” ho sogghignato, sedendomi sul letto. “Mi metterò qui, a fare i quiz della Settimana Enigmistica – che solitamente mi conciliano il sonno.”

“Già. Bisogna riposare la notte prima della gara,” ha convenuto, con una punta di ironia che ho volutamente ignorato.

Avendo già fatto tutti i preparativi per il giorno dopo, ho preso la rivista dal cassetto e ho cercato il sujiko – un gioco matematico che generalmente mi dà soddisfazione.

 

Dunque. La somma deve fare 19 e qui c’è il 6.
Allora provo a mettere il 4 qui e il 5 qui…

 

Quando è partito il getto dell’acqua, involontariamente il mio sguardo si è spostato in direzione della parete. Vedevo la sagoma di Sylvie che si muoveva – presumibilmente si stava insaponando – e la mia mente è tornata immediatamente a Praga, a quando l’ho dovuta assistere dopo lo svenimento…

Scrollando il capo per spazzare via quell’immagine, sono tornato ai miei calcoli.

 

7 + 6 = 13 + 4 = 17 + 2…
La schiuma che scivola sul suo corpo, lei che si massaggiava la cute con gli occhi chiusi, i miei pantaloni che cominciavano a stringere – esattamente come adesso…

 

Niente da fare. Quel ricordo sembrava avere una corsia preferenziale rispetto ai maledetti numeri che avevo davanti e ogni sforzo per mantenere la concentrazione era vano.

 

Dicevamo, 7 + 6 = 12
No, idiota! Fa 13!
13 + 4 = ∞... C = 2πr... E=mc²

 

“Loki? E questo si vede?”

Quando ho alzato la testa e ho visto il suo sedere stampato sul vetro il mio istinto più selvaggio ha preso il sopravvento, trasformandomi nel giro di pochi secondi in un animale pronto per l’accoppiamento.

Cogliendomi di sorpresa, lei è uscita subito dopo… in accappatoio.

 

Perché non si è messa il pigiama? È lontanamente consapevole dell’effetto che mi fa?
Il 90% dei miei sogni erotici comincia in questo modo...

 

“Non mi hai risposto,” ha insistito, avvicinandosi pericolosamente a me. “Eri troppo impegnato con il sudoku?”

“N-Non è il sudoku. Questo si chiama s-sujiko. È un parente alla lontana,” ho balbettato, abbassando velocemente la rivista e pregando che non notasse…

Si è seduta accanto a me e, senza darmi il tempo di reagire, ha strappato la rivista dalle mie mani, smascherando quello che stavo miseramente tentando di camuffare. “Wow. Sembra un gioco interessante, posso partecipare anch’io?”

“Sylvie?! Ti prego, fermati. N-Non mi pare una buona idea,” le ho afferrato i polsi, interrompendo bruscamente la temeraria discesa delle sue dita lungo il mio petto. “Non hai detto che è meglio lasciare le cose così come sono?”

“Non ho mai escluso il sesso. Quello si può fare benissimo senza tirare in ballo i fottuti sentimenti,” ha chiarito, denotando una certa impazienza.

Sono balzato in piedi e mi sono fiondato in bagno – a lanciarmi secchiate di acqua fredda in faccia – e lei mi è corsa dietro, ridendo per la mia reazione.

“Potresti provare con del ghiaccio istantaneo nelle mutande,” ha sghignazzato. “È inutile, so che stavi pensando la stessa cosa. Insomma, il Viagra la volta scorsa, la scatola di preservativi stavolta…”

“Cosa?! Io non ho portato nessuna…” Lanciando via l’asciugamano che avevo usato per tamponarmi il viso e voltandomi verso di lei, mi è sorto un dubbio, “Hai rovistato ancora nella mia valigia?”

“Giusto una sbirciatina… nello zaino,” ha ammesso, stringendosi nelle spalle.

“Una sbirciatina?! Ma che diavolo sei? La polizia di frontiera?” ho tuonato. “E comunque lo zaino è di mio fratello… e probabilmente quelli sono i suoi preservativi!”

“Ah.” Si è ammutolita per qualche secondo, meditando sulla scatola che mi aveva appena sventolato davanti al naso. “Beh, allora che ne facciamo?”

“Di cosa?” le ho chiesto esasperato, pur intuendo dove voleva andare a parare.

“Di questa… mastodontica erezione. Scusa, ma non so come altro definirla.” Nonostante le mie proteste, ha ricominciato ad accarezzarmi sensualmente, bisbigliando, “Sarebbe un peccato sprecarla.”

 

Loki no!

 

“No, Sylvie. S-stai buona. Vedrai che fra un po’ passa…”

“Davvero?” Imperterrita, si è slacciata la cintura dell’accappatoio e…

 

Oh, mio Dio!
Loki NO!

 

“Perchè conosco un metodo alternativo e molto più efficace per farla passare,” ha detto, estraendo una bustina dalla scatola incriminata.

Il suo profumo amplificava tutti i miei sensi, rendendomi schiavo. Stavo per stritolare il bordo del lavandino sul quale ero appoggiato quando lei ha letteralmente preso in mano la situazione, srotolando il condom su di me con una naturalezza disarmante.

“Sylvie, sei sicura che…”

“Smettila di pensare,” mi ha ordinato. “Fallo e basta.”

 

LOKI SÌ!

 

Basta. La mia razionalità ha alzato bandiera bianca.

Incapace di resisterle, l’ho caricata di peso e appesa al muro di fronte, liberandomi frettolosamente degli indumenti – non è facile togliersi i pantaloni usando solo i piedi.

“Tutto, ma niente baci,” mi ha intimato, mordendomi l’orecchio per istigarmi.

L’ho aiutata a sfilarsi l’accappatoio e l’ho trasportata sul letto matrimoniale, dove siamo atterrati pesantemente. Ero furioso per il vincolo che mi aveva imposto, ciononostante ero troppo eccitato per fermarmi. Ho provato di nuovo ad attaccare le sue labbra, ma ha scostato velocemente il volto per impedirmelo, quindi per ripicca le ho succhiato l’incavo della clavicola.

La guaina in lattice limitava la mia sensibilità e non avevo la percezione precisa di quanto fosse lubrificata ma, incoraggiato dai suoi movimenti sotto di me, sono affondato in lei come se fosse burro.

Non mi sono mai sentito così completo in vita mia.

Notes:

Nel prossimo capitolo scopriremo finalmente il punto di vista di Sylvie riguardo gli ultimi eventi, dal bacio sul battello fino a questa promettente notte di passione.
Ma siamo solo all’inizio... come vi immaginate il seguito?
Chi si stancherà per primo?
E le prestazioni in gara ne risentiranno?
Comunque, se Thor ha lasciato volontariamente la scatola di preservativi nello zaino è davvero un genio!🧞

Vorrei aggiungere un ringraziamento particolare a Nordrljos per l’immagine in copertina (nel primo capitolo) 🙏