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C'è posta per te

Summary:

Simone Balestra, proprietario de "La libreria dietro l'angolo" deve fronteggiare l'arrivo in città di un nuovo megastore della Brandi & Sons, diretto da Manuel Ferro Brandi. Ciò che nessuno dei due sa è che mentre la vita reale li mette uno contro l'altro, quella virtuale li avvicina più che mai.

Ispirata al film "C'è posta per te"

Chapter 1: Prologo: Le città invisibili

Chapter Text

Il tramonto dipingeva Roma di sfumature di arancio e viola, come se la città, per un istante, di fosse ammutolita davanti al cielo.

Trastevere, le stradine lastricate di sampietrini si animavano di vita.

Il profumo di pizza margherita appena sfornata che si mescolava a quello del caffè tostato.
Il rombo di una vespa che sfrecciava in un vicolo di Via della Lungaretta, intrecciandosi con le risate dei turisti.
Il suono nitido delle campane di Santa Maria in Trastevere.

Simone Balestra, ventinove anni, chiuse la porta de La libreria dietro l’angolo, il suo rifugio per bambini nascosto tra le facciate ocra delle case che sembravano abbracciare chiunque passasse.

Il campanello sopra l’ingresso trillò, un suono che gli pizzicava il cuore ogni volta, come se fosse Jacopo, il suo gemello, a salutarlo dall’altro lato del mondo.

Dentro, la libreria era un nido di ricordi.

Gli scaffali di legno scricchiolavano sotto il peso di libri illustrati, con copertine di draghi, principesse e foreste incantate.
Un angolo lettura, con cuscini a righe rosse e bianche e un tappeto sbiadito, era decorato con i disegni di Jacopo.

Città sospese tra le nuvole.
Castelli di carta.
Aquiloni che volavano sopra un mare immaginario.

Erano i sogni di due ragazzi che, anni prima, si raccontavano storie per sfuggire alla realtà.

Simone si fermò davanti a uno scaffale e con le dita si trovò a sfiorare una copia logora de Le città invisibili di Italo Calvino.

La copertina era consumata.
I bordi erano piegati da troppe letture.

Lo aprì, trovando la dedica di Jacopo, scritta con una penna blu ormai sbiadita dal tempo.

Per le nostre città invisibili, Simone.
Sempre tuo,
Jacopo.

Chiuse gli occhi, e il passato lo travolse come il ponentino che scuoteva gli alberi lungo il Tevere.

Era un pomeriggio d’autunno, cinque anni prima, all'ospedale Gemelli.

La stanza di Jacopo odorava di disinfettante, ma lui aveva trasformato quell'angolo sterile in un rifugio.

Un mazzo di margherite, portato da Simone, animava il comodino accanto a una pila di libri che minacciava di crollare sul pavimento.

Jacopo, magro, con le guance scavate dalla malattia, teneva “Le città invisibili” aperto sul petto.

«Senti qua – disse, con la voce roca ma piena di vita – “[...] Se l’esistenza in tutti i suoi momenti è tutta sé stessa, la città di Zoe è il luogo dell’esistenza indivisibile”. Questo significa che Zoe è la città dove nulla si distingue, dove tutto è tutto insieme. È la città dove tutto è possibile! E io ti ci vedo, Simo, a costruirla con i tuoi sogni»

Simone, seduto sul bordo del letto, rise, cercando di ignorare i monitor che continuavano a emettere suoni.

«E tu dove saresti in questa città?» chiese, stringendogli la mano.

Jacopo sorrise, un sorriso che spezzava il cuore.

«Su un tetto, a guardare le stelle. Ma tu devi costruirla per noi due»

Leggevano insieme le parole di Calvino intrecciandole ai loro sogni.

«Non lasciare che la libreria diventi invisibile – sussurrò Jacopo, stringendo il libro – Promettimelo»

Simone annuì con gli occhi lucidi, sapendo che quella promessa sarebbe stata il suo modo di tenere Jacopo con sé.

Jacopo rise, nonostante tutto, indicando il libro.

«Sai, se fossi una città, sarei Diomira, quella con le cupole d’argento. Tu sei più Zaira, piena di ricordi»

Simone scosse la testa.

«Zaira? No, troppo seria. Dammi almeno una città con un drago»

Jacopo rise di nuovo.

«Un drago? Allora sei Isidora, la città dei desideri giovanili che si raggiungono solo da vecchi. Ma tu…tu non smettere di sognare, okay?»

Simone glielo promise, stringendogli la mano, pur sapendo che il tempo di Jacopo stava finendo.

Riaprì di scatto gli occhi, Simone, con il libro ancora tra le mani.

La libreria era tutto ciò che restava di quella promessa.

Dopo la morte di Jacopo, la famiglia si era spezzata.

I genitori, incapaci di sopportare Roma senza di lui, si erano ritirati a Civita di Bagnoregio, un piccolo borgo fiabesco sospeso nel tempo, dove il silenzio sembrava lenire il loro dolore.

Simone non li biasimava.

Ché, in fondo, il lutto è un linguaggio che ognuno parla a modo suo.

Ma la libreria, con i suoi disegni e i suoi ricordi, era diventata la sua Zaira, la città invisibile che custodiva ogni momento con Jacopo.

Ogni libro, ogni scaffale, ogni segno di matita era un pezzo di lui.

Simone si avvicinò all’angolo lettura, dove un disegno di Jacopo mostrava una città fatta di torri e aquiloni, sospesa tra le nuvole.

Lo sfiorò con le dita, come se potesse toccare il fratello attraverso la carta.

«La stiamo ancora costruendo, vero?» sussurrò, con la voce che tremava appena.

Ché la libreria era il suo rifugio, ma anche la sua battaglia.

Ogni giorno, sistemando gli scaffali o leggendo ai bambini, sentiva Jacopo accanto a sé, come se fosse ancora lì a disegnare città impossibili.

Ma le bollette si accumulavano, i clienti diminuivano, e un’ombra di preoccupazione lo seguiva.

La libreria faticava a sopravvivere in una Roma che correva sempre più veloce, dove i negozi di quartiere sembravano reliquie di un altro tempo.

Fuori, Trastevere continuava a tingersi di luci dorate.

I dehors si riempivano lentamente di turisti e passanti.
Un musicista di strada suonava la chitarra a pochi passi dall’ingresso della libreria.

Simone si avvicinò alla finestra, osservando le ombre morbide, gettate dai lampioni, che si allungavano sui vicoli, e un sorriso gli sfiorò il volto, pervaso da un senso di pace, come se quella visione, nonostante le difficoltà, gli ricordasse che quella era la sua dimensione, il suo posto nel mondo.

Ma quel momento di quiete durò poco.

Un volantino, portato dal vento della sera, scivolò sotto la porta.

Simone lo raccolse, accigliato.

Brandi & Sons: grande apertura all’EUR! Libri, tecnologia, tutto ciò che desideri!

La carta lucida, con il suo font arrogante e le immagini di un negozio scintillante, sembrava un insulto.

L’EUR era lontano, a otto chilometri da Trastevere, ma Roma era una città che si muoveva veloce.

Un megastore come quello, con prezzi scontati e laboratori gratuiti, poteva attrarre le famiglie che un tempo affollavano la sua libreria.

Simone, in fondo, conosceva il gioco.

Catene come Brandi & Sons non vendevano solo libri.

Vendevano comodità, promesse, un’intera esperienza.

«Un colosso che vuole mangiarsi Roma» mormorò, accartocciando il volantino.

Non lo buttò, però.

Lo infilò in tasca, come se tenerlo vicino potesse aiutarlo a combattere.

Pensò ai clienti abituali.

Le mamme che portavano i figli per le letture.
Le maestre che ordinavano libri per le scuole.
I turisti che si innamoravano del fascino di Trastevere.

Sarebbero bastati a tenere in vita la libreria?

Non lo sapeva, ma non poteva arrendersi.

Si sedette al bancone, avvolto, come in un abbraccio, dal profumo di carta vecchia e di quel caffè che aveva preparato almeno mezz’ora prima.

Prese la tazza ormai fredda e, appena assaporò il primo sorso, fece una smorfia.

Jacopo direbbe che sono un disastro, pensò, ridendo tra sé, ricordando come suo fratello lo avesse sempre preso in giro per la sua abitudine di lasciare il caffè a metà, scherzando sul fatto che gli avrebbero dovuto togliere la cittadinanza come a quelli che preferiscono il sushi alla pizza.

Ma quel pensiero, come tanti altri, svanì nel momento in cui il telefono vibrò.

Un messaggio di Alessio, il suo fidanzato, un giornalista culturale con un’ossessione per i vinili e le poesie di Ungaretti, interruppe la scia di ricordi.

Simo, ho trovato un’edizione del ’68 di Pasolini, una chicca! Passo domani, okay? Non lavorare fino a tardi, che poi sembri uno zombie!

Simone sorrise, ma il sorriso era tiepido.

Alessio era gentile, affidabile, con quel suo modo scanzonato di affrontare la vita che, a tratti, lo divertiva pure.

Ma la loro relazione era come un libro letto a metà.

Piacevole, ma senza la voglia di girare la pagina.

Rispose con un rapido Grande, ci vediamo domani. Notte!, poi posò il telefono.

Guardò ancora fuori dalla vetrina, dove Trastevere, ormai, pullulava di gente, e il suo sguardo cadde su un ragazzo che stava scattando una foto alla sua ragazza davanti al Bar San Calisto, sorridendo, quando un tizio in bicicletta passò all’improvviso, proprio davanti all’obiettivo, senza nemmeno accorgersene.

Si sciolse in una risata sincera, Simone, e si chiese se Jacopo avrebbe amato quella Roma, con i suoi contrasti e il suo caos.

«Tu saresti stato qui a disegnare questo vicolo» disse piano, tornando a osservare il disegno sopra l’angolo lettura.

Poi riafferrò Le città invisibili e, stavolta, lo sfogliò, fermandosi su una frase.

Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi”.

Quelle parole gli sembravano un messaggio, un filo che lo collegava a Jacopo.

Aprì, allora, PagineVive, un’app per lettori dove si rifugiava quando il mondo pesava troppo.

Sotto lo pseudonimo LettoreDiTramonti, scorse il forum, cercando una distrazione.

Gli occhi gli caddero su Le città invisibili, e un impulso lo spinse a scrivere, con le dita che tremavano appena.

“Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio”, scrive Calvino.
A volte sogno una Roma invisibile, fatta di ricordi e tramonti sul Tevere. Una città dove i sogni non si spengono. Qual è la vostra città invisibile?

Chiuse il telefono e si alzò, uscendo un momento davanti alla libreria.

Il vento della sera gli accarezzò il viso, e il Tevere scorreva lento, riflettendo le luci della città.

Per un attimo, Simone si sentì davvero dentro quella città invisibile.

Una città che non esiste, eppure vive nei suoi ricordi e nei suoi sogni, come se Roma custodisse ogni sua emozione, ogni frammento di passato.

«Forse c’è ancora posto per noi, Jacopo» sussurrò, tornando dentro, mentre il campanello trillava di nuovo, sospinto dal vento.

***


A otto chilometri di distanza, l’EUR era un altro mondo.

Il cielo, lo stesso che abbracciava Trastevere, si rifletteva sulle ampie finestre di un palazzo di vetro e acciaio, dove Manuel Ferro Brandi, trent’anni, lavorava al decimo piano.

L’ufficio era una scatola di modernità.

Scrivanie di design.
Schermi che proiettavano grafici di vendite mentre il ronzio dell'aria condizionata sembrava assorbire ogni traccia di calore, lasciando solo un freddo impassibile.

Solo Platone, il suo Golden Retriever, portava vita in quel luogo.

Accucciato su un tappeto sbiadito, il cane lo guardava con occhi che sembravano implorarlo di rilassarsi o, quantomeno, di provare a farlo.

Manuel tamburellava con le dita sulla scrivania mentre gli occhi erano fissi sul Palazzo della Civiltà Italiana che si stagliava nel tramonto, solido e imponente.

Era stanco, non solo del lavoro, ma del peso del suo cognome.

Suo padre, Nicola Brandi, aveva costruito un impero di megastore che vendevano libri, ebook, videogiochi, cd, dvd.

Tutto ciò che i clienti desideravano.

Ma per Manuel, quel successo aveva un costo.

Ricordava le estati a Ostia, quando sfogliava libri usati in un negozietto polveroso, sognando di essere altrove.

Ora, il suo mondo era fatto di numeri, riunioni, aspettative che lo soffocavano, e quello che stava vivendo non era che un altro di quei giorni che sembravano non finire mai, dove il peso di tutto era un fardello invisibile, ma costante.

E a confermarglielo, qualche istante dopo, furono il suono del telefono e la voce di Nicola che, tagliente e decisa, arrivò come un'onda a infrangersi contro il silenzio.

«Manuel, il megastore deve essere un successo. L’EUR è il nostro biglietto per dominare Roma. Niente errori, niente sentimentalismi. Schiaccia la concorrenza, chiaro?»
«Chiaro» rispose Manuel, ma la parola gli bruciò sulla lingua.

Nicola vedeva i negozi di quartiere come ostacoli da eliminare.

Manuel, invece, sentiva un nodo allo stomaco ogni volta che pensava a quei luoghi, con i loro scaffali disordinati e il profumo di carta.

Platone alzò il muso, guaendo come per consolarlo.

«Almeno te me capisci, vero?» disse Manuel, accarezzando il cane.

Platone scodinzolò, poi, con un balzo, rubò un panino al prosciutto dalla scrivania.

«Ao’! – rise Manuel, inseguendolo senza successo – Que ‘r panino era ‘a cena mia!»

Il cane si accucciò sotto la scrivania, con il panino tra i denti e un’espressione che sembrava incolpare Manuel per la distrazione.

Manuel scosse la testa, ridendo.

«’O sapevo che me sarei dovuto pija’ ‘n gatto!» scherzò, accarezzandolo dietro le orecchie.

Ma il telefono vibrò di nuovo e interruppe il momento.

Stavolta un messaggio di Elisa, la sua fidanzata.

Confermata cena coi clienti domani. Non fare tardi. E vestiti bene, per favore.

Manuel alzò gli occhi al cielo.

«Vestiti bene» borbottò, imitando il tono di Elisa.

Platone inclinò la testa, come se trovasse la situazione esilarante.

«Che me guardi così? ‘A fai facile te, mica te devi preoccupa’ de sceglie ‘a cravatta giusta che n’a faccia incazza’!» disse, accennando un sorriso amaro.

Ché la sua relazione con Elisa era come quell’ufficio.

Elegante.
Funzionale.

Ma vuota.

Elisa, una manager di successo, era più interessata alle apparenze che a lui.

Mentre il pensiero di Elisa e della loro relazione gli lasciava un senso di freddezza, Manuel si passò una mano tra i capelli, cercando di scacciare quella sensazione.

Poi si appoggiò alla sedia, tornando a perdersi nel tramonto che tingeva il cielo di viola.

Aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa di vero, qualcosa che non fosse numeri o cene di lavoro.

Prese, quindi, il telefono, aprì PagineVive – l’applicazione che usava quando aveva bisogno di fuggire dalla realtà – effettuando il login come PagineAlVento e navigò nel forum finché una discussione catturò immediatamente la sua attenzione.

Le città invisibili, Italo Calvino.

Lo aveva letto anni prima, in una delle tante estati in cui sognava di essere libero.

Con un tocco, entrò nella discussione, scorrendo i messaggi fino all’ultimo, lasciato appena pochi minuti prima.

E quelle parole lo colpirono come un raggio di sole in pieno inverno.

“Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio”, scrive Calvino.
A volte sogno una Roma invisibile, fatta di ricordi e tramonti sul Tevere. Una città dove i sogni non si spengono. Qual è la vostra città invisibile?

Sorrise, e un calore improvviso gli invase il petto.

Quel messaggio gli ricordava le sere da ragazzo, quando scappava a Villa Borghese, si sedeva sotto i pini e sognava una vita senza pressioni.

In quelle parole ritrovò un frammento di autenticità che gli mancava, una parentesi di vita vera in un mondo governato dai numeri e dalle pressioni.

E non ci pensò su.

D'istinto, cliccò sul profilo di LettoreDiTramonti e, senza esitare, aprì la chat privata di PagineVive, deciso a scrivergli.

Con il cuore che batteva un po’ più forte, lasciò che le parole fluissero direttamente dai ricordi, e scrisse.

La tua Roma invisibile mi ricorda i pini di Villa Borghese al tramonto, dove mi rifugiavo da ragazzo per sognare. Calvino direbbe che sono i desideri a dare forma a questi luoghi, no? Dimmi, LettoreDiTramonti, quale angolo di Roma tiene accesi i tuoi desideri?

Platone alzò il muso, come se avvertisse la malinconia che avvolgeva Manuel, e posò la testa sulla sua gamba.

Manuel sollevò lo sguardo.

Il cielo del crepuscolo colorava Roma di luci calde e ombre lunghe e, per un attimo, sentì la città respirare con lui.

Poi, con il cuore più leggero, inviò il messaggio a LettoreDiTramonti.

Scrivendo quelle parole a uno sconosciuto, sentì riaffiorare una parte di sé che credeva perduta, come se la sua Roma invisibile, per la prima volta quel giorno, avesse ritrovato voce.

***


Ne La libreria dietro l'angolo, Simone sedeva su uno sgabello dietro il bancone, immerso in un silenzio che pareva sospeso tra la carta stampata e la polvere del tempo.

Gli scaffali, alti e fitti, custodivano storie come reliquie, e la lampada a stelo diffondeva un cono di luce morbida sulle pagine sparse davanti a lui, mentre l’aria profumava di legno lucidato e inchiostro, un’aroma che sembrava non invecchiare mai.

D’un tratto, il telefono vibrò, incrinando quell’equilibrio delicato.

Una notifica di PagineVive illuminò lo schermo.

PagineAlVento ti ha inviato un messaggio.

Curioso, Simone lesse subito.

La tua Roma invisibile mi ricorda i pini di Villa Borghese al tramonto, dove mi rifugiavo da ragazzo per sognare. Calvino direbbe che sono i desideri a dare forma a questi luoghi, no? Dimmi, LettoreDiTramonti, quale angolo di Roma tiene accesi i tuoi desideri?

Quelle parole non gli parvero un semplice messaggio, ma un varco che si apriva all’improvviso, un soffio capace di ridare fiamma a ciò che credeva ormai spento.

La sua mano si posò sulla copia de Le città invisibili, su quel libro che aveva sempre custodito come un talismano di giorni lontani, e in quell’istante sentì riaffiorare l’eco di una Roma che non era solo una città, ma memoria vivida di un legame ormai assente.

Rimase immobile, Simone, contemplando quell’attimo, con un sorriso quasi impercettibile che gli sfiorava il volto.

Aveva compreso, senza bisogno di spiegazioni, che quelle poche righe inviate da uno sconosciuto avevano restituito respiro ai sogni e alle immagini che custodiva nel cuore, i ricordi di Roma vissuta, le città inventate nei libri, e la presenza silenziosa di chi amava e non c’era più.

All’EUR, intanto, Manuel lasciava scivolare il telefono sulla scrivania e abbassava lo sguardo verso Platone, accucciato ai suoi piedi, che alzava il muso in cerca di carezze.

Oltre i vetri, le luci del Palazzo della Civiltà Italiana si riflettevano contro il cielo scuro, disegnando una geometria fredda e implacabile che sembrava sfidare la notte stessa.

Eppure, dentro di lui, le parole appena scritte a LettoreDiTramonti avevano portato un’insolita quiete, come se un frammento di Roma dimenticata fosse tornato a farsi spazio nel suo cuore.

Non sapeva chi si celasse dietro quello scambio, e forse non aveva importanza.

Ma in quel silenzio rarefatto dell’ufficio, avvertì che quel dialogo non era destinato a spegnersi lì, bensì a farsi inizio di qualcosa che ancora non riusciva a nominare.

Due anime lontane.
Un libro come ponte.
Un tramonto a fare da testimone.

Roma li aveva già uniti attraverso uno schermo, ma custodiva ancora il destino che aveva in serbo per loro.

Uno scontro inevitabile, tra la fragile intimità di una libreria e la forza anonima di un megastore.