Actions

Work Header

Eighty-one Times Champions

Summary:

Marc Márquez non si aspettava certo di ricevere un invito personale al Ranch di Tavullia da Valentino Rossi poco dopo la sua vittoria del nono titolo mondiale. Ma forse era stato proprio quello: un "banale" trofeo, a far succedere tutto? Alex aveva cercato di dissuaderlo, ma complice il passato tornato a bruciargli sotto pelle Marc sapeva solo una cosa: non aveva niente da perdere.

Ma accettare quell'invito avrebbe potuto cambiare tutto. O riportarlo esattamente dove aveva sempre fatto finta di non essere mai stato.

AGGIORNAMENTI OGNI WEEKEND (O QUANDO SONO TORPPO MOTIVATA)!!!

Notes:

ATTENZIONE!
Questa è un'opera di fantasia scritta a scopo puramente ricreativo. I personaggi reali presenti (nomi, figure pubbliche, ecc...) sono utilizzati in modo immaginario e non riflettono in alcun modo la realtà o le persone reali coinvolte.
Non vi è alcuna intenzione diffamatoria o lucrativa.
La storia è frutto della mia immaginazione e non ha alcuna pretesa di veridicità.

Chapter 1: Special Requests

Notes:

Si, non avevo di meglio da fare.
Aspettando (e studiando) per prendere la patente e poter finalmente guidare Alexa, la mai amata moto, dovrò pur far qualcosa...

Come vi avevo già anticipato, ecco qualcosa su Marc e Vale!
Perché ne avevamo tutti bisogno, sia io che voi. ;)

Questa è una delle idee più succose che ho in serbo per voi, non sarà la prima né l'ultima. Posso augurarvi solo buona fortuna!

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Alex aveva riso.
Aveva semplicemente riso.

Aveva riso così tanto che, con quel suo modo di ridere un po’ eccessivo, la sua bocca sembrava (a quel giro un po’ di più del solito) pronta a strapparsi da un momento all’altro.

Il fratello maggiore era davanti a lui, lo guardava con una faccia tutt’altro che divertita e scuoteva continuamente la testa.
L’altro, nel mentre, si contorceva sul tavolo nel tentativo di non sembrare così tanto divertito.

Sì, assolutamente: quella doveva essere una battuta, ma di quelle belle.

Ma poi, Marc che tirava fuori il telefono e gli mostrava l’email, gli fece cambiare del tutto faccia.

-Eh?- esclamò in un mix di incredulità e sorpresa, saltando quasi sulla sedia.
Marc non rispose nemmeno.

Doveva essere stato un errore. O uno scherzo di pessimo gusto.
Ma il nome scritto sull’e-mail era giusto.
Era lui, Marc. Marc Márquez.
E l'altra, la VR46 Academy.

Eppure, non poteva crederci, nemmeno se l’avesse visto andare a chiederglielo di persona.

Valentino Rossi che chiedeva la presenza di Marc Márquez al suo ranch a Tavullia?

Il nove volte campione del mondo di MotoGP che chiedeva a un altro nove volte campione del mondo, che tutti sapevano odiarsi, di essere presente a casa sua e sulla sua pista?

No, non era possibile.
Nemmeno nei suoi migliori-peggiori sogni Marc aveva visto una cosa simile.
E non ci avrebbe nemmeno mai pensato.

“La lettera”, mandata dall'e-mail ufficiale dell’Academy, chiedeva a Marc di partecipare a quel periodo di allenamento dei ragazzi di Valentino come suo invitato speciale.
Una, si direbbe, “special guest”.

-In vista delle sessioni di allenamento dei piloti della VR46 Academy, presso il Ranch VR46 a Tavullia, Valentino Rossi richiede la sua presenza. Un invito esclusivo da parte di Rossi in persona… Ci faccia sapere se accoglierà l’idea?- esclamò, nuovamente, Alex con gli occhi fissi sullo schermo.

Tra lui e suo fratello sembravano entrambi aver visto un fantasma.
Marc si alzò, uscendo dalla cucina, e Alex lo seguì a ruota. Sempre con il telefono in mano, lo seguiva, leggendo ogni dettaglio dell’e-mail.

Ma per Marc non diceva niente di nuovo: l’aveva letta così tante volte che gli erano rimaste le righe e le parole impresse sulle palpebre.

Quando Alex finì di leggere tutto, guardò nuovamente il fratello e parlò: -Hai intenzione di accettare?-.

Alla domanda, Marc alzò le spalle, appoggiandosi al muro dietro le sue spalle.

Paradossalmente, non ci aveva ancora pensato.
Era stato troppo impegnato a riprendersi dallo “shock” che quella cosa gli aveva causato.

Una semplice richiesta.
Una semplice richiesta che pareva più una barzelletta di pessimo gusto.
Una richiesta assurda.

Ma poi, ragionò un attimo, mentre suo fratello stava lì a saltellare come un grillo.

Perché no?
O meglio: perché?

Se Vale l’aveva invitato, con così tanta esclusività, un motivo c’era.
E anche se poteva essere la stoccata finale, doveva andare e scoprirlo.
Non poteva restarsene al sicuro.
Non per sempre, almeno.

Così, alzò nuovamente le spalle: -Non ho niente da perdere.-.
-Non hai niente da perdere?- A suo fratello la risposta non piacque affatto, tanto che sbuffò, gli diede il telefono e andò a sedersi contrariato sul divano.

-Ma scherzi? Il nono ti ha dato alla testa.-.

Ecco un altro motivo per cui Vale aveva invitato Marc: il nono.

Marc era fresco della vittoria del nono titolo mondiale, e con quello, in un certo modo, era arrivato a eguagliare Valentino.

Eppure, Marc continuava a non capacitarsi di come mai lo volesse lì.

E non ne era felice.
Affatto.
Né un po’ di fiducia o speranza.
Solo… Paura?
O qualcosa di simile (sempre che Marc Márquez possa provarla).

-Sì, Alex. Non ho niente da perdere… Gemma è via, qui non sto a fare niente adesso e il trofeo verrai a spolverarlo tu.-.

Alex fissò il fratello un po’, con la stessa faccia contrariata di poco prima, e dopo aver buttato giù la saliva in modo rumoroso, parlò: -Gemma ti ha scaricato, qui puoi stare con il tuo fratellino che ti vuole tanto bene, e il trofeo te lo sciolgo per farci un ferro da stiro se lo lasci incustodito.-.

-Gemma non mi ha scaricato! Ci siamo solo presi una pausa…-.
-Cosa? Marc, sei uno abbastanza intelligente per capire certe cose, dai.-.
-Fanculo?-.
-Ah, ma senti, fottiti tu! Va’, vai da Valentino… Salutami Luca se c’è. E mi raccomando, se vuoi scoparci non farti sentire da tutta la casa.- sbuffò Alex, a un certo livello di irritazione.

Marc si avvicinò di scatto al divano fissando male suo fratello, che però ricambiava con la stessa faccia.

Ah, se da una parte in quell’ultimo periodo aveva guadagnato qualcosa, dall’altra aveva perso tutto.

Alex scosse la testa, e finalmente tornò a guardare il fratello.
-Marc. Lo sai, voglio solo il meglio per te… Sei sicuro che sia il caso?-.

-Te l’ho detto, che ho da perdere? Tempo? Ne ho, tanto e libero. La ragazza? Non parliamone. Il titolo? Chi me lo leva?-.
-No, non questo. È altro...-.

Marc restò a fissare il fratello, dritto negli occhi, cercando di capirne qualcosa.
Che significava?
Cos’era quel “altro”?

-Che pensi? Dato che gli Oasis hanno fatto la reunion gli sia venuta voglia di farla anche a lui?-.
-Alex… È la mia vita, pensi che non sappia fare una scelta? -.
-No, Marc. Penso che tu non sia in grado di capire, di… Che ne so? Distinguere il male e il bene?-.

A quella frase, appena Alex si alzò, torreggiando leggermente sul fratello con la sua altezza, lui spalancò gli occhi.

-Cosa?-.
-Stammi bene, Marc!-.

Con quello Alex concluse, e sotto lo sguardo attonito del fratello se ne andò, sbattendo la porta per ribadire la sua uscita e forse la sua contrarietà e rabbia verso la cosa.

Marc non disse nulla, non ci riuscì.
Guardò andare via il fratello con la bocca mezza aperta e un dubbio: se Alex l’aveva presa così, perché lui no?
Insomma, la questione toccava principalmente Marc e non il fratello.
Allora, perché lui non si era fatto un problema così grande?

Alex aveva ragione (forse l’ha sempre avuta): Marc proprio non capiva, nulla.
Stava per andare a casa dell’uomo peggiore sulla faccia della terra, almeno a sua detta, e non si stava facendo problemi, o almeno, non eccessivi.
La sua ragazza l’aveva scaricato perché era un evidente coglione, portandosi via pure i cani.

E il nono?
Sembrava solo un premio allo schifo che aveva fatto nell'ultimo periodo.

Era veramente pessimo.
Eppure, sentì lo strano bisogno di presentarsi da Valentino.

Sapeva, però, che non era una buona idea.
Non lo sarebbe mai stata.

Sbuffò, quasi irritato da se stesso, e si lanciò sul divano.
Tirò fuori il telefono dalla tasca e iniziò a rileggere l’e-mail, che Alex aveva lasciato aperta.

La VR46 Academy.
Il Ranch VR46.
Tavullia.
Valentino Rossi.
I suoi piloti.

Una lista che faceva quasi paura, o forse la faceva del tutto.

Marc capì che aveva paura. Non tanto del farlo, non era solito farsi grandi problemi, si buttava di pancia senza pensarci, ma più di quello che sarebbe potuto succedere.
Delle conseguenze.

Chi lo sa, forse Alex non gli avrebbe più parlato.
Forse Gemma non gli avrebbe più parlato.
Forse addirittura i suoi genitori si sarebbero arrabbiati?

Per non parlare degli altri piloti.

O peggio: di Jorge, o Dani.
Gli avrebbero dato tanti scapaccioni dietro la testa, ne era sicuro.

Valentino era riuscito a farsi odiare da tutti, chi più chi meno, per motivi certe volte completamente differenti, ma in cui Marc trovava una cosa in comune.

Il suo carattere.

Quella determinazione eccessiva.
Quel sentirsi padrone del mondo.
E probabilmente altri lati negativi che Marc avrebbe potuto elencare all’infinito.

Eppure, sotto tutto quell’odio, c’era qualcos’altro.
Forse stima.
Forse dolore.

Marc l’aveva detto: faceva ancora male.
Certe ferite non guariscono mai.

Ma gli sembrava impossibile essere l’unico, in quella storia, ad aver sofferto.
Anche chi fa del male (se non proprio sadico a livelli inimmaginabili) doveva soffrire un minimo.

E se Vale soffriva, anche solo un minimo, lo copriva davvero bene.
Cosa che Marc faceva altrettanto bene, quindi aveva poco da criticare.

E se Vale non ci soffriva, allora Marc doveva svegliarsi.
Era solo lui a “perderci”.

 

-Scusami per oggi.- disse Alex appena la porta di casa si aprì, rivelando suo fratello all’interno.
Lui alzò le spalle, facendogli cenno di entrare.

Sembrava davvero poco interessato all'exploit dell’altro di poche ore prima.
Forse non gliene fregava davvero nulla?

Così cominciarono a incamminarsi verso la cucina.
Marc lanciò uno sguardo verso l’altro, al suo fianco, e lo sguardo finì su quella casetta di birra che aveva in mano.
Perfetto.
Sei bottiglie: tre lui e tre Alex.

-Forse ho esagerato, ma...-.
-Hai esagerato sì.-.
-Mi fai parlare?- sbuffò Alex, sedendosi al tavolo, guardando il fratello afferrare dal cassetto uno stappabottiglie e aprire in fretta due bottiglie.

-Come sei permaloso.- rise Marc, facendo roteare gli occhi ad Alex, che poi parlò con un tono leggermente più ironico di prima: -E tu hai un pessimo carattere, ogni tanto.-.
-Solo… Ogni tanto? Ah, che complimento.-.

Alex scosse la testa, prendendo un sorso dalla sua bottiglia, guardando il fratello sedersi davanti a lui come quella mattina.
-Marc, non sto scherzando. Dovresti davvero ascoltare gli altri.-.

-E per cosa? Di solito ogni consiglio che mi danno si rivela sbagliato.-.
-Ma che dici? Se nemmeno li ascolti, i consigli… Credo che tu non ascolti nemmeno il tuo ingegnere di pista.-.

Marc ridacchiò, grattandosi la testa con un leggero sorrisetto colpevole.
Alex aveva fatto perfettamente centro, un’altra volta.

Certo, non l’avrebbe mai ammesso apertamente, ma sapeva di essere una gran bella testa dura.
Sapeva anche, se non di più , di dover ascoltare i consigli degli altri.
Eppure, c’era sempre stato qualcosa che l’aveva spaventato in quello.
Insomma, se qualcuno avesse voluto fargli del male dandogli un consiglio sbagliato?

-Marc… Sono tuo fratello. Devi spiegarmi, almeno a me, perché hai paura di accettare i consigli.-.
-Io non ho paura di accettare i consigli.- si accigliò Marc, cercando di non dar a vedere il fastidio che quel pensiero gli aveva provocato.

-Ah no? Allora spiegamelo tu cos’è. Insomma, se non è paura, allora è fastidio?-.
-Sì, bravo. Fastidio. Fastidio… Odio quando le altre persone mi dicono cosa fare.-.
-Ma smettila. Stai mentendo a te stesso.- sbuffò nuovamente Alex, prendendo un altro sorso dalla sua bottiglia, in contemporanea con il fratello.

Marc, dopo ciò, si leccò velocemente le labbra, scuotendo la testa con lo sguardo assorto chissà dove.

-Oggi ti vedo particolarmente saggio… O sei solo in vena di discutere?- sorrise, lanciando un calcio sotto al tavolo al fratello, che sorrise alzando le spalle.

-Sai, ogni tanto do dimostrazione di essere il Marquez più saggio.-.
-Certo… O è Luca che non ti risponde?- ridacchiò Marc, in un tono abbastanza malizioso.

Alex restò a guardare il fratello con sguardo inquisitorio, preso alla sprovvista da quella domanda. Ma alla fine sorrise.

-Che ne dici di venire con me? Almeno lo vedi…- suggerì Marc, mentre Alex continuava a guardarlo sorridendo.
-Te lo sogni.-.
-Dai, accompagnami a Tavullia… Ti piace l’Italia, no? In più c’è il tuo fratello preferito.-.
-Sbagli, c’è il tuo fratello preferito.-.

A quella frase Marc si accigliò nuovamente.
Okay, era così allora?
Botta e risposta. Provocazione con provocazione.

-Non essere frustrato perché il tuo piccolo Luca è in un altro Paese e non ti considera.-.
-Marc, semmai non essere frustrato tu solo perché un vecchio campione è stato cattivo con te e non ti ha lasciato vincere.-.

Marc spalancò gli occhi, e Alex seguì il suo stesso gesto ridendo.
-Bastardo.-.
-Ti voglio bene anche io, fratellone…-.

 

I due fratelli erano stati tutta la sera a chiacchierare del più e del meno.
Cose da fratelli, cose da piloti e banalmente cose da amici.

Marc definiva suo fratello un amico.
E Alex, ugualmente.

Ma come in ogni amicizia che si rispetti, c’erano alti e bassi.
Odio e amore. Complicità e momenti di totale disaccordo.

La cosa su cui i due fratelli in quel momento si trovavano più in disaccordo era accettare l'invito di Valentino.

Avevano discusso molto.
O meglio, Alex aveva cercato invano di far ragionare Marc, che però, come al solito, sembrava molto deciso sulla sua idea.

Sapeva che far cambiare idea al fratello era difficile, se non impossibile.
Quindi si stava limitando a cercare di fargli capire che forse accettare quell’invito non era la migliore delle cose.

-Correrai con loro? Insomma, ti alleni anche tu?-.
-No, è tipo una special guest la mia.-.
-Nah, allora non vale la pena… Insomma, che fai tutto il giorno? Guardi i pupilli di Valentino correre? Fissi il cielo?-.
-Non è tanto male non aver niente da fare, potrei visitare tutti i posti lì vicino e…-.
-E? Ma per piacere Marc, passerai tutto il tempo a romperti le palle e cercare di evitare Valentino. E poi, se tutto va bene te ne torni irritato, se va male con un nuovo motivo per odiare quell’uomo.-.

Marc non ribatté, aprì la bocca senza dire niente e si appoggiò al tavolo richiudendola immediatamente.
Alex fece un sorrisetto, come a dire: Vedi? Lo sapevo!

Eppure, a Marc, la voglia di presentarsi al Ranch era solo aumentata.
Sarebbe stato un modo per vedere lo stupore negli occhi dei piloti di Valentino.
Far arrabbiare suo fratello, o una cosa del genere.

Ma se ci pensava, non aveva altri buoni motivi per andare.
Certo, fare pace…
Ma era davvero un buon pretesto per accettare l’invito dell’uomo peggiore sulla faccia della terra?

Accettare quell’invito voleva dire molte cose.
Avrebbe portato a molte cose.

Non solo ai sentimenti, ma anche, più banalmente, a quelle poche settimane.

Insomma, sarebbe dovuto stare nella stessa casa di Valentino.
Avrebbe dovuto vederlo ogni giorno per parecchi giorni.
Sarebbe dovuto stare con i suoi ragazzi (forse il male minore).

Era davvero combattuto.
Da una parte l’irrazionalità.
E da un’altra la razionalità, che però, in lui, arrivava solo a momenti alterni.

Alzò lo sguardo su suo fratello, intento a giocare con l’etichetta della sua bottiglia. Anche l’altro lo guardò.
Piegando leggermente la testa di lato, gli chiese: -Se resti a mangiare da me? Ci prendiamo una pizza e guardiamo un film…-.

Alex ridacchiò, annuendo.
-Non dico mai di no a una cena scroccata al mio amato fratello.-.

Marc ridacchiò a sua volta, e afferrò il telefono.
Quando se lo portò all’orecchio, mentre nella stanza era restato solo il silenzio e lo squillo dell’affare, Alex parlò:

-Quindi… Accetterai?-.

Marc alzò le spalle, come a dire che non aveva scelta e che l’avrebbe fatto, poi iniziò a parlare con la pizzeria dall'altro capo del telefono, mentre il fratello tornava a giocare con la sua bottiglia.

Marc restò a fissare la faccia dell'altro, anche mentre parlava al telefono.
La faccia di Alex era quella di qualcuno che, in un modo o nell’altro, era stato deluso.
Eppure non era tutta tristezza.
Ci vedeva dentro una piccola parte di divertimento, forse.
O forse di esasperazione.

Eppure, capì che aveva fatto la scelta giusta.
In un modo, la cosa peggiore si rivelò la migliore.

Ma tutto era ancora in tempo a crollare.

Notes:

Che ve ne pare?
Spero l'idea vi stuzzichi quanto a me!

Suppongo che anche qui la lunghezza della storia si aggirerà attorno 9/10 capitoli, sempre detto che tutto fili liscio. :)

Non saprei dire; forse è colpa della reunion degli Oasis, o semplicemente della noia...

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 2: So Desperate It's Funny

Notes:

Ehi?
Capisco, dovrei muovermi e aggiornare, ma sono stata occupata a finire Assasin's Creed Syndacate e ho tralasciato questo (se proprio devo essere sincera).

Ma, eccomi che torno a bomba!
Non preoccupatevi, i siparietti dei fratelli Marquez sono finiti. Ma... Ovviamente torneranno. ;)

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Sì, quella negli occhi di Alex era decisamente esasperazione.
Marc lo capì definitivamente quando, la sera stessa, il fratello lo aiutò a scrivere l’e-mail di risposta.

Paradossale, ma divertente.
Una di quelle prove che l’odio fraterno arriva solo fino a un certo punto.

-Scrivigli che accetterai solo se ti faranno correre.- aveva detto Alex, con la voce macchiata di ironia. Ma quando aveva visto il fratello scrivere testuali parole, gli sfilò il telefono di mano, e per poco non mandarono davvero l’e-mail così.

-Sì, ma scrivilo come se fossi io.- aveva aggiunto Marc.
L’altro, in risposta, si limitò a far notare che era un pilota e non un falsario, e che Marc doveva rispolverare le sue competenze in ambito di comunicazioni.

Fatto sta che l’e-mail fu scritta, dopo essere stata composta e cancellata parecchie volte.
E, quando fu inviata, Marc si ritrovò con le mani nei capelli.
L'aveva fatto veramente?

 

-L’ho fatto veramente?- si domandò, da solo.

Quella mattina, quando Marc aprì gli occhi, quel pensiero prese spazio nella sua testa quasi subito.
Si alzò dal letto con un’espressione sorpresa, come se nemmeno lui credesse a quello che era successo il giorno precedente.

Aveva accettato l’invito di Valentino?
Eppure, non aveva bevuto, quindi era stata una scelta pensata.

La constatazione di Alex si era rivelata giusta, ancora una volta: il Nono gli aveva davvero dato alla testa.
Come il dover vincere il Decimo l’aveva data a Valentino.

Per un momento, mentre si lavava la faccia in bagno e si guardava allo specchio, pensò che forse lui e Valentino non erano poi così diversi.

Pauroso.
Assurdo.
Impossibile.

Ridacchiò, scuotendo la testa.

Quando uscì dal bagno, giocando con l’asciugamano che aveva attorno al collo, pensò a cosa avesse davvero pensato Alex di tutta quella storia.

Insomma, non gli era mai fregato eccessivamente del pensiero altrui, però si parlava di suo fratello. Sentiva quasi come se la questione toccasse anche l’altro, anche se in modo minimo.

Dopotutto, Marc sarebbe stato male quanto lui se fosse stato Alex a “soffrire”.
Avrebbe preso un pezzettino della sua sofferenza solo per rendergliela meno pesante. O addirittura tutta…

Come, dopotutto, aveva cercato di fare Alex con Marc.

Ma sapeva che non glielo avrebbero permesso.
Nessuno.
Avrebbero fatto di tutto per tenere lontano da Marc il loro dolore, per non farglielo sentire nemmeno un po’.

Un indubbio gesto meraviglioso, certo.
Eppure Marc non riusciva ad apprezzarlo del tutto.

Lo faceva sentire debole.
E la debolezza… il pensiero di poterlo essere (state a sentire questa)... Era la sua più grande debolezza.

Scontato.
Ma nemmeno così tanto.

Gli sembrava che tutti evitassero di star male per non farlo soffrire.
Come se fosse troppo “delicato”.
Voleva che gli altri condividessero il proprio dolore come aveva fatto lui, ma continuava a pensare che quella cosa fosse stata sbagliata.
Volendo star bene, era finito a far star male tutti.

-Marc? Apri, muoviti che si congela qua fuori!- urlò una voce facilmente riconducibile alla versione isterica di Alex Márquez.

Marc si voltò di scatto, preso alla sprovvista dalla voce fuori campo del fratello. Corse verso la porta, spalancandola e facendo entrare velocemente l’altro.
In quella frazione di secondo in cui la porta restò aperta, un’aria a dir poco gelida gli congelò le gambe, così la richiuse ancora più velocemente.

-Fa così freddo fuori?- domandò, quasi innocentemente.
-Dai? Ti ricordo che è inverno.-.
-Beh, ieri non faceva così freddo.-.
-Marc, mai sentito parlare di abbassamento delle temperature? Poi, con tutto il cambiamento climatico che c’è ultimamente…-.

Marc ridacchiò alle parole del fratello, guardandolo togliersi la giacca e il cappello di lana. Si passò ancora una volta l’asciugamano attorno al collo, prima di usarlo per frustrare Alex.

-Che ti porta qui, fratellino?-.
-Tu?- domandò quasi con ovvietà Alex, versandosi una tazza di caffè appena uscito dalla macchina.

Marc alzò un sopracciglio, allungando la sua tazza.
-Che intendi? Hai qualche carenza d’affetto?-.

-Sì, mi manca Luca…- ironizzò Alex, ma la faccia troppo convinta del fratello lo fece sbuffare subito: -Smettila. Dicevo: tra meno di una settimana voli a Tavullia, devo dare una mano.-.
-Scusa, e come pensi di dare una mano?-.
-Ma insomma, non posso stare con mio fratello? Ora che è single e disperato.-.
-Io non sono disperato. Tantomeno single…- ribatté duramente Marc.
-Come no?- disse Alex, con un’aria scocciata e poco convinta.
-Sei sempre disperato tu.-.

Detto quello, il ragazzo andò a sedersi al tavolo, estrasse il telefono e iniziò a digitare velocemente con una sola mano, mentre, con l’altra, beveva il suo caffè.
Marc restò lì a fissarlo con la bocca leggermente aperta.
Che coraggio!

Se la regola era che quello che diceva Alex era sempre giusto (o almeno quasi sempre), doveva preoccuparsi.
Avrebbe potuto sicuramente star scherzando, come al solito, ma in tutto quello che il fratello diceva c’era una punta di verità e realtà quasi disarmante.

Dopo dieci minuti, in cui Marc era rimasto a fissare Alex in silenzio senza nemmeno pensare a qualcosa, il fratello lasciò il telefono sul tavolo e, con un sospiro felice, parlò:
-Ecco, ti ho prenotato un biglietto. Non ti dispiace arrivare a Tavullia con due giorni di anticipo, vero?-.

Marc restò a guardarlo.
Uno, due, cinque minuti…
Poi spalancò gli occhi, processando le parole del fratello.

-Che cazzo hai fatto?- esclamò, avvicinando la sua faccia a quella di Alex.
Alex annuì, tranquillamente, e si stiracchiò sulla sedia.
Prese un sorso di caffè, l’ennesimo, e parlò: -Certo. Non è da gentiluomini presentarsi in ritardo. E poi, vedila come un’opportunità…-.
-Opportunità di che? Cercare di tornare in Spagna a nuoto?-.
-Ah, ma come sei insopportabile. Farai un giro a Tavullia, ti farai fare un bel tour della pista e della casa e socializzerai…-.
-Diventerei asociale in confronto.-.
-Solo perché odi Valentino non vuol dire che i suoi ragazzi siano come lui… Sono peggio.-.
-Non aiuti. -.
-Scherzavo, insomma!-.

 

E chi lo sapeva che da Tavullia al mare erano solo 15 minuti di macchina? (Okay, 16 per essere pignoli).

Marc pensò di non aver mai usato Google Maps così tanto in vita sua.
Aveva visto ogni foto di Tavullia, del fantomatico Ranch, della pista… Insomma, qualsiasi cosa che potesse interessargli in qualche modo.

Guardò, già che c’era, anche tutti i dintorni.
Campagne fantastiche.
Paesaggi mozzafiato.
Un gran bel mare.

Nulla in confronto alla sua amata e bellissima Spagna, ma poteva competere a mani basse per il secondo posto.

Ovviamente, in quella parte d’Italia c’era già stato, a Misano, ma non era la stessa cosa di ritrovarsi a casa di Valentino Rossi.
Senza giochi di parole.

Quella sera, giusto per darsi la stoccata finale da solo e colmare la sua fame di curiosità, decise addirittura di guardare dei video dell’Academy.
La 100 km dei Campioni.
Semplici video che potevano essere tranquillamente realizzati da Marco e Celestino, così per divertirsi.
E poi roba più seria, che faceva vedere meglio l'ambiente e la pista.

Alla fine, verso mezzanotte, finì su link e video che nemmeno pensava di riuscire più a trovare.

Erano passati dieci anni.
Dieci anni. Roba seria.

Le persone, però, non sembravano aver scordato la questione.
Anzi, sembrava quasi che volessero mantenerla viva.

Perché?
Perché dover fare qualcosa che fa male a qualcuno?
Forse era proprio quello il motivo?

Marc non lo sapeva, davvero.
Sapeva, però, che di gente che lo odiava ce n’era. Ma fino a quel punto?
Lì si sprofondava nella vergogna.

Insomma, anche lui voleva vedere Valentino “soffrire” per le cose sbagliate che gli aveva fatto, ma non fino a quel punto.
Tutto, anche e soprattutto l’odio, aveva un limite.

Sbuffò, scorrendo l’ennesimo video.
E, resosi conto del video che gli arrivò, sbiancò.

Misano 2018.

Il momento peggiore e più imbarazzante della sua vita: le interviste a Misano 2018.

Probabilmente, in quel momento, ebbe la stessa faccia pietrificata e maledettamente imbarazzata di Dovi lì dietro, che secondo lui doveva sentirsi il terzo incomodo in quella inquadratura.

Ma quello di Marc non era solo imbarazzo, era di più.

Appena vide il giovane sé porgere la mano a Valentino, che rifiutò prontamente con un secco scossone di testa, morì dentro. Un’altra volta.

Una stretta di mano.
Che, se fosse stata data, avrebbe cambiato tutto.
O almeno, ci credeva.

-Che ti costava, eh? Vale…-.

Notes:

Com'è?
Spero di avervi stuzzicato ancor di più la voglia di continuare a leggere!

Il prossimo capitolo sarà quello definitivo: Marc arriverà a Tavullia, e chi lo sa cosa succederà?

Come al solito sono combattuta tra il far andare tutto bene e tutto male, ma ultimamente ho avuto solo idee "positive"... Speriamo durino.

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 3: The Ultimate Asshole

Notes:

Okay, lo so: questo non si fa.
Ma, io non so dirvi cosa mi sia successo questa settimana... Ho avuto il blocco dello scrittore, semplice.
E dato che lavoro ad altri progetti (più seri e "importanti") ho preferito prendere una pausa e riscrivere quando mi sentivo nuovamente pronta.

In più, questo capitolo è un piccolo tributo a Sic!

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Il cuore di Marc stava per fare "chock", ne era certo.
Aveva la tachicardia da quando era sceso all’aeroporto. Il suo cuore, seppur da atleta, non avrebbe potuto resistere a una cosa simile.

Il suo cervello non era riuscito a staccarsi dall’idea di stare davvero per andare a casa di Valentino.
E, soprattutto, di essere stato invitato da lui.

Insomma, che poi non era stato Valentino in persona a scrivere quell’e-mail, e nemmeno l’avrebbe mai fatto.
Però, il pensiero c’era sicuramente stato.

O, semplicemente, poteva essere stato Uccio a costringerlo con qualche discorso?

Fatto sta che Marc si trovò sotto quel cancello troppo presto.

Si fermò, prima di entrare con la macchina, alzò lo sguardo, lesse e cercò di trattenere un brivido, in vano.

Strinse le mani attorno al volante, così forte da farsi venire le nocche bianche.

-Forza, è il momento… Andiamo.- Marc, si disse da solo, annuendo e rimettendosi in marcia all’interno.

Percorse sì o no cento metri, su una strada sterrata, di quelle che aveva visto praticamente ovunque.
La campagna era tutta uguale, in tutto il mondo, dopo tutto: quelle strade con la stessa terra di quel colore chiaro e polveroso che ti fanno capire che ti sei palesemente perso.

Ma la campagna italiana, quella era tutt’altra cosa…
Quell’erba selvatica che spuntava ai lati della strada e che non veniva minimamente curata.
Quell’odore d’estate, delle piante scaldate dal sole.
E, soprattutto, una cosa che doveva ammettere essere la sua preferita: le case. Tutte rustiche, con quell’aria di vecchio, ma confortevole.

A Marc l’Italia piaceva davvero tanto.
Ma non era tutto oro trovarsi lì, in certe circostanze…

Mezz’ora prima si era fermato sul ciglio della strada (l'ennesima strada uguale, ma miracolosamente asfaltata). Aveva spento la macchina ed era sceso. Si era lasciato il piumino sganciato: dopotutto voleva solo dare un’occhiata migliore a quel panorama.
Si appoggiò alla portiera e restò lì.
Guardava, attento a ogni particolare, a ogni sfumatura del cielo.

A un certo punto si voltò, come colto da una scossa.
C’erano delle case in lontananza.
E, purtroppo, gli venne in mente il motivo per cui era lì, e come si era ritrovato a guardare la campagna.

Si agitò, ma cercò di non pensarci.

Iniziò a fare avanti e indietro.
Mille domande, nessuna risposta.

All’improvviso il suo telefono vibrò: era Pecco che gli chiedeva se avesse perso la strada.

Si agitò ancora di più, per un motivo a cui non fece subito caso.
Salì in macchina di corsa e ripartì.

Comunque, finiti quei cento metri, parcheggiò accanto ad altre due macchine, presumendo che quello fosse il parcheggio, o una specie.
Non fece troppo caso alle auto: tanto non avrebbe potuto riconoscere di chi fossero.

In compenso, banalmente, la sua attenzione finì sull’edificio: un insieme di edifici rustici.

-Ah, complimenti…- mormorò, con lo sguardo assorto sulla facciata dei vari edifici.
Senza pensarci due volte, tirò su la zip del piumino e scese, dimenticandosi per poco di chiudere la macchina.

Quel posto era decisamente più bello dal vivo, ma a lui interessava vedere la pista, anche se non ci avrebbe fatto nulla.

Dai video che aveva visto, perché sì, ne aveva visti parecchi di quel posto, Marc si rese velocemente conto che qualcosa era cambiato: qualche semplice ristrutturazione o ammodernamento.

Si fermò lì, nel mezzo del parcheggio, a fissare la casa e tutto il resto con un certo stupore.

Pensò a uno come Valentino che viveva lì, e ce lo vedeva proprio bene.
Con i suoi cani, con le sue bambine, con la sua compagna… E tutto il resto.

Mentre lui se ne stava in una casa asettica da quanto era moderna e semplice, senza cani, senza bambini e soprattutto senza ragazza.
L’unico che c’era (e direi, nel bene e nel male) era Alex, che ormai sembrava aver preso la residenza sul suo divano.

Patetico, sicuramente.
Però sentiva che era qualcosa che era “suo”.

All'improvviso sentì una mano posarsi sul sedere in una breve ma sentita pacca.

Si voltò di scatto e trovò la faccia di Pecco con un sorriso sornione.

Marc era così assorto da non rendersi conto che il ragazzo era appena arrivato e che, dopo aver parcheggiato, si era avvicinato a lui.

-Buongiorno e benvenuto al Ranch… Immagino?- ridacchiò Pecco, infilandosi le mani in tasca.
Prima che Marc potesse aggiungere qualcosa, anche solo un sorriso, l’altro parlò nuovamente: -Sei in ritardo, comunque.-.

Marc restò interdetto, ma sorrise lo stesso, capendo il tono scherzoso del compagno di squadra.
Pecco fece un cenno come per invitarlo a seguirlo, e così iniziarono a camminare verso l’edificio.

I due entrarono e lasciarono i loro piumini uno vicino all’altro sull’attaccapanni, che ne aveva solo altri due.
Pecco lasciò andare avanti Marc, che si sentì improvvisamente come un bambino nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.

Non era nulla di eclatante.
Eppure, l’energia che si sentiva all’interno e le emozioni che emanava… Ah, quelle sì che erano la parte migliore dell’essere lì.

-Ragazzi? Marc è arrivato!- esclamò Pecco, avvicinandosi di qualche passo agli altri.

Proprio in quel momento, con la stessa velocità di un cane che sente il padrone tornare a casa, Marco arrivò nell’ingresso.
Si fiondò su Marc in un abbraccio dicendo semplicemente: -Marc!-.

Marc fu preso nuovamente alla sprovvista, per la seconda volta in nemmeno dieci minuti.
Però ricambiò l’abbraccio, che durò un minuto abbondante.

Pecco, da dietro, osservava la scena con due occhi pieni di gioia… O forse qualcos’altro, che sfuggì volontariamente alla comprensione di Marc.

-Non ci posso credere. Sei qui, al Ranch… Che fai?- rise staccandosi dallo spagnolo e guardandolo da capo a piedi.

Marc alzò le spalle, sorridendo.
Non avrebbe mai detto il vero motivo della sua presenza lì, se non sotto tortura o in altre poche circostanze.

-Pecco è venuto a prenderti?- chiese con un tono strano, un mix tra curiosità, sorpresa e invidia, guardando alternativamente i due.
-Dai, con la scusa del caffè?- continuò.
-Ma che dici? Ero davvero a prendere il caffè-.- rise l’altro, alzando una busta di caffè macinato, a cui Marc non aveva fatto minimamente caso.

-Bene… Prendiamo il caffè e aspettiamo gli altri? Manca ancora qualcuno.-.

 

Il caffè nella moka di Valentino era davvero buono.
O forse era il caffè della marca preferita di Pecco.
O il tocco di Marco che aveva buttato tutta la polvere fuori dal filtro…

Poco dopo Marc scoprì che in casa c’era anche Luca, che fino a quel momento era stato rintanato da qualche parte a farsi un lungo pisolino.

Esordì con: -Ho sentito dire Marquez? Che fratello c’è?- rigorosamente con la voce mezza addormentata, mentre Marco gli porgeva una tazzina di caffè passandogli accanto.

Alla menzione (palese) di Alex da parte del fratello di Valentino, Marc pensò che doveva essere davvero bizzarro essere il fratello di una persona del genere.
In generale, la parentela tra Luca e Valentino era bizzarra.

Dopo la seconda tazzina di caffè troppo zuccherato, Marc decise che era ora di andare a prendere l’unico borsone di vestiti che si era portato.
Anche se suo fratello gli aveva detto di portare almeno due valigie, aveva desistito (fortunatamente).

Luca insisté per aiutarlo, e Marc per fare da solo.
Ma il ragazzo lo convinse dicendogli che doveva svegliarsi e che il cattivo caffè di Marco non era utile.

Così, senza nemmeno rimettersi nulla addosso, uscirono verso la macchina.

Luca chiese molto di Alex.
Anzi, “molto” è dire poco.
Chiese continuamente come stesse suo fratello, perché non fosse venuto a salutare e tante altre cose simili.
Alla fine Marc si portò la borsa da solo.

-Chi fa da sé fa per tre.- disse Marc ridendo mentre rientrava in casa.

Pecco urlò dalla cucina di lasciare i “bagagli” vicino alla porta, dato che non aveva idea di quale camera gli sarebbe stata data.

Marc si ritrovò a girare per la casa da solo, in un silenzio che sembrava surreale per una casa che ospitava sette ragazzi, per di più piloti.
Eppure lo trovò fantastico.

Il resto dei ragazzi dell’Academy era arrivato.
Si erano salutati con grande sorpresa, ma felicità, da parte loro, che non si aspettavano certo Marc lì. E la loro felicità gli scaldò il cuore, facendolo sentire parte di qualcosa.

Eppure, in quel momento, sapeva che quella sensazione sarebbe scomparsa di lì a poco.

Così se ne stava nei giganteschi corridoi a fissare il colore delle pareti, che sembrava quasi cambiare in base alla luce.
Fissare i mattoni delle colonne, che gli sembravano troppo simili a quelli del pavimento.
E fissare le foto.

Ogni parete era tappezzata di foto con cornici neutre, come se dovessero mantenere la linea della casa.
Ma Marc poteva dire poco: forse lui nemmeno le avrebbe messe in casa, quella era una cosa più da Alex.

Ogni scatto ripercorreva un momento della vita di Valentino: da un giovanissimo lui che vince la sua prima gara a una banalissima foto di lui e Luca da bambini.
Valentino e suo padre.
Valentino e Francesca.
Quando nacque la sua prima figlia, e quella era così dolce che sulla faccia di Marc apparve un sorriso gigantesco.

E poi, come ogni pilota, iniziarono le foto sulla carriera, forse anche meno personali.
Valentino con i suoi amici piloti italiani.
Valentino con i ragazzi della VR46 di quell’anno.
Valentino e Jorge quando erano compagni di squadra in Yamaha (Marc, come noi, non credeva ai suoi occhi).

-Addirittura?- ridacchiò, da solo.

Poi Valentino e Simoncelli.

A quel punto la parete di foto era quasi finita, ma Marc si piantò lì.
Il suo sorriso svanì leggermente, forse per lasciare spazio ad altri pensieri.

La prima cosa che gli venne in mente fu Marco.
Sicuramente, quando si pensa al Sic non si può non pensare a quanto fosse simpatico.
Marc ricordava una battuta raccontata proprio da lui, una cosa semplice ma davvero divertente: qualcosa riguardo a un matrimonio.

E poi, che fosse bravo.
Marc sapeva che l’idea della VR46 Academy era partita proprio da lui (l’aveva letto qualche giorno prima) e non riuscì a non sorridere nuovamente.

Più guardava quella foto, più il suo sorriso si allargava.

Ma il "riepilogo", o meglio la fine prematura di un campione e di un’amicizia, gli sovvenne alla mente.
Era impossibile non ricordare, e inorridire, dell’incidente che pose fine a tutto.

La moto di Valentino che passava sopra la testa di Marco.
Valentino che si scusava con il padre di Marco.
Valentino che si sentiva responsabile della sua morte.

Ogni tanto Marc avrebbe voluto stringere Valentino e dirgli che il suo amico non gli avrebbe mai dato la colpa e che non era colpa sua.
Che, anche da lassù, lo guardava sempre e gli voleva bene, ancora più di prima…

Perché, avendo visto interviste relativamente recenti, Valentino sembrava continuare a sostenere la stessa cosa da anni.

E vedere Valentino Rossi così, soprattutto da parte di Marc, era un colpo basso.

Paradossalmente, non voleva vederlo soffrire.
Ma allo stesso tempo voleva che provasse lo stesso dolore che aveva provato lui per mano sua.

La saliva gli si bloccò in bocca, senza che riuscisse a mandarla giù.
In quel momento fece per continuare a guardare la serie di foto di quella parete, quasi alla fine, ma un clacson, o almeno quello che sembrò un clacson, lo fece voltare.
Pensò che dovesse essere l’ultimo dei ragazzi, magari qualcuno di cui non aveva notato l’assenza.

Così, quasi per curiosità e per fuggire da quelle foto, andò verso la porta d'ingresso ed uscì.

Se ne pentì subito.
Non poteva farsi gli affari suoi?
Che poi, l’aveva sentito davvero un clacson?

Fatto sta che si voltò, con un’espressione impietrita, verso le quattro persone lontano da lui.

Valentino, la sua compagna e le due figlie.

Per poco non ebbe un mancamento.
Però restò lì, fermo, senza muoversi.

Valentino aveva le spalle rivolte a Marc; era accucciato a parlare con la più grande delle sue figlie, che stringeva una copertina gialla e lo guardava con attenzione.
L’altra, essendo più piccola, era in "braccio" alla madre, Francesca, dentro un ovetto che la donna teneva in mano.

La bambina più grande annuì a qualcosa che le disse il padre, abbracciandolo.
In quel momento Francesca sorrise, e Marc non poté fare a meno di guardare anche lei.

Okay, ma Giulietta che abbracciava Valentino era davvero dolce, Marc non avrebbe potuto negarlo!

In quel momento, la donna alzò lo sguardo dalla figlia, probabilmente sentendosi osservata, e incrociò lo sguardo di Marc.
Francesca non si fece scrupoli e salutò l’uomo con una mano, sorridendo.
Marc ricambiò con un semplice sorriso e un cenno del capo.

A quel punto tornò a guardare Valentino e la bambina, che porse al padre la copertina che teneva in mano.
Marc, anche da lontano, si accorse che su un angolo della coperta c’era una tartaruga ricamata sopra.

Sorrise, nuovamente.
Fu felice di essere una persona dai buoni principi, che non avrebbe mai potuto odiare la famiglia, tanto meno le figlie, del proprio più grande rivale.

In più, Marc amava i bambini.

Valentino prese la coperta dalle mani della figlia, che evidentemente insistette perché la tenesse lui, e dopo averle dato un’ultima pacca sulla testolina, appallottolò la coperta e la infilò in tasca.
Poi si alzò, dando un bacio alla compagna e accarezzando la figlia nell’ovetto.

Quando Francesca finì di sistemare le bambine sui seggiolini posteriori, chiuse lo sportello e si girò verso Valentino, esclamando qualcosa: -Comportati bene!-.
La donna rise, e Valentino la imitò.

E quando la macchina sparì dalla strada, oltre il cancello, Marc restò a guardare l’uomo.
Valentino, toccandosi la tasca in cui aveva riposto la copertina della figlia, restò a fissare il cancello automatico che si chiudeva con un lieve cigolio.
Poi si voltò…

Marc avrebbe mentito a sé stesso dicendo di non aver aspettato quel momento per anni.

Valentino lo vide e sorrise.
Un sorriso… Strano?
Un sorriso alla Valentino Rossi: un po’ enigmatico, ma maledettamente bello.

L’altro restò lì, impalato, mentre l’italiano si avvicinava a lui con passo tranquillo.

Si fermò a qualche metro da lui, perfettamente davanti, e parlò: -Da quanto tempo, Marc…-.

Nessuna suspense inutile.
Nessun sentimento nello sguardo.
Niente di niente.
Solo Valentino che guardava Marc con quel sorrisetto che l’altro aveva sempre trovato troppo malizioso e enigmatico. Non sapeva mai cosa volesse dirgli davvero.

-Quanti anni saranno? Dico… che non ci vediamo così. Un faccia a faccia, diretto?- continuò Valentino, continuando a sorridere.
Marc non seppe minimamente cosa dire, così alzò le spalle: -Parecchi?-.
Valentino annuì, ridacchiando.

Si avvicinò ancora, davvero troppo vicino per i gusti dello spagnolo, e lo fissò un’altra volta.

Quel maledetto sorriso.

Marc, in un impulso che nemmeno lui saprebbe spiegarsi, allungò la mano.
Gli stava chiedendo di stringergliela.
Gli stava chiedendo di stringergli la mano?
Davvero?

Valentino fu colto alla sprovvista quel che bastava per fargli alzare leggermente le sopracciglia, ma poi, con una freddezza quasi crudele, scosse leggermente la testa e con un sorriso più largo entrò in casa.

Lasciò Marc lì, con il braccio alzato e la mano aperta, lo sguardo fisso davanti a sé.

Un flashback invase la mente di Marc quasi da solo: Misano 2018.

Sentì la porta chiudersi con un suono cattivo.
E poi solo il silenzio dell’esterno. Pauroso.

Marc strinse la mano così forte da farsi diventare le nocche bianche e le unghie incise nella pelle.
Poi parlò, con un sorriso amaro e gli occhi leggermente lucidi, nuovamente da solo: -Stronzo, eh…-.

Notes:

Spero che questo capitolo (con cui ho cercato di riempire la mancanza della settimana scorsa) sia stato all'altezza.
E che, come sempre, vi abbai stuzzicato... L'appetito!

Oltre tutto ho scoperto solo oggi che Valentino e Francesca non sono sposati, giuro che pensavo di si!

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 4: There Is Hot Water

Notes:

Ho scritto questo capitolo mente fuori diluvia, tuona e fulmina.
Mi sembrava di essere in Twister, e ovviamente tutto ciò a aiutato davvero tanto ha scrivere questo capitolo!

L'accenno a Marco con al febbre mi è venuto in mente pensando ad una fic che ho letto tempo fa, e che parlava proprio di questo.
Quindi, è una piccola citazione?

Oltre tutto spero di riuscire a caricare senza problemi questo capitolo, non ho minimamente campo! ;/

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Marc avrebbe preferito restare fuori al freddo senza giacca, piangere e farsi venire le stalattiti agli occhi piuttosto che entrare in casa.

Però poi si ricordò di aver abbandonato i suoi “bagagli” accanto alla porta d’ingresso…

Sarebbe stata una lunga settimana.
Una lunga ed estenuante settimana.

Anche se non sapeva con certezza quanto tempo sarebbero restati lì.
Marco gli aveva detto che di solito Valentino allungava sempre un po’, trasformandole in vacanze improvvisate, soprattutto quando non avevano nulla da fare.
Marc sperava che non fossero in vena di vacanze.
Sperava che tutti avessero da fare, tanto.
Sperava, perché gli restava solo quella (e anche poca).

Sbuffò e tornò dentro.
Ancora nell’ingresso, Valentino stava armeggiando con degli oggetti su un mobile lì vicino.

-Quelle sono le chiavi.- disse secco, indicando una chiave con un nastro blu appoggiata sul mobile. Detto quello, senza nemmeno lasciare un ultimo sguardo a Marc, andò via, sparendo dietro l’angolo.

-Grazie…- mormorò Marc, più a se stesso che all’altro, con una smorfia.

In quel momento il suo sguardo fu attirato dalla giacca di Valentino, l’ennesimo piumino appeso all’attaccapanni, che altro non era che uno stand pieno di grucce in legno.

Era accanto al suo.
Era attaccato al suo.
Come se non si fosse preoccupato minimamente, o come se l’avesse fatto apposta.

A Marc venne quasi naturale chiedersi se la copertina che Giulietta aveva dato a Valentino fosse ancora nella tasca dell’indumento.
Dopotutto l’aveva visto andarsene senza niente in mano.

Così, in un gesto automatico, toccò la tasca, troppo piena per non contenere nulla.
Infilò la mano dentro, per sfiorare una becca che spuntava leggermente, e sentì il materiale, morbido e pesante.

Sorrise grattandosi la testa, un po’ confuso.
Che bisogno c’era?
Beh, forse il contorto voler sentire qualcosa che, in un modo davvero particolare, apparteneva a Valentino.

Afferrò le chiavi e iniziò a rigirarsele in mano.
La chiave sembrava davvero vecchia, ma per quel tipo di porte, che riprendevano quello stile, era più che azzeccata.
E quel fiocco blu, una cosa messa lì più per scopi pratici che per bellezza…

Capì da solo che era la chiave della sua camera, e dal viso di Valentino che diceva espressamente: -Chiedi ai ragazzi dove si trova la camera-, significava solo una cosa.
Doveva fare tutto da solo.

-Bella accoglienza di merda.- mormorò per l’ennesima volta, scuotendo la testa per poi camminare via da lì.

 

-Aspetta. Hai la camera principale?- la reazione di Luca, che Marc aveva scelto per ovvie ragioni per farsi indicare la stanza, fu questa.
Forse si lamentò un po’ di più, ma la reazione migliore fu quella di Marco.

Mentre Marc cercava di spiegare al fratello di Valentino che era stato, per l’appunto, il fratello a dargli quella camera, Marco arrivò sulla soglia del salotto.

Si fermò sulla porta e parlò: -Hai la camera principale?- ripeté, pressappoco con lo stesso tono dell’altro.
Marc si voltò e alzò le spalle: -Così sembra.-.

-Pecco! Vieni, subito!- esclamò immediatamente il più giovane, infilando la testa nel corridoio.
Marc alzò un sopracciglio, voltandosi nuovamente verso Luca, che ridacchiò restituendogli la chiave.

Pecco arrivò velocemente, con uno sguardo curioso e la bocca piena del cracker che aveva a metà in mano.
Il suo sguardo parlò per lui, e chiese palesemente cosa stesse succedendo, mentre si appoggiava allo stipite dell’arco che collegava il salotto con il corridoio.

-Marc ha la camera principale.-.
-La camera principale?- domandò in risposta Pecco, con un colpo di tosse mentre finiva anche l’altra metà del cracker.
Luca e Marco annuirono all’unisono, e con esasperazione si unì anche Marc.
-Cioè… Quindi quella accanto a Vale?- concluse poi, buttando giù il boccone.

Marc sbiancò.
-Cosa?-.
-Ma sì, è praticamente un’altra camera grande come quella di Vale. Tipo, un’altra padronale.-.
-Sarebbe accanto alla sua camera?-.
-Esatto. Una volta io e Marco ci siamo stati, c’è addirittura il bagno privato. A Marco venne la febbre…- rise Pecco, annuendo. L’altro ragazzo gli diede una gomitata ridendo a sua volta.

-E la parete dove c’è il letto, beh, è attaccata a quella dove c’è il suo. Ogni tanto ci piace andare lì di notte per dargli noia.- aggiunse Luca, ridendo insieme agli altri due e lasciando una mano sulla spalla a Marc.

Peccato che il ragazzo non ridesse.
Non rideva per niente.
Cosa c’era da ridere? Come minimo Valentino avrebbe sentito ogni respiro, ogni movimento, ogni parola di Marc.
In più, quelle case o avevano le pareti così spesse che non sentivi nemmeno la presenza di altre persone, o pareti di carta velina. E Marc aveva già capito di che tipo di pareti si trattava.

Perché sì: anche se c’era silenzio, sentivi sempre qualcosa.
Anzi, più silenzio c’era e meglio si sentiva tutto. Marc sperava di sbagliarsi.

-Sentite, perché non lasciate Marc andare in camera e voi due venite a cucinare? Le doti culinarie sono quel che sono, e dovete aiutare con la cena.- disse poi Pecco, con quel tono leggermente autoritario ma simpatico che solo lui sapeva avere.

Marco iniziò a lamentarsi, cercando di sfuggire a qualsiasi compito gli sarebbe potuto capitare. Ma Luca, che diede l’ultimo sorriso a Marc, prese l’altro per le spalle per poi portarlo via ridendo.

Pecco li seguì, ma prima di sparire del tutto dentro al corridoio si voltò verso Marc lasciandogli un occhiolino.

 

A cena Marc si accertò di sedersi il più lontano possibile da Valentino, e fortunatamente il lungo tavolo della sala da pranzo rese la cosa facile.
Finalmente qualcosa di buono.

In più, a giocare a suo favore fu il fatto che tutti erano presi dal parlare.
Si ritrovò davanti ad Andrea, che, entusiasta di trovarsi allo stesso tavolo del grande Marc Márquez, non lo lasciava pensare ad altro.
Forse non lo lasciava un po’ troppo…
Ma poteva davvero lamentarsi? Dopotutto l’unico momento di tutta la cena in cui guardò Valentino e pensò davvero a lui, fu quando tutti si dissero buon appetito.

Poi ogni tanto c’era Pecco che chiedeva come andasse la cena.
Luca che chiedeva di Alex.
E Celestino che rideva sgarbatamente con Marco.

Fu felice di trovarsi in quella compagnia.
O meglio, fu felice che, tra il caos di quella compagnia, riuscisse a smorzare tutto quello che passava per la sua testa.

Alla fine della cena Marc insisté per sparecchiare e aiutare gli altri, ma lo convinsero che lui era “l’ospite” e che, dopo tutto, era venuto lì dalla Spagna e doveva riposarsi in vista delle cose che avrebbero fatto l’indomani.

E lui accettò. Prima spariva da Valentino meglio sarebbe stato.

-Qui siete tutti pazzi.- disse appena entrò in camera sua, appoggiandosi alla porta dopo aver fatto tre giri di chiave.
Non si sa mai cosa possa succedere in quel posto: Belzebù sotto forma di casale italiano.

Si passò una mano tra i capelli, accendendo la luce e cominciando ad avvicinarsi al letto.
Quando fu accanto a quest’ultimo, ci si buttò sopra con una forza che avrebbe potuto sfondare le doghe in legno.

Ma fece un gran sospiro, seguito da un sorriso.
Finalmente su qualcosa in cui poteva essere se stesso al 100%, ma soprattutto, rilassarsi davvero.

Spense la luce, lasciando accesa solo la lampada sul comodino.
La stanza si riempì di una luce calda e soffusa, che proiettava sui muri forme distorte dei lineamenti di Marc.

In quel momento, mentre chiudeva gli occhi e si abbandonava alla morbidezza del cuscino che aveva sotto la testa, sentì una voce.

Spalancò gli occhi, ma troppo stanco per alzarsi dal letto, girò solo la testa verso la fonte del rumore.
Il muro?
Cioè, la camera di Valentino?

L’uomo era appena entrato e stava cantando qualcosa di cui Marc non capì subito le parole, eppure la melodia non era sconosciuta.
Allungò la testa, cercando di captare meglio i rumori all’interno.

Ah, indubbiamente doveva essere “Come mai” degli 883!
Quella melodia malinconica, la voce di Max che si poteva riconoscere da chilometri…

-Come mai. Ma chi sarai. Per fare questo a me?- canticchiò Marc, quasi allo stesso momento di Valentino, che però continuò tutta la canzone.

Marc sorrise, pensando ad Alex.
Il fratello aveva una playlist che Luca gli aveva fatto dove aveva messo le migliori canzoni italiane a suo parere, ma aveva detto che era stato Valentino a influenzarlo, quindi se non gli piacevano era colpa sua.

Ma Alex, sia per amore che per gusto personale, amava ogni singolo brano e li metteva in letteralmente ogni occasione.

Ma per Marc il momento migliore era quando faceva la doccia: convinto di non essere sentito da nessuno, iniziava a urlare i testi senza riguardo.
Aveva un sacco di video in cui si sentiva la voce sparata del fratello che cantava canzoni italiane con quell’accento spagnolo che rendeva tutto più divertente.

Proprio in quel momento il telefono di Marc vibrò, e sullo schermo apparve un messaggio del fratello seguito da numerosi sticker di meme.

-Che vuole ora?-.

Il messaggio di Alex chiedeva come gli sembrasse la stanza e se si era già fatto sentire parlare da solo.
Marc lo mandò prontamente a fanculo.

Ma non si fece troppe domande su come mai il fratello sapesse della camera (senza nemmeno pensarci, sapeva già di chi era la colpa).

Dopotutto la camera era bella, aveva addirittura il bagno.
Unico punto a sfavore: Valentino diviso da lui da una sola parete.

I ragazzi erano stati carini, ma come al solito…
Valentino era stato lo stesso. Stronzo.

I due fratelli restarono a scriversi per un po’, fin quando Alex non chiese a Marc di andare a vedere il bagno, tanto sapeva che il fratello non c’era ancora stato.

E Marc si sentì automaticamente meglio.
Con un bagno del genere, in più in camera sua, fanculo Valentino e i problemi.

Sarebbe bastata una bella doccia calda e tutti i pensieri sarebbero spariti.

Alla fine, prima di mandargli la buonanotte, Alex chiese dell’acqua calda.
Marc rispose che ovviamente c’era, che domande erano? Anche se non aveva ancora aperto il lavandino.

Rimesso il telefono in tasca e raggiunto il lavandino, aprì l’acqua calda. In poco il getto si scaldò, iniziando a lasciare un po’ di vapore nell’aria, che piano piano appannava lo specchio.

Marc si guardò, sorridendo leggermente.
Pensò a Pecco e Marco dentro a quella camera, uno con la febbre.

Pecco.
Pecco lo sapeva.
Pecco era uscito a comprare il caffè per ritrovarsi con Marc.
Pecco aveva mandato quel messaggio non a caso.
Pecco era l’unico a saperlo, Valentino glielo aveva detto.

E Marc non l’aveva capito.
E non gli piaceva affatto.

Come sempre, Valentino era un passo avanti a lui.
E, come sempre, se lo sarebbe fatto andar bene senza fiatare.
Ma quello non gli piaceva.

Notes:

Per la serie, portare la coltura italiana nel mondo è il mio compito... Non li citiamo gli 883?
Penso che si capisca che stavo ascoltando la mai playlist di canzoni italiane mentre scrivevo ciò. :)

Come al solito spero vi si piaciuto!

Adesso cercherò di studiare un po' per scuola guida senza pensare a come far continuare tutto ciò.

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 5: If This Is A Concern...

Notes:

Dovrei davvero dormire, lo so.
Però, se dormissi questi capitoli non uscirebbero... Quindi!

Questo è un semplice capitolo "filler", messo qui per divertirmi e per fare spessore.
Eppure penso siano utili, in fondo.

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Marc sapeva che quella cosa era destinata al fallimento prima ancora di accettare l’invito.
Che poi, doveva davvero riguardare la sua definizione di fallimento?

Quella notte, dopo essersi fatto la tanto desiderata doccia, si buttò sotto le coperte cercando di non farsi troppi problemi prima di dormire.
Sapeva che altrimenti non avrebbe dormito bene.

Era una cosa che succedeva dieci anni prima, e che ancora gli succedeva, ma con meno insistenza, fortunatamente…

Se qualcosa per tutto il giorno lo “assillava”, la notte lo “assillava” allo stesso modo.
Se non peggio.

Di incubi Marc ne aveva fatti, e metà delle volte il volto onnipresente era uno: Valentino, con quel suo sorrisetto.

Sorrideva sempre, più o meno.
Sorrideva quando Marc stava male, quando lo faceva soffrire.
Sorrideva quando Marc piangeva.

Valentino sorrideva per la sofferenza altrui.

I sogni erano sempre diversi, ma il messaggio di fondo era lo stesso.
Marc non l’aveva mai capito, ma paradossalmente lo sapeva.

Però, il sogno ricorrente (e anche il peggiore) era uno: Valentino che si scusava con Marc.
E voi direte: che c’è di male? Dopo tutto è quello che Marc vorrebbe.

Marc sognava, ormai da dieci anni, Valentino nel retro podio di una gara che non avrebbe saputo identificare, che lo abbracciava.
Gli chiedeva scusa.
Lo abbracciava…

Ogni volta si alzava di soprassalto, la fronte sudata e gli occhi lucidi.
E puntualmente si portava la mano sul braccio “malato”.

Quella cosa svegliava quasi sempre Gemma, che, troppo addormentata, si lamentava in uno spagnolo confuso e si girava dall'altra parte.

Una sola volta, che Marc ricordasse, Gemma gli chiese cosa avesse.
La ragazza non era riuscita a dormire bene, quindi il suo sonno si interrompeva di continuo.
Proprio quella notte Marc fece quel sogno e lei si svegliò a sua volta, chiedendogli cosa non andasse.
Lui rispose che aveva sognato l’incidente.
E da quel giorno Gemma, certe volte, nemmeno si svegliava. Ma lui la trovava sempre al suo fianco, a confortarlo a modo suo.

Adesso non aveva nemmeno più quello.
Non aveva più Gemma.
L’unica cosa che gli rimaneva di lei era il numero in fondo alla rubrica e un mucchio di ricordi.

Stava andando tutto bene.

La camera di Marc era silenziosa.
La casa era silenziosa.

Poi, lo scricchiolio del letto e un sussulto.

Marc saltò a sedere sul letto all’istante, spalancando gli occhi e piantando lo sguardo sul muro vuoto davanti a lui.

La mano sinistra afferrò velocemente la spalla del braccio sinistro, scendendo piano piano sulla cicatrice.
Ripercorse a memoria la linea tracciata dai bisturi con delicatezza, quasi per paura di ritrovarsela improvvisamente aperta.

Fatto quello, si lasciò andare sulla testiera del letto con un sospiro.
Cercò di riprendere tutta l’aria che gli mancava.

La sua mente ripercorse velocemente tutto il sogno.

La stanza d’ospedale.
Il braccio ingessato.
I suoi genitori che erano appena andati via.
Alex che lo bombardava di messaggi.

E all’improvviso, Valentino che sbucava dalla porta.

Nel pensarci gli mancò nuovamente il fiato.

Si girò verso il lato vuoto del letto, e in un movimento che gli venne più che naturale allungò la mano.
Si rese conto troppo tardi che non c’era nessuno.

-Oddio…- borbottò, togliendosi velocemente la coperta e accendendo la lampada sul comodino.
Si sedette sul bordo, appoggiando i piedi sul freddo pavimento di pietra.
Il ruvido di quest’ultimo sembrò risvegliare i sensi ancora un po’ reduci dal sogno.

Ancora tutto intorpidito, Marc si alzò, dirigendosi in bagno quasi a occhi chiusi.
Quando fu finalmente dentro, la luce lo accecò, svegliandolo del tutto in modo abbastanza brusco.

Si guardò allo specchio e sbuffò. Non era messo male, ma sicuramente qualcosa di strano nei suoi occhi si notava.
Rabbrividì per un momento, ma non per quello che vide allo specchio.

–Fanculo questa stupida casa, perché fa così freddo?– disse, cercando di scaldarsi le braccia con le mani mentre frugava dentro la borsa in cerca di una felpa.

Ne trovò una grigia, felpata, leggermente larga.
Una delle sue preferite.
Mentre se la metteva e tornava in bagno pensò che quella felpa poteva davvero sembrare di Valentino, insomma, ce lo vedeva bene.

In quel momento, proprio dalla camera di Valentino, si sentì un rumore.
Il letto che scricchiolava con lo stesso suono di quello di Marc.
Uno sbuffo e l’interruttore della luce che scattava.

Ottimo, l’aveva svegliato.

Marc si guardò allo specchio con una smorfia, e dopo aver spento l’interruttore con molta delicatezza tornò in punta di piedi sul letto.
E quando ci si appoggiò, scricchiolò così tanto che si ritrovò a dire shh…

Mentre spegneva la lampada e si rimetteva sotto le coperte iniziò a sperare che Valentino si fosse svegliato casualmente (certo, come no?) e che non andasse a bussare a Marc dicendogli che l’aveva svegliato.
Sperò che non ne avesse il coraggio, anche se sapeva che l’avrebbe fatto sicuramente senza problemi.

 

La mattina dopo Marc si trovò sveglio venti minuti prima della sveglia, a un orario che Pecco gli aveva consigliato.
Capì che era ora di svegliarsi quando, appena quest’ultima suonò, la casa iniziò a riempirsi di un brusio.

Da quel che gli aveva raccontato Marco, doveva essere sicuramente Celestino che era corso in bagno prima di tutti.
Allora, lì Marc capì perché il ragazzo era “arrabbiato” del fatto che lui avesse la camera con il bagno privato.

Anche se non doveva correre in bagno a fare la fila come il resto dei ragazzi, decise di alzarsi, giusto per compassione e perché non aveva di meglio da fare.

Si lasciò gli stessi vestiti della notte, accertandosi di avere almeno le ciabatte.
Uscì.

Quando si infilò le chiavi in tasca, dopo aver fatto le sue classiche tre mandate (anche se sapeva di non avere niente da nascondere) si voltò per iniziare a camminare.

A qualche metro da lui, a sorridere con le mani in tasca, c’era Valentino, probabilmente appena sveglio anche lui.
L’uomo si limitò a fargli un cenno, invitandolo a seguirlo.

Ovviamente Marc lo seguì senza pensarci due secondi.

-Come sta il braccio?– chiese Valentino, appena Marc lo affiancò, facendo un cenno verso il braccio destro.

Marc si sentì trasalire.

In tutti quegli anni non lo aveva mai chiesto.
Si era limitato, al tempo dell’incidente, a esprimere pubblicamente dispiacere, augurandogli una pronta guarigione.

Ma sapeva che l’aveva fatto più per senso del dovere, e per dovere effettivo, che per vero e proprio dispiacere e interesse personale.

–Quando un pilota si fa male è sempre brutto per tutti.– aveva detto, ormai 5 anni prima.

Marc sapeva che Valentino avrebbe gioito nel vederlo a pezzi.
Fuori dalla corsa (in ogni senso).
Chissà, forse anche morto?

–Certo, come no…– borbottò Marc, accigliandosi profondamente.
–Cosa?– domandò l’altro, sinceramente spiazzato, non capendo l’uscita dello spagnolo.

Marc trasalì ancora di più, spalancando gli occhi di fronte alla palese confusione di Valentino.

–No, dico… Certo, che sta bene. Come no?– disse con una certa urgenza nella voce.
Urgenza, forse, di dover riparare a quel che aveva combinato.

Alex glielo aveva sempre detto: parlare da solo prima o poi sarebbe diventato un serio problema.

Gli aveva fatto notare come, a primo acchito e nella forma “lieve e normale”, facesse bene caricarsi e parlare da soli.

Ma quello di Marc era un vero disturbo.

Dato che, ovviamente, Marc non credeva a nessuna parola di Alex, il fratello fu costretto a mostrargli studi condotti da università e scienziati.

Lì Marc capì che Alex aveva ragione.
Quello era un serio problema.

Ma non avrebbe potuto rimediare.
Come avrebbe potuto?

Parlava da solo, in quella forma “compulsiva”, da ormai dieci anni.
Tredici, per essere sinceri.

E, come qualcuno con una pessima postura che non può essere raddrizzata all’ultimo, lui non poteva smettere di parlare da solo.

La cosa, come ogni vero problema, era iniziata con semplici frasi dette per caricarsi prima di una gara.
Qualche parola sussurrata per ricordarsi dove aveva infilato le chiavi di casa.
Qualche lamentela quando litigava con Alex.

Per poi finire con il parlare da solo davanti ad altre persone.
Che, finché era suo fratello che lo prendeva in giro con premura o Gemma che rideva, andava bene.

Ma farlo davanti a Valentino.
Così… No. Davvero, no!

Eppure, ormai Marc non riusciva a ricordarsi di un momento della sua vita in cui non aveva parlato da solo.

Non ricordava un giorno in ospedale in cui non si ripeteva, come un mantra, che c’erano persone che gli volevano bene.
Non ricordava una giornata dopo una gara, dopo l’ennesimo siparietto con Valentino, in cui si diceva che non l’aveva fatto apposta.
Non ricordava un lunedì dopo un weekend vincente in cui non cercasse di convincersi che Valentino non lo odiasse solo perché vinceva.

L’ultima scena davvero eclatante in cui il suo “disturbo” l’aveva portato era stata qualche mese prima, mentre lui e suo fratello andavano al compleanno di un loro amico.
Erano in macchina insieme, Marc guidava, aveva perso la strada ed erano finiti in campagna in piena notte.

E mentre si guardava intorno, irritato, esordì con: –Ma dove devo andare, ora?–

E Alex, pensando che parlasse con lui, rispose che non lo sapeva nemmeno lui.
Marc si girò e gli disse che non aveva detto nulla, e così Alex cominciò a ridere senza fermarsi o dare spiegazioni.

Marc non capì nulla e tornò a guidare sbuffando.
Non si era nemmeno accorto di aver parlato…

–Ah, bene…– si limitò a dire Valentino, annuendo.

Marc volle sparire per un momento.
Sotterrarsi e non vedere più nessuno.

In quel momento passarono davanti alla porta del bagno, dove Marco stava bussando insistentemente.
Valentino continuò senza nemmeno guardarlo, come abituato a una scena che probabilmente si era già riproposta più volte.

Invece Marc si voltò a guardarlo urlare: –Cele! Esci immediatamente, hai sentito? Sennò andrò in bagno in camera di Vale, tanto lo sai che lascia sempre aperto!–

Quella frase lasciò un po’ di curiosità in Marc, mentre con Valentino, che era già sparito in cucina, entrava nella stanza.

Quindi, Valentino lasciava aperta la porta di camera sua?
Interessante.

Capì presto che, seppur incuriosito da quella notizia, non l’avrebbe “usata” in nessun modo.

Insomma, si metteva a infrangere la privacy del padrone di casa così?
Di quel padrone di casa?
Che poi, in cerca di cosa?

In quel momento, entrato nella confusione della cucina, notò che Valentino era sparito.

Okay, quell’uomo era davvero peggio di come se lo ricordava.

In compenso Marc si trovò davanti Pecco, che, assorto nel preparare il caffè, non l’aveva nemmeno visto entrare.
Franco entrò proprio in quel momento, trovandosi a sua volta davanti Marc che guardava ancora più assorto Pecco.

–Eccoti. Buongiorno!– disse l’uomo, posando un braccio attorno alle spalle dell’altro.

Marc fu portato via dai suoi pensieri: un pensiero che gli faceva notare la strana somiglianza tra Valentino e Pecco (non lo so, dovrebbe esserci?).
Somiglianza che forse non c’era davvero, ma che il suo cervello voleva vedere.

–Franky…– mormorò lo spagnolo, stringendo la mano dell’altro in un saluto “fraterno”.

–Andiamo Marc, non ti hanno nemmeno messo a sedere? Che padroni…– scosse la testa Franco, tirando con sé Marc a sedere su una sedia.

Quella frase, una palese frecciatina-battuta a Valentino, non scosse troppo l’uomo che, dall’angolo della cucina, si stava versando una tazza di qualcosa.

Valentino sorrise, quanto bastava per far vedere di aver recepito la battuta.
Eppure, non aggiunse niente. E Marc lo trovava mediamente irritante.

Dopo tutto da quando era arrivato lui e Valentino si erano scambiati poche parole.
Troppo poche per essere la sua special guest.
Troppo poche per una “reunion”.

O almeno, Marc voleva una tregua…
Però, se Valentino l’aveva invitato qualcosa doveva volere pure lui, no?

Era confuso.

–Allora?– chiese poi Franky, facendo sprofondare ancora una volta il suo cucchiaino nel vasetto dello yogurt.
In quel momento Pecco appoggiò davanti a Marc una tazzina di caffè fumante, sedendosi poi dall’altra parte del tavolo con la moka ancora in mano.

Marc non capì nemmeno come fossero arrivati a parlare, e come il caffè fosse già pronto.
Così, si limitò a guardare confuso Franky accanto a lui.

L’uomo rise, e prendendo un altro cucchiaino di yogurt parlò: –Corri? Corri con noi?–-

Marc aprì la bocca, ma si fermò cercando di formulare un discorso giusto.
Non doveva dire la verità, ma doveva farlo.

In quel momento, mentre cercava di dire le prime parole del suo discorso, Celestino e Marco entrarono di corsa ridendo sguaiatamente.
Girarono il tavolo e si lanciarono nelle sedie accanto a Pecco.

Marco, come il bravo diavoletto carino, si mise a sinistra.
E Celestino, come l’angelo non così innocente, alla sua destra.

–No, Marc non correrà con noi. Ma se vi può far stare bene, ci guarderà.– Valentino precedette Marc, parlando per lui, sedendosi al tavolo con loro.

Marc annuì, senza trovare l’esigenza di aggiungere altro.
Franky sbuffò leggermente, occupato però a raschiare il fondo del suo barattolino: –Peccato…–

–Come non correrà? Dai, Marc.– disse Marco, lanciando un’occhiata triste all’uomo.
Impercettibilmente ne lasciò un’altra a Valentino, che però non gli badava, leggermente più irritata.

Celestino ridacchiò, allungandosi sopra Pecco per prendere un biscotto dal barattolo davanti a Marc.
–Buon per te Marc, che non dovrai correre con Marco anche qui.–.

La frase fece ridere ancora di più Celestino, e pure Marc che, preso bene dalla semplicità della situazione, allungò il barattolo al ragazzo, che mormorò un –Grazie.–.

Marco sbuffò e diede una pacca sulla spalla a Celestino, appoggiandosi poi a sua volta su Pecco per arrivare al barattolo che l’altro si stava portando via.

Marc poté solo notare la faccia imperturbabile, ma leggermente sorridente, di Pecco.
Aveva tutta l’aria di uno abituato a quelle cose, un po’ come Valentino.
Forse era questa la “somiglianza” che Marc trovava nei due?

O semplicemente, gli sarebbe piaciuto scoparli entrambi?

In quel momento, mentre prendeva un sorso del suo caffè ormai tiepido, con Franky che gli parlava del fatto che gli sarebbe piaciuta un mondo la pista del Ranch, guardò Valentino.

A capotavola, un posto non solo simbolico.
Intento a inzuppare delle fette biscottate nel caffellatte, con lo sguardo perso nelle piccole briciole che si perdevano nel latte…

Sarebbe stata una lunga giornata!

Notes:

Non c'è tanto da dire, adesso devo mettermici giù pesante per iniziare a fare le cose davvero importanti!

Pensando ad altro, godetevi questi ultimi periodi di vacanze. ;)
Noi ci si vede al prossimo capitolo, che spero tanto di riuscir a far uscire questo weekend.

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 6: Everything You Could Ask For

Notes:

La mia vita è davvero bipolare: ci sono periodi pieni, dove non riesco nemmeno ad aprire AO3 e altri in cui scrivo tre capitoli in una notte.

Lascio a voi capire in che periodo sono ultimamente.
E mi scuso per l'assenza!

Spero che il mio ritorno sia dei migliori, e che riesca subito a postare il prossimo capitolo...

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Una cosa di cui Marc si era accertato di poter fare, dal momento che non era lì per stare a correre sopra una moto... Era avere le scarpe da corsa.
Almeno se la situazione si faceva troppo critica usciva e tornava di corsa in patria.

Alex aveva scherzato, quasi ovviamente, molto su quello.

Così, la mattina dopo, si alzò con i soliti venti minuti di anticipo sulla sveglia. Un piacere che, alla fine, consisteva solo essere sveglio e già vestito quando la sveglia del telefono squillava.
Ma pur sempre un piacere.

Poco prima di uscire dalla sua camera, mentre rifaceva il letto, iniziò a far attenzione al silenzio che la casa aveva a quell’ora di mattina: suppergiù le sei.

Probabilmente troppo presto per Valentino e i suoi ragazzi?

Il letto scricchiolava a ogni mossa, ed era quasi inquietante. E lo stava pensando per l’ennesima volta da quando era lì.
Ossia troppo, per essere lì da solo due o tre giorni.

La mente di Marc finì su un pensiero effimero (eppure divertente), ma che veniva sempre in mente quando si parlava di letti e materassi.

Come doveva essere scopare su un letto del genere?

Insomma, Marc si immaginava il rumore disperato della struttura in legno che supportava il materasso.

Due corpi ansimanti sopra.
Urla di piacere e risate.
Dita in bocca.
Le lenzuola bagnate…
Okay, si stava lasciando trasportare un po’ troppo!

Ma lasciandosi i soliti discorsi e il letto sistemato alle spalle, afferrò gli occhiali da sole che usava per andare a correre e le scarpe.
E anche il telefono, purtroppo.

Uscì di camera e, cercando di fare il massimo silenzio, chiuse la porta e camminò velocemente per casa fino ad arrivare all’uscita.
Lì aprì con la stessa delicatezza. Sia mai far arrabbiare qualcuno per una cosa del genere!

Quando fu fuori non poté che prendere una boccata dell’aria tipica del mattino: fredda e soprattutto con quell’aura strana, che rendeva tutto fantastico e che gli faceva amare ancor di più quelle ore così silenziose.

Velocemente camminò fino al cancello, per poi uscire e richiuderlo dietro di sé nella speranza che al suo ritorno nessuno avesse improvvisamente deciso di chiuderlo a chiave.
Dopo essersi sistemato le scarpe, infilato gli occhiali e controllato l’ora, Marc partì.

Marc amava correre.

Non solo perché la parte sportiva da atleta in lui sapeva che faceva indubbiamente bene, e che doveva farlo.
Ma anche perché correre era quel modo ottimale per chiarirsi le idee per bene. E lui di idee da schiarire ne aveva, parecchie.

Poi, senza cuffie o Gemma che gli parlava di mille cose inutili, lui e i suoi pensieri stavano che era un piacere.

Lì, solo loro due e chissà quante altre persone che però non potevano sentirli.

Il suono delle scarpe sul terreno, in quel tratto di strada d’asfalto vecchio, e i paesaggi a scorrergli accanto lasciavano a Marc uno spazio e una condizione davvero perfetta per pensare a tutte le cose assurde che gli stavano capitando in quel momento.

Beh, assurde…

Aveva solo vinto il nono titolo.
La sua ragazza l’aveva lasciato (dopo tutto, cos’è davvero una pausa?).
Suo fratello Alex era più Alex del solito.
Valentino l’aveva invitato al suo Ranch.

Cose che succedono, no?

Eppure sentiva la necessità di doversele spiegare tutte.
Ma, allo stesso momento, sapeva che non ci sarebbe riuscito da solo.

Ormai era un’ora buona che Marc correva per quelle strade tutte uguali, e probabilmente non sapeva nemmeno dove fosse finito.
Non che potesse lamentarsi davvero.
Insomma, era “lontano” dal Ranch e da tutte le possibili e probabili disavventure e figuracce che potevano capitargli.

Poi, a interrompere il naturale flusso dei suoi pensieri, con un tempismo degno di un sensitivo, Alex…
Quella che era iniziata con l’intenzione di essere un viaggio spirituale in mezzo ai pensieri era finita, sciaguratamente, al telefono con Alex.

-Come si sono comportati? Lo sai che sono bravi ragazzi… E Valentino?-.
-Come al solito, si è comportato da Valentino.-.
-Quanto avete parlato?-.
-Poco. Non lo so, non riesco a capire le sue intenzioni. Non sembra intenzionato a nulla!-.
-Sei tu che non capisci nulla, Marc.-.
-Scusami ma che tipo di supporto è questo?-.
-Io non ti supporto, io ti… sopporto?-.
-Ah, parliamo di cose serie per favore.-.

Alex dall’altro lato del telefono ridacchiò, dicendo qualcosa tra le risate che Marc non capì bene.
In compenso il più grande roteò gli occhi, stringendo il telefono in mano, quasi a volerlo vedere esploso.

-Cose serie? Marc, tu ti vuoi male.-.
-Senti, qui girano già abbastanza cazzate. Fammi staccare…-.
-Okay? Allora, l’hai sentita Gemma?-.

Marc sbuffò passandosi una mano sul volto con forza, e sbottò: -Ti ho detto di farmi staccare, cretino!-.
-Vuoi la domanda di riserva?-.

Il più grande annuì, come se il fratello dall’altro capo del telefono potesse vederlo.
Eppure, la frase di Alex, che tanto lo fece arrabbiare, lo fece ragionare allo stesso tempo!

Ormai Marc evitava come la peste il pensiero di Gemma e tutto ciò che potesse solo ricordargliela.
Ed era sbagliato.

Doveva affrontare i problemi.
Invece lui sembrava bravo, e in grado, di scappare e basta.

Dopo tutto, era bravo ad andare veloce.

I veri grandi problemi non li aveva mai affrontati, dopotutto per tutta la sua vita ce n’era stato uno solo.
Ma adesso erano due, due persone che amava tantissimo.

Due persone che avevano un motivo per odiarlo.

 

Quando fu tornato a casa, dopo una lunga chiacchierata con Alex che lo accompagnò per tutto il ritorno, e che preferiva non ricordarsi, abbandonò tutto sul mobile vicino all’entrata, noncurante.

Andò dritto in cucina, iniziando a preparare velocemente una moka.
Voleva farsi vedere un bravo ospite. Poi, del caffè gli serviva proprio.

Sapeva, dopo tutto, che quella (come quella passata, e probabilmente tutte quelle successive) giornata sarebbe stata tosta.
Beh, secondo Marc in generale le giornate lì erano toste…

Guardò l’orologio attaccato sopra il frigo, erano le sette e mezzo.
Aveva corso un’ora precisa, poteva fare di meglio, ma Alex aveva “rovinato” l’esperienza.

A quel punto, ormai, i ragazzi si dovevano iniziare a svegliare.
E, quale momento migliore di farsi trovare lì con il caffè pronto?

In poco tempo, quasi ad aver premonito quello che sarebbe accaduto a momenti, si iniziarono a sentire leggeri rumori in giro per la casa.

Marc, senza particolari titoli accademici da architetto, notò una cosa: le mura di quella casa erano strane. Come in ogni vecchia casa, dopo tutto.
Una era portante, quindi più spessa e insonorizzata.
Altre, altrettanto importanti ma meno spesse, così i rumori passavano molto meglio.
Poi, del cartongesso qua e là.

Gli venne in mente un’idea, o meglio un cattivo pensiero.
E, per quel che il pensiero trattava, doveva avere la fortuna di avere una camera ben insonorizzata.

Però, come sarebbe stato far sentire a tutti l’essere di Valentino?

Pecco entrò proprio in quel momento, mentre sulla faccia di Marc si stava formando un piccolo sorrisetto malizioso.
Ringraziò anche di non aver deciso di fare un discorso a se stesso, anche se Pecco l’aveva sentito chiacchierare più volte da solo prima di una gara per darsi la carica: quello sarebbe stato troppo.

Lo sguardo del ragazzo italiano era fisso sul telefono che aveva tra le mani, occupate a digitare velocemente qualche messaggio.
Probabilmente doveva essere Domizia, a giudicare dalla quantità di cuoricini rossi sullo schermo.

A Marc si strinse un po’ lo stomaco.
O forse il cuore?

-Ehi, Marc…- sorrise immediatamente Pecco, che appena alzò lo sguardo si trovò davanti l’uomo.

Quasi in un movimento automatico il più giovane si avvicinò, lasciandogli una veloce pacca sul culo.
Un gesto che facevano quasi di consueto... In pista. Con, insomma, tutt'altro significato.

-Dov’eri vestito così?- chiese poi, guardandolo curioso.
-Nulla di che, ero fuori a correre.-.
-Dai, potevi invitarmi… Anche se stavo ancora dormendo profondamente avrei apprezzato svegliarmi per stare con te.-.

Marc sorrise, pensando a quanto carino fosse quel pensiero.

-Non volevo correre il rischio di svegliare tutti.-.
-Mi mandavi un messaggio? Sai che faccia avrebbe fatto Marco quando si sarebbe accorto di non potermi svegliare?- ridacchiò Pecco, iniziando a frugare tra i pensili in cerca di qualcosa.

-Anche se… Mi sarebbe dispiaciuto un po’.- aggiunse infine.

Marc notò una certa vena di dispiacere sincero nel tono di Pecco, che lo fece dubitare di alcune cose che però non trovarono appiglio nella sua mente per colpa di Luca.

“Il fratellino di Valentino” entrò velocemente nella stanza, con il telefono all’orecchio intento ad ascoltare un messaggio vocale.
Filò dritto al frigo, ridacchiando mentre cercava qualcosa nello sportello.

Marc e Pecco si guardarono confusi, per poi riportare lo sguardo su Luca, che aveva appena preso un bicchiere ed era intento a berci dentro del succo d’ananas.

Marc si accorse con orrore che la voce dall’altro capo del telefono era di suo fratello. Quella cadenza spagnola che lo rendeva tanto simpatico era riconoscibile da chilometri.

Aveva da scambiare altre due paroline con Alex.

Mentre Marc tornò alla moka, ormai pronta, e Pecco a preparare qualche tazzina per il caffè, iniziarono ad entrare piano piano tutti i ragazzi.

Così, in poco la cucina fu piena di un chiacchiericcio conviviale.
Voci divertite e ancora un po’ assonnate.
Tazze, cucchiai e ciotole.

A Marc piaceva.

All’improvviso, a rompere solo la pace di Marc, Valentino entrò guardandosi intorno con occhi attenti, quasi a dover capire la disposizione dei mobili in casa sua.
E, a peggiorare solamente, Valentino aveva in mano gli occhiali e il telefono di Marc.

-Ottima mossa, Marc… Davvero ottima.- si mormorò lo spagnolo, facendo voltare Andrea leggermente confuso e con la bocca piena verso di lui.

Senza pensarci due volte, si alzò e con la scusa già pronta del -Mi cambio al volo!- avanzò verso la porta.

Valentino lo fulminò con lo sguardo.
O meglio, gli diede uno sguardo davvero insistente.

-Sono tuoi?- chiese l’uomo, appena Marc fu davanti a lui per uscire.

Silenzio.

A Marc sembrò che tutti i ragazzi si fossero zittiti per guardare i due faccia a faccia.
Con la mano di Valentino che porgeva i due oggetti a Marc.

Marc annuì, solo quello.
Dopo un veloce cenno di testa, quindi, afferrò gli occhiali e il telefono per poi superarlo velocemente e sparire da quella stanza.

Non sapeva nemmeno che pensare.
In quel momento il suo cervello si era completamente scollegato, sbandierando uno straccio bianco.

Sarebbe stata un’altra lunga giornata…

Notes:

Ultimamente sto sfornando solo capitoli "filler", ma prometto che cercherò di impegnarmi di più per i prossimi (poiché la cosa mi sembra che stia pendendo un corso troppo lungo).

Non ho particolari cose da dire, ultimamente la mai vita è stata un po' troppo frenetica!

In più, dato che tra poco ricomincerò la scuola, non posso assicurarvi più di due capitoli alla settimana. ;/

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 7: A Gay Sitcom

Notes:

Stavo scrivendo.
Poi il PC si è spento di botto.
Sono rientrata dopo averlo caricato.
Aveva chiuso, e quindi di conseguenza cancellato, tutto...

E vabbè, non è forse questo il bello della vita?
L'imprevisto?

No.

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Marc aveva paura che sarebbe finito presto a non capire più la differenza tra un incubo e la realtà.

Però, finché c’era Alex che lo teneva attaccato alla terra con le sue solite stupide uscite, non incorreva in nessun problema reale.

 

In quel momento i rombi delle moto accompagnavano i pensieri dello spagnolo.
Beh, lo facevano quasi sempre, in realtà.

Marc sapeva che pensare troppo mentre si corre non faceva bene.
E nemmeno quando si vive, ovviamente.

In moto devi pensare solo a due cose: la gara e la vittoria.
Devi calcolare ogni tuo movimento.
Ogni traiettoria.

Ma, soprattutto, osservare gli altri.

Questo, fortunatamente, gli riusciva bene.

Una cosa che gli era sempre stata detta, anche quando prese la patente della macchina, fu che era più importante prestare attenzione a quel che fanno gli altri, rispetto a quello che facciamo noi.

Paradossale? Non così tanto…

-Ti stai schierando con il nemico per caso?- domandò Marc, alzando leggermente il tono della voce, senza la vera intenzione di sembrare arrabbiato.

Solo, pura enfasi.

Alex, ovviamente, in risposta ridacchiò: -Marc, finché Luca è nella parte nemica io sarò schierato con il nemico.-.

-No, tu non hai capito: qui, Valentino è il nemico. E non un nemico qualsiasi…-.
-Non la stai prendendo con filosofia, giusto?-.
-Filosofia? Alex… Io non so più perché ho accettato.-.
-Hai accettato perché ti ho costretto.-.
-Esatto!- sbottò Marc, cercando di non irritarsi troppo.

“Irritato”.
Meglio dire infastidito e confuso.

Molto confuso.

Si era fatto abbindolare da suo fratello come uno stupido.
Anche se non era davvero colpa di Alex.
Forse era colpa di Valentino, che l’aveva invitato?

Beh, se la pensava così voleva dire che in realtà era solo colpa sua, che era sciaguratamente uno dei piloti più bravi degli ultimi anni in MotoGP.

Non sempre essere i migliori era il meglio.

Velocemente capì che era solo e solamente colpa sua, e che quella “discussione” con suo fratello era futile.
Ma gli venne subito un altro argomento in mente, con suo fratello come protagonista assoluto.

Così, parlò: -Ma senti un po’... Su cosa ti scrivi con Luca?- domandò schiettamente.

Alex, dall’altro capo del telefono, borbottò qualcosa di confuso prima di un silenzio significativo.
-Adesso devo proprio andare, devo dare da mangiare… Alle piante!-.

Detto quello, ancor prima che Marc potesse solo avere l'idea di aprire la bocca per parlare, suo fratello chiuse bruscamente la chiamata.
Marc rise.

-Scemo…- borbottò sorridendo, infilandosi il telefono in tasca.

Ormai Marc era arrivato, da quanto aveva camminato mentre era in quella chiamata, vicino alla zona in cui stavano i ragazzi.
Sedie messe confusamente intorno a dei tavoli, zaini e roba ovunque. Altro che “senso di familiarità”.

Marc stava a guardare la scritta (un mega VR46 giallo fluo, un po’ tamarro) sullo sfondo nero del tendone, appoggiato a una staccionata.

Si stava godendo tutto quel che poteva, anche se “poco”, al massimo.
Ormai era lì, e voleva dare un senso a quella sua presenza, per quanto difficile potesse sembrargli senza correre.

Quando il suo telefono vibrò, per l’ennesima volta quel giorno ebbe paura che Alex fosse tornato a palla a non dargli tregua.
Così, tirò fuori il telefono velocemente e si appoggiò, voltandosi, con i gomiti sul legno della staccionata.

E scoprì che non era suo fratello, peggio.

Gemma aveva postato una storia.

Rabbrividì, chiudendo subito la notifica ed entrando su Instagram.
Quando fu lì si accertò di non andare sulla sua storia, e passò velocemente a quella di Marco.

Proprio in quel momento, mentre la sua storia finiva, sentì qualcuno arrivargli dietro.

-Marc!- esclamò la voce, che Marc ricondusse velocemente a Marco.

-Ecco… Parli del diavolo.-.
-Cosa?- chiese sorridendo il più giovane, avvicinandosi con un sorriso leggermente confuso ma innocente.

-Avete già finito?-.
-Se, meglio! Ci fermiamo per pranzo, poi torniamo dopo… Andiamo?-.

Marc annuì, iniziando a seguire il ragazzo con passo tranquillo.
L’altro sembrava più agitato? Almeno, più di quanto non lo fosse normalmente.

Marco sembrava un giocattolo caricato a molla.

Ogni tanto Marc si chiedeva come potesse essere così amico di Pecco e Celestino, due che sembravano avere un carattere “leggermente” diverso rispetto a lui.

Boh?
Forse era proprio quello il bello dell’amicizia?

All’improvviso, mentre Marc seguiva Marco con lo sguardo fisso sulla strada davanti a loro, quest'ultimo si fermò di botto voltandosi verso Marc.

Lo spagnolo fu subito confuso, e la faccia del ragazzo non lo aiutava a capire cosa avesse.

Aveva un sorrisetto strano, curioso ma strano.

-Marc, avresti qualche consiglio da darmi riguardo…- cominciò impacciato Marco, grattandosi la nuca con sguardo basso, evidentemente imbarazzato da quello che voleva dire.

-Ah, Marco? Vuoi un consiglio di quel tipo? Cioè, mi stai dicendo che ti troverai finalmente una vera ragazza?- sorrise Marc, piegando di lato la testa mentre fissava il ragazzo davanti a lui che però, contro ogni aspettativa, scosse la testa, diventando immediatamente rosso.

-No! O almeno, se vuoi sì… Ma non è questo il consiglio che voglio. Voglio, banalmente, un consiglio per un’amicizia.-.
-Amicizia tra virgolette, giusto?- domandò Marc, leggermente confuso ma sempre sorridente.

Faceva ridere che Marco si fosse rivolto a Marc proprio dopo che si era “lasciato” con Gemma poco tempo prima.
Ma non lo sapeva nessuno, ed era meglio così…

-No, amicizia vera… È una persona che ho molto a cuore, una delle più importanti per me. Però, non pensi che se gli dico quel che provo questa non mi voglia più come suo migliore amico? O peggio, mi faccia del male?-.

La voce di Marco era sincera, il che destabilizzò Marc.

Perché?

Perché a lui?

Lui che non era stato capace di non farsi scaricare dalla sua ragazza per colpa di un mondiale.
Che poi… Fosse stato quello!

-Beh, le donne sono tutte uguali. Più o meno… Secondo me dovresti valutare e tentare. Insomma, la prenderebbe bene? Anche se rifiutasse, continuerebbe a volerti bene? Addirittura, ricambierebbe?- Marc alzò le spalle in un gesto naturale, accennando un nuovo sorriso.

Anche Marco sorrise, poi si grattò la testa iniziando a camminare.

-Sì, penso che tu abbia ragione… Adesso, mi serve l’ultimo parere.-.
-Sono qui per questo. Penso?- ridacchiò lo spagnolo, trascinando con sé nella risata anche l’altro.

-Secondo te i trii funzionano?- chiese Marco, guardandolo dritto negli occhi.

-Mh… C’è più probabilità che funzioni una relazione romantica a tre che un’amicizia.- rispose l'altro in tutta sincerità.

Marco sorrise nel sentirsi rispondere così, e i suoi occhi si accesero di un pericoloso assenso per l’ultima frase, tanto che Marc si pentì per un istante di aver condiviso tale pensiero.

Eppure, mentre i due continuavano a camminare insieme in silenzio, Marc venne velocemente assalito da una strana sensazione.

 

Pecco.
Marco.
Celestino.

Okay, i tre “amici” c’erano.
Poi i sentimenti contrastanti (sicuramente per Pecco) anche.

Marc aveva capito tutto, e non ne era felice. O meglio, che gliene doveva fregare a lui?

Cosa doveva importargli?

Finché si parlava di suo fratello e di quello di Valentino era un conto.

Ma quei tre?
Quei tre usciti da una sitcom gay?

Non avrebbe potuto, e non avrebbe, fatto niente.
Avrebbe potuto giusto vedere tutto cadere in frantumi.

Perché sì, quello sarebbe stato il riepilogo.

Insomma, Pecco era sposato!
Poi, Celestino che accettava un ménage?

Così, Marc poteva solo starsene lì a guardare i tre ragazzi in fondo al tavolo, intenti a scherzare e ridere tra loro.

Che poi, tra tante chiacchiere, un minimo ce li vedeva pure bene insieme.

Nel mentre masticava quasi automaticamente il cibo che si infilava in bocca, senza farci caso, pensava.

Pensava come al solito a mille cose.
Pericoloso.

Pensava che era seduto troppo vicino a Valentino.

Pensava a quel che stava (palesemente) succedendo tra Alex e Luca.

Pensava che aveva ancora una settimana, se non di più, da passare in quella casa.

Pensava al fatto che prima o poi lui e Valentino si sarebbero dovuti affrontare.

Pensava al voler dormire.

Pensava che, paradossalmente, la giornata era passata in un soffio ed era distrutto.

-Noi ci guardiamo un film, o meglio ci proviamo…-.

All'improvviso la voce di Franky, che stava parlando già da tempo, risvegliò dai pensieri Marc.
Lo spagnolo distolse lo sguardo dai tre ragazzi nell’altro lato del tavolo per guardare l’uomo davanti a lui, che stava già iniziando a sparecchiare le sue cose.

-Se ti unisci possiamo far anche scegliere il film a te.- aggiunse Andrea, affiancandosi a Franky sorridendo e impilando dei piatti sopra a quelli che l’altro aveva in mano.

Marc mormorò un po’, pensandoci su.
Poi diede uno sguardo a Valentino, che l’altro ricambiò più che casualmente, e che lo fece rabbrividire.

Così, scosse prontamente la testa: -No grazie, sarà per la prossima volta. Preferisco andare a letto.-.

Franky e Andrea annuirono, evidentemente dispiaciuti dall’offerta rifiutata, e tornarono a fare quel che stavano facendo prima.

Per i venti minuti successivi Marc aiutò i ragazzi a finire di riordinare la cucina, cercando di non incrociare troppo Valentino o non entrare in discussioni in cui anche lui partecipava.

Era davvero stupida quella situazione.
Come lui, in fondo.

Gli unici veri momenti in cui Valentino e Marc avevano avuto un confronto, se così si poteva chiamare, erano stati due.

E chiamarli confronti era un eufemismo: erano più parole di circostanza senza un vero perché.

Capì che doveva fare qualcosa, ma non in quel momento.
Non ancora almeno.

Si trovò a uscire dalla cucina allo stesso momento di Valentino, ma non si diedero nemmeno uno sguardo.

Beh, in realtà Marc lo aveva guardato, ma l’altro non aveva ricambiato.
Ovviamente.

Fortunatamente si trovò a prendere la strada opposta a quella dell’uomo, per qualche fortunato motivo.
E si diresse in camera sua senza pensarci due volte o farsi corrompere dalle voci che provenivano dal salotto.

Quando fu nel corridoio che portava alla sua stanza: un semplice corridoio con solo la porta per la sua camera e quella di Valentino, e forse un’altra stanza sconosciuta poco dopo le scale.

Ringraziò che si trovava proprio in quel punto, abbastanza “morto”, dove passavano solo di rado i ragazzi per salire al piano superiore.

Marc camminava velocemente verso la sua stanza, gli sembrava di sentire i passi rimbombargli nella testa insieme ai pensieri.

Aveva bisogno di una bella dormita.

Ormai era arrivato davanti alla porta di Valentino, a qualche metro dalla sua, quando si fermò di scatto.
Il suo sguardo finì sulla serratura.

La maniglia sembrava quasi attirarlo come il canto di una sirena.

La curiosità gli dava uno strano impulso: quello di aprire ed entrare.

Dopo tutto Valentino lasciava aperto, aveva quel brutto vizio a quanto pare.

Sembrava quasi un invito.

-Però, se è aperta…-.

All'improvviso Marc si guardò intorno, ad accertarsi che non ci fosse nessuno.
E, anche se si sentiva “osservato” (più di quanto lo stiamo facendo noi?), allungò la mano.

Aprì e, cercando di far cigolare il meno possibile la porta, entrò, lasciandola accostata quel minimo per far entrare un po’ di luce.

Appena fu dentro si guardò intorno, la penombra della stanza che lasciava vedere ogni mobile in modo abbastanza nitido per capire cosa fosse.

Il primo a cui si avvicinò fu la cassettiera davanti al letto, e iniziò a guardare cosa ci fosse sopra.

Nulla di importante, o almeno finché non arrivò a trovare, piegata con cura, la copertina dell’altro giorno.
Quella che la figlia aveva dato a Valentino.

Restò qualche secondo a guardarla, poi la afferrò senza pensarci due volte.

La rigirò parecchio in mano, accarezzando il tessuto.
Guardò la tartaruga, il “segno” di Valentino, ricamato su un lato.

Restò soltanto a guardarla, ma poi se l’avvicinò leggermente alla faccia, per sentirne l’odore.

Non sapeva il perché di quel gesto, come se potesse permettersi di entrare in camera di Valentino e poi di toccare cose di sua figlia piccola.

Però, sentire l’odore di Valentino, dato che l'oggetto era stato a lungo nella sua giacca… Fu strano, ma allo stesso tempo fantastico.

Eppure, quando si rese conto di cosa stava facendo, il sorriso che aveva sulle labbra si sciolse velocemente.

Lasciò andare quel che aveva in mano, appoggiandolo senza curarsi di ripiegarlo e si guardò intorno, come se qualcuno lo avesse appena scoperto.

-Oh… Me ne devo andare.- disse in fretta, lasciando l’ultimo sguardo alla cassettiera per poi uscire velocemente.

Nella fretta che aveva nel fare ciò si scordò completamente di chiudere, o almeno accostare quel che bastava per far pensare a una semplice folata di vento che l'aveva spalancata per casualità, la porta.

Pensò solo al chiudersi in camera il più velocemente possibile, dare tre mandate e non accendere nemmeno la luce.

Quando il pensiero che qualcuno potesse averlo visto, sensazione che aveva abbastanza forte fin da quando era entrato in camera di Valentino, lo fece rabbrividire.

Non si curò nemmeno di accendere la luce e alla cieca andò dentro al bagno, accendendo la luce dello specchio.
Mentre si guardava allo specchio, per un momento ogni pensiero nella sua testa sembrò più ovattato, quasi lontano.

Si passò una mano tra i capelli, scuotendo la testa mentre fissava il suo riflesso nello specchio: —Perché l’hai fatto?—

La domanda se la pose quasi con la risposta sulla punta della lingua, con spontaneità, quasi a poter e voler validare ciò che aveva fatto.

Che poi, non era tanto “scusabile”.

Insomma, si era intrufolato nella camera di Valentino, aveva toccato la sua roba, una cosa di sua figlia per giunta! E poi, con la speranza di non essersi fatto vedere, era scappato.

-Ma l’ho chiusa la porta?-.

Anche quella domanda gli sorse spontanea.

Eppure, nessuna risposta valida.

Aveva avuto voglia, e semplicemente, aveva ceduto all’impulso.
Stupidamente…

Notes:

Beh, vi è piaciuto?

Come al solito vi invito a lasciare un commento o un Kudos per far vedere che l'opera è stata apprezzata anche un minimo!

Buon ritorno a scuola, oltretutto, a tutti gli studenti esauriti come me! :)

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 8: Alex?

Notes:

Niente scuse specifiche, solo scuola e impegni vari. ;/

Dato che devo recuperare tipo tre settimane senza aggiornamenti cercherò di darmi da fare, ma potrete sicuramente scusarmi se non riesco ad aggiornare!
Il liceo sa essere difficile certe volte! ;)

Ma adesso ci sono, ed ho aggiornato.
Godetevi ciò e attendete con trepidazioni che io sia in grazie...

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Marc non era mai andato a letto così presto.
Certo, quando aveva da gareggiare poteva andare davvero presto… Ma alle otto? Okay, era davvero troppo.

Eppure, doveva dormire.

Non solo era un bisogno “reale” e fisico, ma anche qualcosa di immensamente mentale.

Doveva staccare.
Tenere la mente calma e silenziosa.

In generale, se la pensava così (e forse così era?), ogni pensiero, anche il più stupido, serviva a tenere la mente occupata.

Si distraeva.

E odiava quando tornava a pensare a ciò che lo assillava.

Ma in quel momento, oltre a dormire, correre ed essere assillato da suo fratello, poteva fare ben poco per distrarsi.

Anche quando pensava a qualcosa che non fosse Valentino, quel pensiero lo rimandava a lui.

Pensava a Pecco?
Pensava a Valentino.

Pensava ad Alex?
Pensava a Luca… Che, senza nemmeno dirlo, era il più strettamente collegato a Valentino.

Pensava al mondiale che aveva vinto?
Pensava a quello che “aveva fatto perdere” a Valentino.

Era snervante.

Una brutta reazione a catena.

In più, se ci metteva che era in casa sua, nella camera accanto (in cui era appena entrato) e che tra i loro fratelli c’era qualcosa di palese, impazziva solo di più.

Meglio dormire, a questo punto.

 

Verso le dieci, ormai, Marc era nel mondo dei sogni già da due ore.
Fortunatamente era crollato subito.

Beh, in realtà non così “fortunatamente”.

Più sonno significava un sogno più lungo.
Un sogno più lungo significava una notte peggiore.

Marc sapeva che, anche se non era proprio quello il reale meccanismo, per lui funzionava così.

Sciaguratamente, in quel momento, mentre veniva riportato violentemente alla realtà dal suo sonno, nella stanza accanto Valentino entrava nella sua camera dicendo:
-Ma… la porta?-.

Questo fece sobbalzare Marc più del previsto.
Si sedette immediatamente sul letto, girando la testa verso la parete dietro di lui di scatto, ascoltando con più attenzione l’uomo nell’altra stanza.

Il passo era leggero; Marc non si sarebbe mai svegliato se l’uomo non avesse parlato.

Mentre faceva più attenzione a ciò che succedeva nella camera accanto, senza nemmeno respirare per paura di farsi sentire attraverso le pareti, pensò alla divertente visione di Valentino che parlava da solo.
Certo, improbabile…

Ma, come ogni cosa improbabile, divertente.

Sfortunatamente non capì niente di quello che stava succedendo, anche perché Valentino si rivelò più silenzioso di quanto Marc potesse immaginarsi.

Si immaginò soltanto.
Probabilmente aveva squadrato la camera confuso, o forse non aveva fatto caso a nulla. Ma Marc sapeva che Valentino si era accorto di qualcosa.

Che qualcuno, che non doveva essere lì, c’era stato.

In generale Marc pensava di non dover stare lì, in quella casa.

 

Quella mattina Marc aveva lasciato appositamente il telefono in camera sua, chiuso dentro a un cassetto. E non aveva nemmeno intenzione di tirarlo fuori fino alla sera.

Ma, pian piano che il Ranch si allontanava e le strade sterrate si facevano largo tra le campagne, Marc iniziò a pensare che non fosse stata la cosa migliore uscire a correre quella mattina.
Per di più, senza telefono.

Ma, se erano venti minuti che correva indisturbato, forse un motivo c’era.

E così, il suono ritmico delle scarpe sulla terra.
Il respiro leggermente pesante.
Gli uccellini che cinguettavano tra le chiome degli alberi.

Con quale coraggio era andato a correre dopo quello che aveva fatto la sera prima? Con quelle poche ore di sonno? Con il rischio di tornare in casa e ritrovarsi Valentino che blocca la porta a mo’ di buttafuori…

Solo brutte immagini.

Così pensò: -Che combineranno i ragazzi?-.

Se lo chiese, rispondendo con una smorfia curiosa.
Dopotutto, lui era andato a correre per “scappare”... ma gli altri avevano poco da nascondere.

Gli faceva molto ridere il fatto che Valentino si trovasse a suo agio con dei ragazzi del genere in casa.
Insomma, Marc non immaginava cosa avessero combinato Celestino e Marco insieme!

Eppure, una leggera morsa gli prese lo stomaco.

L’Academy era una famiglia.
E lui non ne faceva parte, non poteva capirli.

Non poteva capire come si volessero bene.

Si sentì solo.
Lì, chi non aveva una ragazza aveva gli altri… O come minimo un cane.

Lui, nemmeno quello ormai…
Ma aveva un bellissimo nono titolo, che però non colmava quel “vuoto”.

Voleva lo stesso.
Che, paradossalmente, aveva. Ma ovviamente non lo vedeva.

Più correva, più i suoi pensieri correvano con lui.
Non lo lasciavano mai.

Per poco pensò che i suoi pensieri avessero un suono strano: un cigolio di una catena arrugginita.

Ridacchiò, scuotendo la testa.

-Mattina perfetta per correre, vero?-.

La voce, la voce di Valentino, lo fece sobbalzare.
Il sorriso che aveva sfumò a una velocità disumana, tramutandosi in una faccia perplessa.

Marc si fermò all’istante, girandosi verso la sua destra, dove Valentino, in sella a una bicicletta gialla che come minimo aveva la sua età, si era fermato a sua volta.

Aveva gli occhiali da sole e un cappellino con il suo 46 messo al contrario.
E quel sorriso.

Marc non poté che restare lì a guardarlo.
Che fare? Oltre che sprofondare nella vergogna e nella paura, ovviamente.

-Marc… buongiorno.- sorrise Valentino, allargando gli angoli della bocca ancora di più.

All’altro sembrò scortese non ricambiare il saluto, così la sua bocca si piegò in un principio di sorriso e replicò: —Vale…—

Vale?
Okay… lo aveva seriamente chiamato Vale?

No, non andava bene.

Marc impallidì immediatamente, spalancando gli occhi, mentre Valentino (o dovrei dire “Vale”, eh?) ridacchiava.
L’italiano cercò di farla sembrare una risata di circostanza, e non una ovvia presa in giro a ciò che lo spagnolo aveva appena fatto.

Così, cercò di rimediare parlando: -Non pensavo di trovarti sveglio così presto, almeno non in questa circostanza.-.

-Che circostanza?-.
-Che, sai… Pensavo che l’avessi presa come una vacanza. Per i ragazzi e per me è una cosa del genere, dopotutto. Poi, non stare a guardare il nostro modo di rilassarci.-.

Marc annuì quasi confusamente, ma capendo bene ciò in cui Valentino voleva andare a parare.
Beh, se lo avesse invitato a correre, si sarebbe “rilassato” anche lui.

Decise però di non dire nulla, di non peggiorare la situazione e aspettare che la infallibile dialettica di Valentino lo salvasse.

-Senti, non so te, ma io inizio ad avere fame… Andiamo, dai.- L’uomo più grande disse solo quello, facendo un cenno verso la strada che continuava davanti a loro, e afferrando saldamente il manubrio della bici.

Così, dopo un veloce cenno di assenso da parte di Marc, i due si incamminarono.

Rumore di passi e di quella stupida vecchia bici.

Marc non riusciva a non dare uno sguardo, ogni tanto, all’altro.
Mentre Valentino sembrava tutt’altro che interessato.

Brutale.

-Come sono i ragazzi? Secondo te, ovvio… Sei un occhio esterno.- Valentino aprì bocca senza preavviso, facendo voltare Marc ancor più confuso.

-Mh, non saprei... i soliti?- rispose titubante Marc.
Ma che voleva adesso?

Non gli bastava quel che aveva già fatto?
Adesso voleva pure una seduta di gossip!

-“I soliti”, eh?- L’italiano scosse la testa, poco sorpreso dalla semplicità della risposta che gli era arrivata.
-No, dico: chi sono io per dirlo? Boh, mi sembrano quasi tutti normali.- Alzò le spalle Marc, tenendo lo sguardo fisso sulla strada ai suoi piedi.

Valentino ridacchiò un altro po’, senza un effettivo senso, ma Marc non poteva davvero lamentarsi.
La sua risata, anche se portava una dose di fastidio non indifferente nello spagnolo, non riusciva a scordarsela.

In un periodo della sua vita Marc riuscì a scordarsi la faccia, e quel maledetto sorriso, di Valentino.
Nei suoi sogni appariva solo ciò che la mente aveva trattenuto quasi per caso, in chissà quale meandro!

Eppure, anche se senza volto, una cosa persisteva: la risata.
Certo, no… La famosa risata di Rossi, al pari del sorriso.

In quel momento, mentre i due si avvicinavano a casa, a Marc, paradossalmente, dispiacque che l’uomo avesse inutilmente interrotto il flusso dei suoi pensieri (che usava per “allontanarsi” dall’altro).

-Adesso, seriamente: Marc, hai notato qualcosa nei ragazzi?-.

La domanda di Valentino suonò strana.
Non c'era cattiveria o malizia, ma qualcosa di confuso: curiosità sincera, forse, o preoccupazione velata?
Marc non si voltò nemmeno, restò interdetto e basta.

Non gli servì pensare, già sapeva.
Probabilmente Valentino si riferiva allo strano comportamento di Marco, per quanto strano già fosse, che da quando erano lì era solo peggiorato.

O forse Luca?
Aveva capito che scriveva compulsivamente con suo fratello… Perfetto!

O forse Franky e Andrea, gli unici che mantenevano un profilo basso e serio, si erano rivelati i peggiori?

Beh, qualsiasi cosa a cui Marc provava a pensare era un disastro.

E pensare che Marco, un giorno prima, aveva chiesto proprio a lui un consiglio per “dichiararsi”... peggiorava solo tutto.

-No. O almeno, niente di particolare.- Marc rispose, lanciando un veloce sguardo a Valentino, che però si rivelò una lunga occhiata.

In quel momento, mentre lo fissava attentamente, Valentino riportò lo sguardo su di lui e i loro occhi si incrociarono.
Un lungo brivido corse sulla schiena di Marc, lasciandolo senza fiato per qualche minuto.

L’italiano annuì, ma Marc notò sulla sua faccia un’espressione alquanto velata di dubbio misto a: -Tanto so già tutto, e se non lo so, lo sospetto.-.

 

Pian piano che i due si avvicinavano alla casa, Marc percepiva una strana aura che lo avvolgeva.
Era tutto tranne che rassicurante, e sentirla addirittura dall’esterno peggiorava tutto!

Eppure, lì per lì, non seppe spiegarsi cosa potesse essere.

Aveva Valentino accanto, che lo accompagnava da metà viaggio; forse era solo quello?

Comunque, Valentino lasciò la sua vecchia bici appoggiata al muro subito fuori casa e aprì la porta, tenendola addirittura per Marc.
Lo spagnolo non poteva smentirsi: quello l’aveva “eccitato” in qualche strano modo.

Forse, ancora un po’, a lui ci teneva…

Fatto sta che la strana aura che Marc respirava già da fuori, dentro peggiorò ebbasta.
Non ci fece molto caso, in realtà: la casa era già nel vivo della mattina e dell’inevitabile caos.

Se non aveva visto male, giurava di aver visto Andrea passare con in testa un cerchietto con due orecchie da gatto tutte rosa.

Valentino appoggiò le chiavi sul mobile vicino alla porta, lanciandole con una delicatezza pari a zero, che fece quasi spaventare Marc, e continuò verso la cucina.

Marc lo seguì.
All’interno della stanza c’era solo Franky, che vicino a una finestra scrutava l’esterno con aria assorta.

Poco dopo arrivò di filata anche Andrea, che si limitò a dare una pacca sulla spalla di Valentino, che ricambiò prontamente con un semplice -Oh…-.

A quel punto Franky si voltò, sorridendo nel vedere i tre lì.
-Buongiorno! Sentite, il caffè è già sul fuoco. Fate voi.- si limitò a dire, aprendo l’anta della finestra prima di andarsi a sedere al tavolo.

Marc fu sorpreso di non vedere nessuna espressione strana sulla faccia dell’uomo; anzi, lo turbò più l’imperturbabilità con cui sorrise.
Anche Andrea sghignazzò qualcosa tra sé e sé e iniziò a prepararsi la colazione.

Valentino era già vicino ai fornelli, iniziando ad armeggiare con mille cose.
Marc si avvicinò a sua volta, intento ad aspettare che l’uomo finisse così da prepararsi una tazzina di caffè anche per sé.
Peccato che calcolò male tempi e misure, e si ritrovò accanto a Valentino.

L’italiano non se lo fece ripetere due volte, e come se sapesse già come doveva andare, afferrò due tazzine dal pensile.

In quel momento, mentre Marc spalancava gli occhi terrorizzato, lo sbadiglio di Luca risuonava nella stanza, annunciando però l’arrivo di Pecco.

Marc non si voltò a guardare nessuno, era focalizzato su quel che stava succedendo accanto a lui, ma diede un’occhiata di nascosto.

Luca, addormentato a metà, provava a digitare sul telefono e Pecco sembrava aver vissuto una guerra.

Valentino, però, iniziò a versare il caffè, così Marc si trovò concentrato nuovamente su di lui.

Aveva uno strano sorrisetto, quasi impercettibile.
Marc, quella bocca, avrebbe preferito farla star zitta…

Come non detto: Marco e Celestino entrarono uno dopo l’altro in fretta, facendo muovere la felpa di Luca, che, ancora imbambolato sulla porta, alzò lo sguardo confuso.

Poi due sedie che strisciavano sul pavimento fecero voltare Marc e Valentino, come tutti i presenti lì, verso di loro.

Immediatamente Pecco andò diretto verso il frigo e, piantandosi lì davanti, iniziò a scrutare qualcosa dentro. Qualcosa che probabilmente non c’era, o che non stava nemmeno cercando.

Quando Pecco passò davanti a Marc, lo spagnolo notò qualcosa di sospetto, quasi un senso di vergogna, nei suoi occhi.

Intanto Marco e Celestino si lanciavano occhiate strane, o non si guardavano proprio.
Anzi, Marc avrebbe giurato di aver visto rabbia e tristezza che andavano a creare una smorfia orrenda sui loro volti.

La tensione cresceva in modo strano, tanto che i due sembravano completamente rimbambiti.

Marc e Valentino, presi da chissà quale stesso impulso, si girarono e si guardarono confusi.
In quel momento non erano più due vecchi rivali, erano solo due persone genuinamente confuse.

 

-Pensi che ci sia qualcosa di strano tra Marco e Cele? Io non saprei, non mi sembravano i soliti…- disse Franky, con una “naturale” curiosità preoccupata.

Marc si grattò la testa con una smorfia, cercando una risposta tra i sassi della strada.
Come se un sassolino potesse urlare le soluzioni ai grandi quesiti della vita…

Per tutto il giorno Marco, Celestino e Pecco erano stati semplicemente… strani.
Senza giri di parole.

Anche senza grandi ragionamenti alla Marc Marquez si poteva capire che qualcosa non andava, qualche gran problema c’era.

Non si erano parlati.
E peggio, non si erano guardati.

O meglio, uno sguardo Marc l’aveva visto: da parte di Marco, breve, timido. Ma poi, senza essere ricambiato da nessuno dei due ragazzi, era stato ritirato.

Marc non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo, e anche se sapeva che ci sarebbe riuscito con un piccolo collegamento banale, era l’ultima cosa di cui aveva voglia.

In quel momento pensò anche a quante notifiche avesse sul suo telefono, che aveva volutamente ignorato e lasciato dentro il comodino.
Probabilmente qualche stupido meme da parte di Alex, o il tag in un post di una qualche pagina sportiva su Instagram.

Eppure, aveva un altro brutto presentimento… Forse si era perso qualcosa, qualcosa di grande?

In più, Luca era rimasto a casa.
Valentino aveva insistito per farlo venire, ma il fratello era stato particolarmente fermo sul voler restare a casa.
Il bello? Niente scuse stupide, solo un volere preciso.

Valentino alla fine aveva accettato, e dopo aver lasciato una smorfia a Marc (come se fosse colpa sua), se ne era andato.

-Ieri sera non erano così, nessuno dei tre! Cavolo, non riesco proprio a spiegarmelo.- rincarò la dose Franky, con una visibile confusione nel volto.

-Ah, forse è successo qualcosa stamattina e non abbiamo visto niente?- rispose Marc, confuso almeno quanto l’altro.

-Secondo te centra anche Luca?-.
-Luca? Nah, non c’è, lo vedo…-.
-Infatti, Luca lo vedo meglio con tuo fratello.- ridacchiò Franky, facendo voltare verso di lui Marc con un'espressione divertita.

-Senti, i nodi vengono sempre al pettine. Suppongo sia questione di tempo.— disse infine Marc, con un’alzata di spalle estremamente tranquilla, e Franky annuì, seguendo il pensiero dello spagnolo.

La questione sembrava quasi non toccarlo minimamente.
O almeno, voleva far finta che fosse così!

 

A casa: cena, letto e sonno profondo.
Quello era il programma di Marc quella sera.

Quella giornata era stata dura.
Mentalmente dura, ovviamente.

Il suo fisico aveva avuto abbastanza “stimoli” per sentirsi bene.
La sua mente, invece, torturata ebbasta.

Voleva solo che tutto ciò che gli era successo dalla mattina a quel momento: da Valentino agli altri tre, sparisse lasciando spazio a chissà quali sogni.

Eppure, quando si trovò a entrare in casa, l’ultimo ad entrare, il brusio che proveniva dal salotto non lo convinse.
Come se tutte le voci gli urlassero in coro che non poteva riposarsi, non in quel momento, almeno.

Così, travolto da una pessima sensazione e da una curiosità tipica, si incamminò in salotto con ancora il piumino addosso.
Arrivò nella stanza e trovò quasi tutti i ragazzi, chi più vicino e chi più lontano per ovvi motivi, attorno al divano.

E lì sedute due figure.
Due teste.
Una era sicuramente Luca, che mancava all'appello tra gli altri.

E l’altra…

-Non può essere.- mormorò piano Marc con un ghigno confuso, avvicinandosi con passo veloce al divano.

L’altra testa, fin troppo riconoscibile per non essere lui.

Marc arrivò velocemente al divano, e lì, già pronto con un sorriso sulle labbra e la testa girata verso di lui…

-Ciao fratellone…-.
-Alex?-.

Notes:

Spero di non aver "perso la mano"!
Spero che vi sia piaciuto... E niente, si spera sempre?

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 9: The Marquezes Attack Again

Notes:

Questo più che un vero capitolo sarà un meme sul ricongiungimento dei Marquez. Perché? Perché no?

Con questo voglio anche sancire il mio ritorno, e (per l'ennesima volta) scusate per l'assenza! ;/

Oltre tutto sto vedendo che l'opera sta venendo accolta bene, allora, sperò che vi piaccia sempre di più! :)

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

-Alex?- ripeté confuso Marc con più decisione, parandosi davanti a suo fratello, accigliato e con la bocca spalancata.

Si chiese velocemente come fosse arrivato lì… Sia lui che il fratello.

Venti minuti prima chiacchierava con Franky dello strano ambiente che si respirava in casa, causato da chissà che casino tra Marco, Celestino e Pecco.
E adesso si trovava a guardare suo fratello seduto, fin troppo vicino a Luca, sul divano di casa di Valentino.

I ragazzi attorno a loro non si curarono dell’arrivo di Marc, tanto meno della faccia sconvolta e accigliata che aveva.
Continuavano a chiacchierare tra loro tranquillamente, ridendo e scherzando come se nulla fosse.

Marc era così occupato a guardare il fratello che degli altri se ne fregò alla stessa maniera.
Per un momento, però, si domandò se Marco e Celestino stessero chiacchierando con gli altri. E se Pecco, che era la voce che si sentiva di più, stesse davvero a pensare a quel che diceva.

Ma sinceramente, a lui che gliene fregava?
Aveva un nuovo, ma vecchio, problema di nome Alex Márquez.

-Allora, non mi saluti più? Abbracciami, vecchio.- Alex, facendo finta di nulla, con un sorriso nascosto che tradiva molte cose, afferrò con forza le braccia del fratello, tirandolo giù per abbracciarlo.

Marc, come un fantoccio, si fece abbracciare dal fratello.

-Marc? Non sei felice che Alex sia qui?- chiese Luca, facendo un sorriso genuino e privo della malizia dell’altro.

Lo spagnolo balbettò un po’ qualcosa di confuso, poi scosse la testa: -No, solo… È stato inaspettato.-.

Luca e Alex risero all’unisono, e Marc poté solo sentirsi stupido mentre li guardava.

Okay, adesso aveva tre problemi!
Luca e Alex.
Marco, Celestino e Pecco…

E il peggiore.

Valentino.

A quel punto, attirato probabilmente dalla confusione tipica dei ragazzi che proveniva dal salotto, Valentino entrò.
Il suo sguardo finì immediatamente su Luca e Alex, e dopo un secondo alzò la mano in saluto allo spagnolo appena arrivato.

-Ah… Alex.- si limitò a dire, con un accenno di sorriso, prima di sparire nuovamente verso il corridoio che portava alla sua camera.

Alex aveva velocemente ricambiato il gesto, causando una smorfia indescrivibile a Marc.
Marc che, appena riportato lo sguardo sul fratello, gli disse poche semplici parole, quasi sussurrate: -Dopo ci facciamo una bella chiacchierata.-

A quel punto, sparì anche lui, lasciando su Luca una faccia confusa che però si tramutò velocemente in una risata condivisa con Alex.

 

A cena Marc sperava di affogare nel bicchiere ed eliminare tutti i problemi una volta per tutte.
Peccato che non fosse in una storia fantasy, ma nella dura e cruda vita vera.

Eppure, la convivialità che ormai si sorbiva da giorni e la presenza di suo fratello rendevano tutto più caldo e familiare.
Ma lui, in quella familiarità, per quanto la invidiasse, non ci voleva proprio stare.

Il mormorio divertito.
I piatti e le posate che sbattevano.
Il profumo della cena.

Quando entrò in cucina, tutto ciò si scagliò contro di lui come una coperta pesante, e lo avrebbe appesantito per tutto il tempo…

Non ne aveva proprio voglia.
Ma paradossalmente era tutto “bellissimo”.

Ecco… forse “bellissimo” era un po’ troppo.

Marco e Celestino non si incrociavano nemmeno.
Pecco li guardava in pena.

Luca e Alex gli ridevano dietro a ogni passo, e quando Marc si girava loro gli sorridevano.

Valentino teneva un po’ troppo gli occhi su Marc. Troppo.
Dal totale disinteresse a quello. Sì, troppo!

Andrea e Franky sembravano semplicemente una vecchia coppia.

Patetico.
Patetico come Marc si meritava.

Ma il vero culmine della cena arrivò quando, mentre tutti si stavano per sedere a tavola, Valentino parlò: -Alex lo mettiamo in camera con Luca, no?-.

Marc si bloccò di colpo alzando la testa sugli altri.

-Eh?- esclamò, facendo girare tutti verso di lui.
-Cosa? C’è qualcosa che non va?- rispose immediatamente Valentino, con uno sguardo sinceramente confuso.

Marc, resosi conto dell’exploit appena fatto, scosse la testa sedendosi. -No, dico… Ah.- disse poi, alzando le spalle con una finta indifferenza patetica.

A farlo imbestialire soltanto di più fu il sorrisetto di Alex.

-Piccolo bastardo…- mormorò, mentre nella stanza risuonava un “buon appetito”.

 

Mentre gli altri si preparavano per guardare un film, probabilmente l’ennesimo di Aldo, Giovanni e Giacomo, Marc si preparava mentalmente il discorso da fare al fratello.

Così, quando tutti si diressero in soggiorno tra mille chiacchiere, lo spagnolo era appoggiato cupamente a una parete, aspettando l’altro.

L’ultimo a passare fu Alex, che si fermò prima di entrare, girandosi verso il fratello con una faccia divertita e un sopracciglio alzato.
Marc si limitò a fargli cenno con la testa di seguirlo fuori, e si incamminò.

Fuori, dopo che Alex l’aveva seguito ridacchiando e scuotendo la testa, Marc si fermò a fissarlo e poco dopo, senza dire niente, lo fece sedere di forza sullo scalino della porta.

-Cosa sei venuto a fare, eh?- gli chiese, ma Alex alzò solamente le spalle.
-Ti ho chiesto una cosa. Hai limonato così tanto con Luca che hai perso l’uso della lingua?- chiese poi, spalancando leggermente gli occhi alla sua stessa frase.

Alex si sforzò ancor di più per non ridere, e gli uscì una frecciatina in cambio: -E tu? Hai perso l’uso di qualcos’altro con Vale?-

Marc sbuffò e lasciò andare una pacca sulla testa del fratello che, a quel punto, iniziò a ridere sguaiatamente.

-Ma la smetti? È una situazione critica e tu fai il cretino…-.
-Critica lo sarà per te, fratello. Io sono venuto qui per divertirmi e lo farò anche se tu non collabori.-.
-Ah, certo. E ti ha invitato Luca, fammi indovinare.-.
-Esatto!-.

Marc scosse la testa, non credendo nemmeno lontanamente alle parole che il fratello stava farfugliando tra le risate.
Ma Alex era sincero, fin troppo, e a quel punto sbuffò leggermente.

-Dai, Marc, non penserai davvero che mi sono presentato di mia spontanea volontà solo per romperti le palle?-.
-Sì invece, è proprio quello che penso.-.
-Tu sei proprio pazzo, il nono dà alla testa a tutti allora. È un dato di fatto.-.

Marc incrociò le braccia, fissando accigliato Alex, che però sorrideva nell’ennesimo tentativo di non scoppiare a ridere.

-Marc… Questa è una questione tua e solo tua, purtroppo. Sai quanto vorrei aiutarti, no? Peccato che non possa, anche perché non saprei come. Insomma, accendi il cervello. Fammi godere un po’ Luca e rimetti a posto ciò che devi con suo fratello…-.

Le parole di Alex, dette con quella voce sincera mascherata da alcune risatine, colpirono Marc come uno schiaffo.

Non si sarebbe mai aspettato qualcosa di tanto saggio da Alex.
Tanto meno in una situazione del genere, su un argomento del genere.

-Apri gli occhi.- disse poi il fratello più piccolo, facendo tornare l’attenzione di Marc su di lui.
-Apri gli occhi?- ripeté piano, con l’altro che annuiva.

-E anche qualcos’altro…- detto quello, Alex alzò le spalle, mordendosi la guancia per non scoppiare nell’ennesima risata, che quella volta sarebbe stata il culmine.

Marc si accigliò e, capendo il doppio senso non richiesto, afferrò il fratello (troppo occupato a ridere, adesso) per farlo alzare e buttarlo dentro casa.

-Fanculo.-.
-Dai, Marc!-.

Marc restò solo fuori, con il freddo che si infilava ignorantemente dentro il suo maglione e lo faceva tremare.

Eppure, sentì qualcos’altro.
Un brivido, ma non di freddo.

Non era un sentimento.

Era una sensazione.

Quella sensazione lo portò a girarsi, guardandosi attorno.
A quel punto cercò qualcosa nelle finestre buie della casa, e lì, a far capolino, sembrava esserci una figura.

Anche se non vide nessuno di concreto, sapeva che qualcuno era lì.
A guardarlo. E non era un’ombra che il suo cervello aveva creato nel buio…

-Apri gli occhi, Marc…- si mormorò, scuotendo la testa

Notes:

Qui per dire che io le dinamiche tra Marc e Alex me le immagino davvero così!

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Chapter 10: What A Bad Dream!

Notes:

Forse, e dico solo forse, nel prossimo capitolo potrebbe arrivare qualche vero risvolto...

Basta aspettare, sperare e leggere quel che ho già servito!

Detto questo vi lascio alla lettura ;)
Per altro, note finali!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Le luci erano fredde, sembravano quasi entrargli nell’anima oltre ad accecarlo ignorantemente.
Gemma gli avrebbe chiesto perché teneva gli occhi chiusi, e lui si sarebbe dovuto inventare qualcosa.

Avrebbe voluto chiederle di spegnerle, di tenere la porta socchiusa e far entrare solo un piccolo spiraglio di quella del corridoio fuori.
Eppure lei continuava a dire qualcosa riguardo i dottori, gli infermieri…

Marc non capiva perché si trovava lì.
Nuovamente. Dopo anni.

Voleva tornare a casa e abbracciare il suo trofeo con entrambe le braccia.
Ma quel braccio che non riusciva a muovere, con quella cicatrice?

Avrebbe voluto baciare il suo trofeo, allora.
Baciarlo.

E non essere baciato e abbandonato da Gemma!

Ah, era così confuso.

Ma ormai era solo in quella camera d’ospedale.
Solo con quelle luci che gli entravano nell’anima e mettevano in luce tutte le cose cattive che aveva fatto.

Ma lui non era cattivo.
Qualcun altro era sempre stato cattivo con lui.

O meglio, lui l’aveva sempre pensata così.
Ma, come in ogni storia, ognuno vede il cattivo dove vuole.

Anche lui lo era stato, dopo tutto, anzi, lo era ancora per molti.

Però, nemmeno i cattivi si meritano di stare così soli.

Forse qualcuno lo ascoltò, per una buona volta lo capì anche…
Girò la testa verso la porta: ecco Valentino!

 

Ah, che brutto sogno!

Marc non aveva parole.
Non aveva la forza nemmeno per fare niente.

Si trovò, così, sdraiato sul letto con lo sguardo fisso sul soffitto, senza più sonno o forza per pensare di alzarsi ed andare a correre.
Per di più, era troppo presto; i ragazzi non si sarebbero svegliati prima di un’ora.

Ma dopo dieci minuti, che passarono come ore, sentì l’impulso di fare qualcosa che non fosse respirare e non sbattere nemmeno le palpebre.

Ancora addormentato, si alzò quasi in automatico, e non per un vero input dal suo cervello.
Afferrò la felpa che teneva sulla sedia lì vicino, se la infilò senza nemmeno badare a tirarla su fino in cima.

Tanto doveva andare in cucina a spararsi un caffè, e a quell’ora chi mai ci sarebbe stato?

Uscito di camera per la prima volta, si fregò di chiudere la porta come se fosse quella di un caveau; probabilmente il suo cervello era troppo stanco e provato per ricordargli qualcosa del genere.

La casa era silenziosa, quasi gli faceva paura sentire il suo respiro così bene.

Non pensava a nulla in realtà, ma un pensierino andò a Luca e a Alex.
E Valentino, ci mancherebbe…

Arrivò velocemente in cucina, anche se il suo passo era indeciso e stanco.
Era così stanco e voglioso di un bel caffè che sentiva già l’odore inebriargli il cervello.

-Assurdo…- mormorò con un sorrisetto mentre entrava nella stanza, stropicciandosi un occhio.

Quando li riaprì, fermo sull’uscio, si trovò davanti Valentino, che da davanti ai fornelli lo fissava in un mix di curiosità e confusione.

Marc restò lì a fissarlo a sua volta, senza dare la minima idea di volersi muovere o fare qualcosa.

Stavano lì, a fissarsi.

-Marc? Così presto, vai a correre?- domandò Valentino, grattandosi la nuca.

Marc non gli rispose, e non diede nemmeno nessun cenno con il capo.
Valentino probabilmente pensò che l’uomo doveva essere sonnambulo, e alzò le sopracciglia.

-Ah… Vuoi un caffè?- tentò a quel punto l’italiano, indicando la moka con un’alzata di spalle e un leggero sorriso.

Marc annuì, e dopo essersi stropicciato un’altra volta la faccia parlò: -Sì, ne ho davvero bisogno.-.

Detto ciò, si andò a sedere al tavolo, lasciandosi andare sulla sedia di peso e appoggiandosi con i gomiti sul piano.

Valentino arrivò poco dopo con una tranquillità davvero invidiabile e si portò due tazzine, poi tornò indietro a prendere la moka fumante.
Non prese zucchero o altro, si sedette davanti a Marc e versò due caffè amari.

Amari come la questione.

Marc, che stava lì con le mani sulla faccia, nel vano tentativo di svegliarsi un minimo, guardò l’uomo fare ciò da un piccolo spiraglio tra le sue dita.

Valentino adesso era seduto davanti a lui, le braccia incrociate sopra il tavolo e lo sguardo fisso.
E un piccolo sorriso, come ciliegina sulla torta obbligatoria.

-Stai bene?- domandò poi, quasi come presa in giro dello spagnolo.

-Mh? Perché non dovrei?- rispose prontamente Marc, quasi preso da un'improvvisa scossa.

Valentino alzò le spalle, per giustificare la domanda, e prese un sorso del suo caffè.

-Forse ho dormito male.- disse poi Marc, con tono abbastanza vago.
Beh, mica poteva dirgli del sogno?

-Ah, c’era freddo? Dovrei accendere i termosifoni al massimo a questo punto, me l’ha detto anche Luca…-.
-No, non avevo freddo. Anche se, forse, un po’ di spifferi arrivano. È altro, non ti preoccupare.-.

Marc prese un sorso di caffè, cercando di non fare una smorfia per il caffè davvero troppo amaro per la sua bocca ancora impastata dal sonno.

-Ci sono problemi con tuo fratello?- chiese all’improvviso Valentino, cogliendo di sorpresa Marc.

Lo spagnolo sapeva che l’uomo sarebbe uscito con domande difficili e questioni strane, ma non fino a quel punto.
E lui, che ne sapeva? E soprattutto, che gliene importava?

-Marc… Che succede con Alex?-.

Il modo in cui l’aveva chiesto.

Come aveva detto i loro nomi.

A Marc sembrò quasi quando, da piccoli, lui combinava qualcosa al fratellino, e la madre, accorgendosene, chiedeva cosa fosse successo.

-Niente, io e Alex siamo così. Cose tra fratelli, sai?- rispose prontamente Marc, fin troppo prontamente, con un sorrisetto strano sulle labbra.

Sapeva di aver fatto la figura dello scemo, per l’ennesima volta.

-Cose tra fratelli. So, tranquillo…- disse nuovamente Valentino, annuendo con una strana saggezza, mentre prendeva un altro sorso.

 

Marc l’aveva scampata anche quella volta, ma sapeva che non era ancora finita.

Ci sarebbe stato il secondo turno di torture, e lì non avrebbe potuto scamparla.

La giornata si prospettava come al solito: allenamento, pranzo, fine allenamento, cena, film e letto…
Ma Marc non aveva nessuna voglia di viverla con Valentino all’attacco, un ménage in crisi e suo fratello.

In generale Marc non aveva voglia di vivere quella giornata.

Sapeva già dell’epilogo pessimo che avrebbe avuto, come se i giorni passati non lo avessero avuto.

In più, non aiutò affatto la pseudo battuta che Valentino fece passando accanto a Alex.
-Se vuoi correre diccelo, te la rimediamo una moto.- disse.

E il fatto che Alex avesse riso e annuito peggiorava solo tutto.
Per non parlare dello sguardo di Valentino dopo aver parlato, che andò dritto a Marc cercando di dirgli qualcosa che lo spagnolo non capì minimamente.

 

-Io ti ripeto, sono convinto che sia successo qualcosa. Non è che anche tu mi nascondi qualcosa?- domandò Franky, girandosi sinceramente preoccupato verso Marc.

Ormai anche l’unico che pareva star bene e ragionare di più sembrava sul punto di uscire di testa come gli altri.
Marc roteò gli occhi.

-Ti pare? L’unica cosa che nascondo sono le chiavi di camera.-.

Franky rise nel disperato tentativo di convincersi, e poi tornò con lo sguardo sul gruppo di uomini seduti sotto il tendone.

-Sai, non voglio sembrare strano… Ma tuo fratello e Luca sarebbero una bella coppia.- disse poi, indicando con un cenno di testa i due seduti accanto davanti a loro.

Marc non disse nulla, restò solo con lo sguardo fisso.

-In amicizia, eh…- concluse poi Franky, lasciando una leggera pacca sulla spalla all’altro prima di andarsene anche lui sotto il tendone.

A quel punto Marc, cosa poteva fare?
Odiarsi o rassegnarsi…

Raggiunse gli altri, tutti pronti per andare a cena e abbandonare il circuito.
Scambiò quelle due parole di circostanza con Alex, che adesso sembrava più calmo rispetto al giorno prima.

Poco dopo sulla strada per il parcheggio, tra il ghiaino e le chiacchiere, Valentino si avvicinò con una tranquillità invidiabile.

Ecco, la fine era arrivata.

Per qualche metro non fecero finta di niente. Solo Marc e Valentino che camminavano piano, fianco a fianco come in una passeggiata romantica.

Poi Valentino parlò: —Stai meglio, ora?-.

-Beh, non che sia mai stato male…-.
-Stamattina mi sembravi sul punto di morire, per vari motivi.-.

Marc si accigliò leggermente, mentre sulla faccia dell’altro appariva un sorriso.

Bastardo.

-Io e Luca non abbiamo mai avuto davvero grandi problemi, forse perché io ero parecchio più grande di lui…- iniziò Valentino, alzando lo sguardo con una vena di saggezza.

-Ma tu e Alex… Hai un problema con lui, ora. Vero?-.
-Niente, te lo posso assicurare.-.
-Mi prenderesti come cattivo se ti dicessi che non ci credo?-.
-Sono fatti tuoi, questa è la verità.-.
-Paladino di giustizia e verità ora? Mi piaci così, bravo…-.

Marc non poteva credere a metà delle parole che uscivano dalla bocca dell’uomo: erano assurde.

Eppure, sentirsi dire quelle ultime parole… Anche se non erano nel contesto che desiderava, davano lo stesso quel senso di piacere che Marc cercava tanto.

-Non la prendere sul personale, e nemmeno come attacco a Alex… Solo, voglio il meglio per mio fratello.-.

Detto ciò Valentino accelerò, sparendo velocemente dal fianco di Marc.
Lo spagnolo non poté fare altro che restare a guardarlo andarsene, basito.

-Il meglio per mio fratello…- si ripeté Marc, accigliandosi.

E come una lampadina che si accende all’improvviso, tutto il senso della questione gli si illuminò.

 

Ah, non era stata male come fine giornata… O quasi.
Certo, sarebbe sicuramente meglio come fine di un sogno, peccato che quello non era più il mondo onirico!

Notes:

PS. Sono un misterio anche per me stessa...

Alla prossima, e mi raccomando; be kind! ;)

Series this work belongs to: